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73° Festival internazionale del cinema di Berlino 2023

di Giuseppe Mattia
  Berlino 2023
Data di pubblicazione su web 12/02/2023  

Prima grande kermesse del 2023, il 73° Festival internazionale del cinema di Berlino avrà luogo dal 16 al 26 febbraio, “trainato” per il quarto anno consecutivo dalla direttrice esecutiva Mariette Rissenbeek e dal direttore artistico torinese Carlo Chatrian. Se nell’edizione del 2020 i primi casi di Covid non avevano ancora pregiudicato il normale svolgimento dell’iniziativa, nei due anni successivi – in concomitanza con le nefaste ripercussioni dell’emergenza pandemica – la Berlinale ha vissuto prima un’edizione totalmente a distanza (2021) mentre l’anno scorso ha visto una partecipazione in presenza il cui sereno prosieguo è stato però inficiato dai continui test e dal timore di risultare positivi. Quella di quest’anno è dunque un’edizione che prevede un totale e (si spera definitivo) ritorno in presenza senza particolari controlli sanitari.

A presiedere la giuria internazionale ci sarà Kristen Stewart, protagonista dei recenti Spencer (2021) di Pablo Larraín e di Crimes of the Future (2022), scritto e diretto da David Cronenberg. Se si considerano gli ultimi due decenni soltanto ad altre tre interpreti femminili era stato concesso questo onore dalla Berlinale: Isabella Rossellini nel 2011, Meryl Streep nel 2016 e Juliette Binoche nel 2019. A coadiuvare la californiana ci saranno l’attrice di Teheran Golshifteh Farahani; la regista tedesca Valeska Grisebach; il pluripremiato Radu Jude, Orso d’oro 2021 con Bad Luck Banging or Loony Porn; la responsabile del casting americana Francine Maisler; la spagnola Carla Simón, vincitrice dell’ultimo Orso d’oro con Alcarràs; il prolifico regista di Hong Kong Johnnie To. Il festival sarà suddiviso in numerose altre sezioni: Berlinale Special, Berlinale Series, Encounters, Berlinale Shorts, Panorama, Forum, Forum Expanded, Generation, Perspektive Deutsches Kino, Retrospective, Homage, Berlinale Classics, Berlinale Goes Kiez, Berlinale Talents e infine Special Screening. Quest’anno l’Orso d’Oro onorario alla carriera sarà conferito a Steven Spielberg, autore del recente The Fabelmans, in pole position per la serata degli Oscar del prossimo 12 marzo.

La sezione principale vedrà in gara diciannove film (uno in più della scorsa edizione) provenienti da ben tredici nazioni differenti e con quindici anteprime mondiali. Da uno sguardo ai titoli presenti si ripropone, com’è solito in quel di Berlino, una certa attenzione a registi perlopiù emergenti, tenendo fuori i “grandi nomi” tipici di Cannes e Venezia. Questo dato è significativo per farsi un’idea su una selezione a prima vista piuttosto debole. Tanto per fare un esempio, a rappresentare l’Italia in concorso ci sarà il solo Giacomo Abruzzese, tarantino classe 1983 con esperienze legate perlopiù al mondo del cortometraggio e del documentario. La pellicola con cui tenterà di riportare in patria l’ambito premio – che manca dall’ormai lontano 2016 – è Disco Boy, una co-produzione tra Italia, Francia, Belgio e Polonia. Il film tratta dell’incontro tra un giovane di nome Aleksei – arruolatosi nella Legione straniera francese – e un giovane del Niger, Jomo, in lotta contro le compagnie petrolifere che minacciano il suo villaggio; nei panni del co-protagonista l’attore tedesco Franz Rogowski, distintosi nel 2021 in Freaks Out di Gabriele Mainetti.

