drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Se una mattina d’inverno una donna

di Giuseppe Mattia
  Dio è donna e si chiama Petrunya
Data di pubblicazione su web 30/11/2020  

Con Dio è donna e si chiama Petrunya, presentato in anteprima mondiale alla 69ª edizione della Berlinale, la regista macedone Teona Strugar Mitevska si è aggiudicata il Guild Film Prize e il Premio della giuria ecumenica, riscuotendo un grande successo anche in altre rassegne internazionali, tra cui il Torino Film Festival. La Macedonia contemporanea diventa il palcoscenico sul quale viene messa in scena, in tre atti distinti, una battaglia che si accende all’alba, si infiamma di sera e si spegne di notte: una diatriba sviluppata nell’arco di una giornata ma che racconta con tatto e intelligenza una storia millenaria di umiliazioni e soprusi.

Nella città di Štip, alle prime luci dell’alba, è in corso la processione di una comunità cristiana ortodossa, alla quale vengono sapientemente alternate icone religiose con figure umane divorate da creature demoniache. Nella prima parte del film Petrunya (Zorica Nusheva), trentaduenne laureata in Storia e senza un impiego, appare sullo schermo rannicchiata sotto un lenzuolo, al riparo dal mondo ostile rappresentato da una gretta e insensibile madre che le ha procurato un colloquio di lavoro presso una fabbrica tessile. Il proprietario, in un ufficio allegoricamente circondato da decine di sarte al suo servizio, umilia e offende in malo modo la protagonista. Sulla strada verso casa, Petrunya si ritrova tra una folla di uomini seminudi diretti al fiume per il rituale del lancio della croce di legno da parte del pope locale. La donna, profondamente turbata per il vilipendio subito durante il colloquio, prende parte alla tradizione tuffandosi in acqua. Mossa da un istinto primordiale e animalesco, è lei a impossessarsi della croce sia letteralmente sia simbolicamente, come un Cristo donna, prima di fuggire inseguita da una folla inferocita. Apparentemente al sicuro, la si vede distesa sul suo letto completamente nuda, libera e con la croce sul petto, richiamando l’esaltazione mistico-sessuale che vive il personaggio principale di Sancta Susanna (1913) del drammaturgo August Stramm.



Una scena del film

La regista, insieme alla sceneggiatrice Elma Tataragic, architetta una serie di eventi che portano la donna a scontrarsi con lo Stato e con la Chiesa, con il maschilismo sociale e con il fanatismo religioso, sfuggendo alla ormai diffusa e superficiale tendenza di marchiare a fuoco un’opera con l’aggettivo “femminista”. Con una giusta dose di alternanza tra satira e realismo, il film pone l’attenzione sull’ipocrisia e sul controllo sociale tenuto da funzionari ecclesiastici e statali che, coadiuvati dal popolo, cercano di ristabilire l’ordine infranto da Petrunya. Tuttavia i personaggi maschili nulla possono contro la determinazione di una donna che non ha nulla da perdere, decisa a portare avanti la sua scelta di non restituire al pope la croce legalmente conquistata, nonostante le vessazioni subite nella seconda parte del film, interamente ambientata in un commissariato. La convinzione ideologica della protagonista emerge durante un interrogatorio, in cui afferma che il suo periodo storico preferito è la Rivoluzione cinese, quando Mao Tse-tung integrò il comunismo in un sistema democratico, al fine di assottigliare le disparità sociali.


Una scena del film

Il film dedica un ampio spazio anche alla figura della reporter Slavica (Labina Mitevska), metafora della giustizia mediatica e imparziale non sottomessa a convenzioni e barriere morali. Questo personaggio è disposto a perdere il proprio lavoro pur di raccontare in diretta il sopruso che si sta consumando, intervistando dei passanti e la famiglia di Petrunya. La solidarietà femminile trova la sua rappresentazione più vigorosa quando Slavica consola e rincuora la donna, ricordandole i suoi diritti umani e soprattutto legali: non essendoci stata una formale denuncia né tantomeno un fermo amministrativo, nessuno ha il diritto di trattenerla in commissariato contro la sua volontà. La diatriba tra la legge di Dio e la legge degli uomini entra nel vivo quando il gesto della protagonista viene interpretato come una profanazione blasfema dall’arcivescovo di Skopje, impotente nel non poter ricorrere alla legge, in quanto la donna non l’ha in alcun modo infranta. Dove non arriva il raziocinio pervengono la rabbia, il vituperio, l’ingiuria, l’incapacità di formulare civilmente opinioni; tutto ciò è reso grottescamente in una scena dal sapore cristologico in cui la donna attraversa la cieca e amorfa folla di fanatici sul punto di linciarla. Qualcuno a un certo punto le scaraventa addosso una secchiata d’acqua, elemento naturale che richiama l’iniziale bagno (battesimale?) nel fiume, origine di tutta la vicenda.



Una scena del film

Lo stile asciutto della regia, sorretto da una scrittura solida che non si lascia trascinare nelle narrazioni stereotipate della cultura balcanica o di quella ortodossa, riprende la protagonista frontalmente, spesso schiacciata sullo sfondo delle inquadrature mentre il mondo maschile, pur tendando di prevaricare la sua figura, viene riposto agli angoli del quadro, non a fuoco e molte volte fuori campo. Alla regista non interessa il loro volto, ciò che conta è portare all’attenzione del pubblico un messaggio netto, indipendentemente dai movimenti di emancipazione femminista che rischiano a volte di banalizzare il contenuto. Il film risulta credibile, originale nello stile visivo e privo di retoriche controproducenti. La consapevolezza raggiunta da Petrunya nel finale è rappresentata in maniera coerente con un colpo di scena deciso, lasciando nello spettatore il dubbio di che cosa sarebbe successo se Dio fosse stato donna.


Dio è donna e si chiama Petrunya
cast cast & credits
 


Dio è donna e si chiama Petrunya 
è disponibile su Chili
 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013