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Principesse del popolo

di Sara Mamone
  Spencer
Data di pubblicazione su web 29/09/2021  

Un altro film di cui non abbiamo capito il senso (non perché non abbiamo capito di che parlasse ma perché non abbiamo capito perché è stato fatto) è Spencer. Del quarantacinquenne Pablo Larraín, uno dei più talentuosi, rigorosi registi della sua generazione. Dopo le mirabili prove di Tony Manero (2008, Festival di Cannes e poi vincitore al festival di Torino), Post Mortem (Festival di Venezia 2010), El Club (Orso d’argento al Festival di Berlino 2015), Neruda (2016), il regista cileno Larraín ha cambiato decisamente registro. Abbandonando le tematiche legate al suo paese e alla difficoltà di fare i conti con la tragedia del suo passato recente (dalla dittatura di Pinochet alla problematica riconciliazione) ma sempre alla ricerca dei meccanismi che comprimono la libertà individuale, ha alzato il tiro mirando a una storia ancor più grande, anche se vista da un’angolazione più stretta.


                                 Una scena del film

È nato così (forse rinfrancato dalla splendida riuscita del biopic Neruda, in perfetto equilibrio tra narrazione e allegoria) Jackie presentato nel 2016 a Venezia e dedicato alla first lady degli Stati Uniti Jacqueline Bouvier Kennedy. Della fulgida e tragica vicenda ha isolato i momenti più alti, indagando sentimenti, reazioni, comportamenti durante i convulsi giorni dell’attentato di Dallas. Film molto premiato, anche per la stupefacente performance di Natalie Portman, impeccabile avatar dell’originale. Dopo lo scombinatissimo Ema (Venezia 2019) è ricascato nel biopic d’autore. E, di icona in icona, non poteva che interessarsi al mito pop del nuovo millennio: la principessa del popolo, sua altezza reale la principessa del Galles Diana nata Spencer. Poiché non è comunque uno sprovveduto Larraín ha isolato un momento e un luogo significativi della vicenda: l’ultimo Natale con la famiglia reale a Sandringham, residenza di campagna amatissima della regina ma anche paese di nascita della sfortunata Cenerentola alla rovescia. Che Cenerentola non era affatto nascendo da una delle più nobili famiglie d’Inghilterra. L’indagine sui momenti cruciali che la condurranno a scegliere di non diventare regina ma di costruirsi un’identità individuale rientra nei temi più cari al regista, ruotando comunque sul tema a lui più caro della libertà individuale e delle responsabilità che questa comporta.


                                 Una scena del film

L’indagine sulla fragilità della principessa e la reinvenzione del personaggio cadono però nella trappola di una ricostruzione di ambienti, costumi, arredi e atteggiamenti troppo vicini a quelli che l’esposizione mediatica ci ha conficcato nella memoria. Benché la protagonista Kristen Stewart sia incantevole nella fragilità e nei sussulti del modello la ricostruzione è troppo imitativa di un’iconografia stranota per non essere stucchevole e dominante. La sfilata di simil Elisabette II, di Carli di Galles, di principini adolescenti, la ricostruzione di sale e saloni, il defilé degli stranoti abiti iconici della principessa dominano sulle buone intenzioni. E quando nel finale la principessa, finalmente liberata dalle soffocanti atmosfere natalizie, fugge con i principini verso l’agognata libertà dando il suo nome di famiglia, Spencer, non suonano le clarine a festeggiare una presa di coscienza ma resta il sollievo della conclusione dell’ennesima esercitazione sulla principessa di cuori.



Spencer
cast cast & credits
 



La locandina del film 


































 

 
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