Presenti nella selezione ufficiale ben cinque autori “di casa”: quello forse più atteso è Christian Petzold, a Berlino nel 2020 con Undine, il quale concorre con Afire, storia di quattro giovani personaggi “persi” in una casa sulla costa baltica; con Bis zum Ende der Nacht, il cinquantenne Christoph Hochhäusler racconta di un poliziotto sotto copertura che tenta di guadagnare la fiducia di un pusher. Altro nome che ha creato attorno a sé tanta assegna è Margarethe von Trotta – classe 1942 – con il biografico Ingeborg Bachmann - Reise in die Wüste, biopic sulla nota poetessa e giornalista austriaca, interpretata dalla brillante Vicky Krieps. Dopodiché un altro nome che suscita interesse è Angela Schanelec, considerata, insieme a Petzoldt, una delle principali esponenti della prima ondata della Berliner Schule. La regista approda a Berlino con Musik, nel quale ripropone il mito edipico trasposto lungo un arco temporale di quarant’anni. Infine Emily Atef, l’anno scorso a Cannes con More Than Ever – interpretato sempre dalla Krieps e dal recentemente scomparso Gaspard Ulliel –, è autrice di Someday We’ll Tell Each Other Everything, film nel quale viene messo in scena un amore tribolato di una coppia durante il 1990.

Altra pellicola poggiata su una tematica intimistica e familiare è 20.000 especies de abejas – diretta dalla promettente regista spagnola Estibaliz Urresola Solaguren – che vede l’evoluzione del rapporto tra una madre e la figlia di sei anni, Lucía, nata in un corpo maschile. Il lungometraggio d’animazione cinese Art College 1994 di Jian Liu – in concorso a Berlino nel 2017 con Have a Nice Day – mette invece in scena il legame tra un gruppo di giovani e il mondo dell’arte. Altro film d’animazione – di produzione nipponica – è l’ambizioso Suzume no tojimari dell’affermato regista Makoto Shinkai: al centro della storia una diciassettenne alle prese con un giovane misterioso nel tentativo di salvare le sorti del Giappone. Sempre dalla Cina c’è The Shadowless Tower (Ba ta zhi guang) di Zhang Lu, che ripercorre il tentativo di ripristinare un rapporto, bruscamente interrotto per tanti anni, tra un padre e un figlio: ricorrente nella sua filmografia la condizione dei coreani in Cina e di tutti i problemi della fascia di diseredati nel Paese più popoloso del pianeta. Se in BlackBerry il canadese classe 1985 Matt Johnson (nel 2016 al Sundance con Operation Avalanche) propone la travagliata storia del primo smartphone al mondo, l’affermato regista francese Philippe Garrel ne La lune crevée – avvalendosi dei propri tre figli come interpreti – racconta di una famiglia di burattinai e della loro crisi legata alla vocazione del mestiere teatrale. In concorso sono presenti anche due titoli provenienti dall’Australia: Limbo, settimo lungometraggio di Ivan Sen su un nebuloso e cruento caso di femminicidio, nel quale un poliziotto riveste un ruolo ambiguo, e The Survival of Kindness (The Mountain) del più navigato autore olandese Rolf de Heer, incardinato su un personaggio femminile di nome BlackWoman, abbandonato nel bel mezzo di un deserto e costretto a superare una serie di peripezie per ritrovare i propri aguzzini.

