Fresco
di vittoria agli ultimi Golden Globe per il miglior film drammatico, miglior
regia a Jane Campion e miglior attore non protagonista, questo
western contemporaneo punta con prepotenza agli Oscar, in programma a fine
marzo. Nonostante la vittoria del Leone dargento per la migliore regia, la
pellicola non ha avuto nelle sale italiane la circuitazione che meritava. Tanto
più considerando la levatura di unautrice che, nella sua pur breve filmografia,
ha fatto incetta di premi: si pensi a Un angelo alla mia tavola (An
Angel at My Table, 1990) e naturalmente a Lezioni di piano (The
Piano, 1993), vincitore della Palma doro (prima regista a riuscirci,
seguita a distanza di quasi trentanni da Julia Ducournau con Titane, 2021), nonché di tre
premi Oscar. La poetica di Campion ha il merito di gettare costantemente luce
su figure vilipese da società brute e sorde, ponendo le loro conseguenti ripercussioni
psicologiche al centro dellimpianto narrativo.
Una scena del film
«Dopo
la morte di mio padre non volevo altro che la felicità di mia madre. Che uomo
sarei se non aiutassi mia madre, se non la salvassi?». Queste le parole
pronunciate fuori campo dalladolescente Peter (Kodi Smit-McPhee), emblematiche
e incomprensibili almeno fino alla fine del film. Tratto dallomonimo romanzo
di Thomas Savage, uscito nel 1967, la storia affonda le radici nel
Montana degli anni Venti. I fratelli Burbank – il rude e autoritario Phil (Benedict
Cumberbatch) e il quieto George (Jesse Plemons) – sono due
allevatori di bestiame, diversissimi tra loro. Phil vive un dissidio interiore tra
la sua educazione borghese (studi a Yale) e il ruolo di cowboy “classico” cucitosi
addosso, sotto il quale si nascondono profonde fragilità, un forte senso di solitudine
e unomosessualità soffocata nel machismo. George invece aspira a una vita
borghese, circondandosi di personalità eminenti come il governatore e tenendosi
fuori dalle dinamiche “polverose” del ranch. Il differente approccio alla vita
dei due ricorda molto quello della coppia formata da Joaquin Phoenix e
da John C. Reilly, protagonisti di The Sisters Brothers di
Jacques Audiard (2018). Quando George decide di prendere in moglie la
vedova Rose (Kirsten Dunst) il già fragile rapporto fraterno inizia a
precipitare. La donna, madre di Peter, subisce il tormento quotidiano di Phil (convinto
che la cognata miri soltanto al denaro), affondando in una spirale “alcolica”
che crescerà, in maniera direttamente proporzionale, con lavvicinamento
sentimentale del figlio alluomo.
Una scena del film
Bastano
pochissimi fotogrammi per poter osannare a gran voce le scenografie del premio
Oscar Grant Major ma soprattutto il lavoro dellaustraliana Ari
Wegner, già distintasi in Lady Macbeth (2016) di William Oldroyd:
la funzione compositiva della luce ammicca a pittori come Diego Velázquez,
José de Ribera o Georges de La Tour, senza scomodare giganti
della settima arte come Gregg Toland o Henri Alekan. La grande
costruzione registica coinvolge inoltre lutilizzo sapiente dei campi
lunghissimi (come i selvaggi paesaggi neozelandesi) e le suggestive angolazioni
della macchina da presa. Da menzionare, inoltre, lutilizzo fordiano del
rapporto tra interni ed esterni, restituito dallutilizzo delle finestre,
intese come veri e propri squarci per guardare “oltre”, materialmente ma anche
simbolicamente. Altro doveroso riconoscimento concerne le musiche – tese a
ricreare inquietudine e tensione – curate da Jonny Greenwood, celebre
chitarrista dei Radiohead nonché storico collaboratore di Paul Thomas
Anderson sin da Il petroliere (There Will Be Blood, 2007).
Il musicista ha arrangiato anche la colonna sonora di Spencer di Pablo
Larraín, anchesso in concorso al Lido nel 2021.
Una scena del film
La
sceneggiatura in cinque atti, scritta dalla stessa regista, snocciola gli elementi
narrativi con unapparentemente eccessiva lentezza, dosando con sapienza quellelargizione
necessaria agli spettatori per mettere assieme i pezzi del puzzle: chi
sono i protagonisti effettivi? da dove vengono? cosa cercano? Sono solo alcune
delle domande che trovano risposta non prima di giungere alla seconda parte
della storia. Leffetto che si produce con questattesa è quello di
intensificare la partecipazione degli spettatori, rendendoli quanto mai attivi
e desiderosi di giungere a una visione dinsieme soddisfacente.
Qualche
nota di demerito: alcuni aspetti sono soltanto accennati, come lassenza di un
tormento vero e proprio nei confronti di Rose: più che al cognato (oppresso in
realtà da sé stesso) soccombe a un senso di inadeguatezza la cui fonte
effettiva ci viene celata. Il personaggio di George appare fin troppo etereo, confinato
ai margini di una partita a scacchi tra giocatori che non hanno poi così tanta
voglia di vincere. Tuttavia, arrivati alla fine, si capisce di trovarsi dinanzi
unopera di grande valore estetico, tematico ma soprattutto psicologico.
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