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Che anno è? che giorno è?

di Vincenzo Borghetti
  Don Carlo
Data di pubblicazione su web 13/12/2023  

Da qualche anno a questa parte, le inaugurazioni alla Scala sembrano un po’ il gioco delle tre carte: Francesco Meli, Luca Salsi e Anna Netrebko ci sono più o meno sempre, in combinazione con altri interpreti (un filo) meno prevedibili e qualche (sparuta) novità. Meli, Salsi, Netrebko c’erano già il 7 dicembre del 2019 (Tosca) e del 2021 (Macbeth); Netrebko e Meli nel 2015 (Giovanna d’Arco); Netrebko e Salsi nel 2017 (Andrea Chénier). Quest’anno la “novità” erano Elīna Garanča e Michele Pertusi – una “novità” solo perché entrambi al loro primo 7 dicembre – insieme al regista Lluís Pasqual – che sostituisce Davide Livermore, il regista di tutte le inaugurazioni dal 2018 al 2021.

La scelta per l’apertura di stagione quest’anno è caduta sul Don Carlo nella versione in quattro atti realizzata da Verdi per la Scala nel 1884. Una scelta di basso profilo per il teatro milanese; a dir poco sorprendente, data l’occasione inaugurale, per la quale in genere ci si permettono allestimenti più impegnativi dal punto di vista produttivo rispetto a quanto segue in cartellone. Con Don Carlo in molti avremmo sperato qualcosa di diverso. Che so: una riproposizione integrale della versione in francese, in cinque atti e con balletto, antecedente ai tagli effettuati dallo stesso Verdi prima della “prima” parigina del 1867 – credo mai o comunque rarissimamente riportata in scena? Oppure la ripresa integrale del testo della “prima” versione parigina – nonostante i proclami, anche questa mai davvero ripresa alla lettera, senza cioè le interpolazioni da versioni posteriori? oppure, a voler giocare con la filologia, una versione mista (ma sempre in francese e con balletto), cogliendo fior da fiore tra le versioni parigine e quelle successive che Verdi realizzò dopo il 1867 – per lo più su versi francesi e senza mai arrivare a una soluzione definitiva?

Un momento dello spettacolo messo in scena il 7 dicembre 2023 a Milano ©Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo
©Teatro alla Scala

Insomma, per il 7 dicembre sarebbe stato opportuno sia fare le cose “in grande”, possibilmente offrendo al pubblico qualcosa di fuori dal consueto. Riccardo Chailly aveva dato spesso prova in passato di essere un direttore curioso nei confronti di versioni poco frequentate o addirittura sconosciute di opere di repertorio, come nel caso di Madama Butterfly, Tosca, Attila, La fanciulla del West. La Scala peraltro ha masse artistiche di prim’ordine, che sarebbero state gratificate dall’essere coinvolte nella serata più importante della stagione – penso principalmente al corpo di ballo – ma che col Don Carlo del 1884 restano escluse dallo spettacolo. Non a caso proprio questo medesimo Don Carlo in quattro atti è quello scelto da alcuni teatri di provincia per il cartellone 2023-2024: sia il circuito emiliano (Modena, Piacenza, Reggio Emilia), sia Opera Lombardia (Brescia, Como, Cremona, Pavia) ne hanno proposto due diverse produzioni, le cui ultime recite si sovrappongono adesso con le riprese della Scala. Che cosa, dunque, distingue il “tempio della lirica” dai suoi “cugini poveri” quando l’opera che si vede in questo e in quelli è la stessa?

Un momento dello spettacolo messo in scena il 7 dicembre 2023 a Milano ©Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo
©Teatro alla Scala

Non certo la qualità dello spettacolo. Lluís Pasqual negli ultimi decenni non ha prodotto allestimenti memorabili, e, soprattutto, non alla Scala, dove la sua regia della Donna del lago (2011) non aveva ricevuto che critiche negative. Le serate inaugurali del teatro milanese si caratterizzano da un po’ come il luogo dell’indecisione: l’attenzione dei media genera ansie di approvazione; il loggione della Scala è uno dei più conservatori d’Italia, e per salvare capra e cavoli si scelgono spettacoli che cerchino di non scontentare nessuno, e allo stesso tempo che mostrino però sempre qualche accenno di modernità. Si è fatto così per anni con le regie di Livermore: tutte molto tecnologiche e spettacolari, con frequenti citazioni cinematografiche, che di un lavoro interpretativo avevano almeno la parvenza. Quest’anno, invece, con Pasqual, si è rinunciato sia alla modernità, sia a qualsiasi possibilità di lettura interessante. Più che un allestimento tradizionale del Don Carlo, quello di Pasqual è un non-allestimento: un concerto in costume, con cantanti fermi (letteralmente!) in scena con le braccia al petto o spalancate, senza nessun tentativo apparente di Personenregie.

L’esecuzione musicale non ha migliorato la situazione. Della concertazione di Riccardo Chailly si può dire solo bene: curata, raffinata, ha messo in evidenza tutte le possibilità dell’orchestra della Scala. La sua direzione è stata però deludente: priva di partecipazione emotiva, senza alcun senso del dramma. In questo Don Carlo non si piange mai, e alla fine, anche l’ascolto risente della mancanza generale di commozione e si fa faticoso, persino nella versione in quattro atti.

Un momento dello spettacolo messo in scena il 7 dicembre 2023 a Milano ©Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo
©Teatro alla Scala

Gli interpreti, da soli, non hanno potuto fare molto per risollevare le sorti di una serata che si è risolta in un concerto di arie e duetti. Anna Netrebko è perfetta nel ruolo di Elisabetta di Valois, così come Elīna Garanča lo è in quelli della Principessa di Eboli. Entrambi ruoli di enorme impegno tecnico ed espressivo, risolti in entrambi i casi in modo magistrale. Michele Pertusi (Filippo II), sebbene indisposto (lo ha annunciato il soprintendente Dominique Meyer nell’intervallo tra primo e secondo atto), ha saputo rendere il suo personaggio con la classe che lo ha sempre contraddistinto. Poi le note positive finiscono. Francesco Meli (Don Carlo) non sembra a suo agio in questo ruolo verdiano. Come si è già scritto in altre occasioni, spesso il tenore si misura con ruoli non adatti alla sua vocalità. E nei duetti il confronto è impietoso: sia Netrebko sia Garanča affrontano la loro parte con una sicurezza e facilità che a Meli mancano. Gianluca Salsi (Rodrigo) è infine una scelta problematica per il ruolo del marchese di Posa. È uno dei migliori baritoni oggi sulla piazza, ma il suo non è certo lo stile più adatto per una parte cantabile da grand seigneur come quella dei baritoni delle opere francesi. Quindi bene e male allo stesso tempo: bene la vocalità; male lo stile. Corretto ma poco incisivo il Grande Inquisitore di Jongmin Park. Molto buono il resto del cast, come sempre alla Scala.

Il successo è stato pieno per gli interpreti, contrastato per il direttore. Generale la disapprovazione per Pasqual.





Don Carlo
Opera in quattro atti


cast cast & credits
 
trama trama

 ph Brescia e Amisano ©Teatro alla Scala
Un momento dello spettacolo messo
in scena il 7 dicembre 2023 a Milano
©Teatro alla Scala




 
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