Dalle ventose terre portoghesi arriva in concorso Bad Living (Mal Viver) del pluripremiato e atteso Joγo Canijo: cinque donne gestiscono serenamente un albergo fino all’arrivo di una giovane, di nome Salomé, che rimescolerà le carte in tavola con contraccolpi drammatici. Produzione tutta anglofona quella di Manodrome, diretto dal sudafricano classe 1987 John Trengove, al suo terzo lungometraggio, con un film che mette al centro dell’intreccio un uomo in procinto di diventare padre che, grazie a un rito liberatorio, si risveglierà da un torpore esistenziale per riappropriarsi dei propri desideri a lungo repressi. Dagli Stati Uniti Celine Song, coreana ma naturalizzata canadese, concorre per l’Orso d’oro con il suo lungometraggio d’esordio Past Lives, storia d’amore che nasce in Corea del Sud, si spegne dopo una partenza forzata per poi riaccendersi, vent’anni dopo, nella Grande Mela. Sur l’Adamant di Nicolas Philibert, documentarista del 1951 al suo quinto progetto filmico, invita invece lo spettatore a riflettere su un preciso microcosmo rappresentato da una struttura galleggiante – sul principale fiume parigino – che accoglie adulti con disturbi mentali, ragionando anche sul ruolo degli operatori e del loro delicato lavoro. Dal Messico arriva infine TΣTEM di Lila Avilés – al suo secondo lungometraggio dopo The Chambermaid (2018) – storia incentrata sul ritrovarsi ma anche sul perdersi: nel giorno in cui viene allestita una festa di compleanno a sorpresa a Tona, pittore e padre della piccola Sol, il caos prenderà il sopravvento minando le fondamenta dell’istituzione familiare.

Per la quota italiana sono diversi i nomi presenti nella capitale tedesca. Fra tutti l’atteso documentario di Mario Martone Laggiù qualcuno mi ama (Berlinale Special), teso a ricostruire la figura di Massimo Troisi sotto diversi punti di vista: in uscita nelle sale il prossimo 23 febbraio, il regista di Napoli ha svolto un certosino lavoro di montaggio di film di Troisi alternati a materiali audiovisivi inediti nonché a testimonianze di artisti che lo hanno conosciuto o che ne sono stati influenzati artisticamente. Martone si è di fatto proposto di ricostruire il percorso del cineasta suo concittadino, contestualizzandone il lavoro a livello cronologico e geografico. Altro autore italiano, fuori concorso, è Andrea Di Stefano con il thriller L’ultima notte di Amore, con protagonista Pierfrancesco Favino nei panni di un tenente, Franco Amore, che dovrà fare i conti col proprio lavoro: dopo ben trentacinque anni di carriera senza aver mai sparato un colpo di pistola, l’ultima notte prima del proprio pensionamento sarà per lui cruciale e dalla quale dipenderà tutta la sua vita.

Nella sezione Generation K Plus figurano poi ben due titoli italiani: il lungometraggio d’esordio Le proprietà dei metalli del giovane Antonio Bigini e Mary e lo spirito di mezzanotte di Enzo D’Alò. Se il primo titolo è ambientato in un villaggio nel quale il giovanissimo Pietro è alla prese con la scoperta dei propri poteri psicocinetici, quello di D’Alò (regista nel 1998 del grande successo La gabbianella e il gatto) è un film d’animazione su una altrettanto giovane protagonista, con il sogno di affermarsi nel campo culinario: sostenuta dalla propria nonna, Mary intraprenderà un viaggio “nel tempo” dove incontrerà diverse generazioni femminili, ognuna delle quali foriera di preziosi consigli. Nella sezione Encounters l’Italia sarà rappresentata dal cortometraggio prodotto da Fandango intitolato Le mura di Bergamo, diretto dal fecondo documentarista palermitano Stefano Savona: come facilmente intuibile dal titolo, il film è ambientato nella città lombarda con l’intento di sviscerare determinati aspetti legati alla diffusione e alle conseguenze del Covid sul territorio. Nella sezione Berlinale Series ci sarà invece The Good Mothers di Julian Jarrold e Elisa Amoruso, documentarista romana classe 1981, al suo quinto film, regista del controverso Chiara Ferragni – Unposted (2019). The Good Mothers è imperniato sull’intricato e oscuro universo, da un punto di vista prettamente femminile, della ‘ndrangheta calabrese. Per quanto riguarda i titoli “classici” si segnalano Prima della rivoluzione (1964) di Bernardo Bertolucci nella sezione Retrospektive e Sogni d’oro (1981) di Nanni Moretti in Berlinale Classics.

