Come
ci si addentra al giorno doggi in una folle ma allo stesso tempo lucida
riflessione su cosa è osceno, immorale, proibito? La miglior soluzione, nellultima
Berlinale, la propone il pluripremiato autore rumeno Radu Jude, che si
aggiudica la vittoria in unedizione anomala, presieduta da una giuria
internazionale – tra cui il “nostro” Gianfranco Rosi – composta da soli
autori premiati in passato con lOrso doro. Permangono forti dubbi circa la
distribuzione della pellicola nelle sale per via di alcune sequenze di sesso
esplicito, sebbene una nuova luce sia affiorata in Italia, nei primi giorni di
aprile, grazie a un provvedimento che vieta i tagli censori optando per dei
criteri di classificazione in base al pubblico di destinazione.Bad
Luck Banging or Loony Porn è unopera in quattro capitoli che lascia
esterrefatti e che fa e farà sicuramente parlare di sé. Con un respiro decisamente
provocatorio, forte di echi sperimentali, lo spettatore non ha il tempo di
addentare un popcorn (o premere il tasto Play) che bruscamente viene
catapultato in un sex tape amatoriale. La protagonista della performance
è la rispettabile insegnante Emi (Katia Pascariu) che scoprirà, di lì a
poco, che il filmato è diventato virale e che anche i genitori dei suoi
studenti ne sono venuti a conoscenza. La donna andrà incontro a un vero e
proprio processo sulla falsariga di quello subito da Giovanna dArco secoli fa.
Una scena del film © Silviu Ghetie / Micro Film 2021
In
una Bucarest in piena emergenza sanitaria, dove per le strade e nei discorsi della
gente è ancora vivo il passato dittatoriale post-socialista, si consuma la passio
della protagonista, con battute e volgarità da parte delle persone che
lhanno riconosciuta nel video. Lodierna Romania è specchio di tutte le realtà
sociali, quantomeno quelle occidentali, portatrici (in)sane di valori e di
modelli poggiati su contraddizioni continue e fortemente pericolose,
soprattutto per i più giovani che tanto si tenta di proteggere. La domanda che
si pone il regista ha origine proprio dal sottile confine tra letica e la
morale, tra il lecito e il proibito, tra il pubblico e il privato.
Nel
primo capitolo, intitolato Strada a senso unico, la cinepresa segue da
lontano Emi con un gusto voyeuristico perverso, tra sguardi malevoli, battute
squallide, cartelloni pubblicitari che inneggiano al consumismo e al corpo
perfetto, battibecchi alle casse dei supermercati per la distanza non mantenuta
o per la mascherina tenuta al di sotto del naso, passanti che litigano tra di
loro utilizzando una reiterata, veemente violenza sia fisica che verbale. Molte
riprese si soffermano su particolari e dettagli che non hanno nulla a che fare
con la trama ma che in qualche modo arricchiscono – da un punto di vista sia
iconografico sia iconologico – il tema del film (si noti la sostenuta
inquadratura su una pianta che prepotentemente sbuca da una fenditura
nellasfalto). Come un cinéma vérité di vertoviana memoria la macchina
da presa entra con la donna nei negozi testimoniando discussioni sui tagli alla
cultura, sui problemi del sistema sanitario, sugli scandali, sulle tragedie,
sui ricordi.
Una scena del film © Silviu Ghetie / Micro Film 2021
Tutto
il testo filmico si aggrappa al concetto di paradosso con numerosissimi esempi,
come nel contrasto tra un banco dove si vende cibo biologico e la ripresa di un
cartellone della Coca-Cola. Osserviamo una società, collocata nellattuale
Romania ma dalla valenza universale, che fa della violenza e delloscenità il
suo pane quotidiano, ma che allo stesso tempo trema davanti a un audiovisivo
privato che nulla ha a che fare con la pornografia – che prevede la presenza
del denaro – o con lillegalità, in quanto si tratta di due adulti consenzienti
che non hanno leso nessuno. Viene da domandarsi se questo calvario si sarebbe riproposto
qualora l“imputato” fosse stato luomo del video (che nel film non compare mai).
Ritornano ancora una volta le tematiche dei preconcetti sessisti e della
disparità tra i sessi, ricorrenti nelle pellicole del connazionale Cristian
Mungiu – come nello struggente 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (2007) –
o nel più recente Dio è donna e si chiama Petrunya (2019) della macedone
Teona Strugar Mitevska.
La
punta di diamante del film è però il secondo capitolo (Breve dizionario di
aneddoti, simboli e meraviglie), latore di una potenza e di unoriginalità
devastanti. In questa sezione fortemente anti-narrativa il concetto di
paradosso raggiunge il suo apogeo. Il regista e sceneggiatore Jude, citando Pasolini,
propone decine di brevi brani che incarnano contraddizioni, incoerenze,
insensatezze, in unenciclopedia di simboli novecenteschi e contemporanei che
stridono e collidono tra loro: religione, guerra, pubblicità, dittatura, violenza,
sessualità, inquinamento, ecc.
Una scena del film © Silviu Ghetie / Micro Film 2021 Come
anticipato, nellultima parte si passa da una mera riunione scolastica a un
vero e proprio processo dove tutti i perbenisti genitori presenti si ergono a
giudici tuttologi. Ma la sola imputata risulta essere Emi, vilipesa, umiliata e
offesa, esposta al pubblico ludibrio come il peggiore dei criminali. I genitori,
preoccupati per leffetto del video sui propri figli, non badano a tutta
loscenità nella quale quotidianamente sono invischiati. Ma tale oscenità deve
essere preclusa agli occhi, come già accadeva nel teatro greco antico, quando per
esempio venivano occultati nella skené lincesto, linfanticidio o il
matricidio. I tre finali proposti, ognuno a suo modo aperto, non intaccano
affatto la credibilità e lintelligenza di un film ironico, sarcastico,
grottesco, coraggioso.
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