Particolare interesse desta anche Golda, di Guy Nattiv, con la pluripremiata Helen Mirren chiamata a interpretare Golda Meir, prima donna a ricoprire la carica di primo ministro in Israele, durante i fatali anni della guerra dello Yom Kippur. Nella sezione figura anche il promettente Brandon Cronenberg, figlio del più celebre David, con Infinity Pool, tra violenza, edonismo e orrori, interpretato da Alexander Skarsgård. Altro titolo destinato a far parlare di sé è il documentario Superpower di Sean Penn e Aaron Kaufman, girato a Kiev durante l’invasione della Russia, che sarà presentato in concomitanza con il primo anniversario dell’inizio del conflitto. Si evidenzia infine la presenza di Seneca di Robert Schwentke, con John Malkovisch nei panni del filosofo mentore di Nerone. Per quanto riguarda la sezione Encounters grande attesa per Mul-an-e-seoin water (In Water) del celebre regista di Seul Hong Sang-soo, vincitore nel 2021 dell’Orso d’argento per la migliore sceneggiatura con Inteurodeoksyeon e in concorso nella scorsa edizione con So-seol-ga-ui yeong-hwa (2022).

Nel complesso, dalle varie sezioni affiora un’attenzione particolare sì al contesto politico ma anche a quello familiare, con una tangibile e netta apertura a forme cinematografiche eterogenee: dal cinema di genere, sia esso thriller o crime, ai documentari; dalle commedie ai film biografici; dai lungometraggi di animazione ai melodrammi fino a giungere ai titoli “guidati” da grandi e affermati interpreti di caratura internazionale. In linea con la scorsa edizione si riscontra infine una preminenza di titoli europei (ben dodici) rispetto alle produzioni extra continentali di Cina, Canada, Giappone, Australia, Messico e Stati Uniti: ciò dichiara con evidenza la scelta di tenere più relegata la vena esplorativa e sperimentale che ha sempre caratterizzato la Berlinale, diventando nei decenni una “rassicurante” ricorrenza. Tuttavia è pur vero che sono numerosi gli autori esordienti o ancora in cerca di affermazione internazionale, alcuni dei quali destinati ad affermarsi nel circuito festivaliero tanto caro ai critici sparsi per il globo. In ogni caso, a prescindere da tutte le scelte, dai titoli e dalle difficoltà… Es lebe das Kino!

 

  

IN CONCORSO

 

20.000 especies de abejas di Estibaliz Urresola Solaguren (Spagna)

Afire di Christian Petzold (Germania)

Art College 1994 di Jian Liu (Cina)

Bad Living (Mal Viver) di Joγo Canijo (Portogallo, Francia)

Bis zum Ende der Nacht di Christoph Hochhäusler (Germania)

BlackBerry di Matt Johnson (Canada)

Disco Boy di Giacomo Abbruzzese (Francia, Italia, Belgio, Polonia)

Ingeborg Bachmann - Reise in die Wüste di Margarethe von Trotta (Svizzera, Austria, Germania, Lussemburgo)

Limbo di Ivan Sen (Australia)

La lune crevée di Philippe Garrel (Francia, Svizzera)

Manodrome di John Trengove (Regno Unito, Stati Uniti)

Music (Musik) di Angela Schanelec (Germania, Francia, Serbia)

On the Adamant di Nicolas Philibert (Francia, Giappone)

Past Lives di Celine Song (Stati Uniti)

The Shadowless Tower (Ba ta zhi guang) di Zhang Lu (Cina)

Someday We'll Tell Each Other Everything di Emily Atef (Germania)

The Survival of Kindness (The Mountain) di Rolf de Heer (Australia)

Suzume no tojimari di Makoto Shinkai (Giappone)

TΣTEM di Lila Avilés (Messico, Danimarca, Francia)






Per l’elenco completo dei film, visita il sito ufficiale della Berlinale

















Kristen Stewart, 
presidente di giuria al 
73° Festival internazionale del cinema di Berlino 


 
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