Body Horror Picture Show
“Figlia” de La Fémis, la Scuola Nazionale francese di Cinema, Julia Ducournau è la seconda donna ad aggiudicarsi la Palma d'oro, quasi trent'anni dopo Jane Campion con The Piano (1993). Il “capitano” Spike Lee e la sua ciurma di giurati consegnano uno dei premi più discussi della storia di Cannes. Tale inattesa decisione, considerata sovversiva, provocatoria, è l'ennesima conferma di una decisa ripresa del genere orrorifico nell'ambito festivaliero. La regista e sceneggiatrice classe 1983, alla consegna del premio, ha ringraziato commossa la giuria per «aver portato la diversità e aver fatto entrare i miei mostri che sono capaci di bellezza». Un body horror a tinte fantascientifiche – saturo di violenza, sesso e mutilazioni –non può non ammiccare ai lavori di Shin'ya Tsukamoto, Nicolas Winding Refn e, soprattutto, di David Cronenberg, pioniere e caposcuola del genere.
In seguito a un incidente stradale, un gruppo di medici impianta nel cranio della piccola Alexia (Agathe Rousselle) una placca in titanio (da cui il titolo), sopra l'orecchio destro. Appena fuori dall'ospedale la vediamo esibirsi in un ambiguo slancio d'affetto (programmatico) nei confronti dell'automobile del padre (Bertrand Bonello). Divenuta adulta, è protagonista di comportamenti bizzarri come le turbolenti danze sensuali in cui si cimenta nelle ore lavorative durante esposizioni di veicoli da corsa. Una sera, in un parcheggio, dà il via a una escalation di morte e violenza cieca, senza apparente ragione, giungendo nella notte a concepire una nuova vita con una roboante Cadillac. Ricercata dalle autorità per omicidio, Alexia cambia aspetto, deturpandosi come la ragazza di Kynodontas (2009) di Yorgos Lanthimos e spacciandosi per Adrien, un bambino sparito nel nulla molti anni prima. Ad accoglierla ci sarà il comandante dei pompieri Vincent (Vincent London), padre del ragazzo, che la prenderà con sé, intrecciando con lei un complicato rapporto familiare fatto di silenzi e grida.
La commistione di generi – dal coming of age al thriller, dal gore al noir – rende Titane una pellicola coraggiosa nonostante a volte esca fuori dai binari, dimostrando (forse volutamente) di non possedere una precisa identità, una data direzione. I due protagonisti risultano interessanti in quanto, a proprio modo, interagiscono tra loro grazie a una comune disperazione, alimentata da una rincorsa verso qualcosa di sfuggente, di intangibile: Vincent si aggrappa con le unghie (e con gli aghi) alla giovinezza e al vigore muscolare, accettando in toto questo tanto agognato ricongiungimento col figlio; Alexia viaggia nella nebbia, senza la minima volontà di trovare un riparo, un'àncora alla quale aggrapparsi. Sono due abissi soli, alle prese con corpi che si ribellano, che cambiano, che vengono meno alla loro volontà di piegarli al proprio volere e di scovare le rispettive identità, i rispettivi posti nel mondo.
Al di là di svariate cadute di tono, di una crudezza fine a sé stessa, di un intreccio incerto che mette a dura prova la sospensione dell'incredulità dello spettatore – chiedendogli a più riprese di riempire profonde lacune come ad esempio i background dei protagonisti –, l'opera seconda di Ducournau riesce pienamente nell'intento di scioccare. Eppure, a differenza del sopra citato Cronenberg, o anche del primo Lanthimos, risulta priva di un preciso j'accuse alla società. La violenza multiforme c'è e viene ampiamente mostrata. Ma perché? Cui prodest? Per Alexia, è assente addirittura la catarsi alla fine del suo percorso fatto di privazioni (della propria femminilità) e di dolore (per una gravidanza sui generis). Nel comparto tecnico-stilistico, si menzionano la fotografia di Ruben Impens, le scenografie di Laurie Colson e Lise Péault, nonché certe scelte musicali tra cui Nessuno mi può giudicare di Caterina Caselli. Tutti fattori capaci di collidere e stridere con l'efferatezza di alcune scene, restituendo un contrasto che disturba sì ma che riesce nell'intento di alimentare il sacro rapporto magnetico tra schermo e pubblico, che ondeggia dubbioso in una atmosfera di piombo demoniaco-sensuale. C'è da lavorare sulla scrittura ma le prospettive sono più che rosee.
Titane
Cast & credits
Titolo
Titane |
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Origine
Francia, Belgio |
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Anno
2021 |
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Durata
108 min. |
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Evento
Festival di Cannes 2021 |
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Formato
2,39:1 |
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Colore | |
Regia
Julia Ducournau |
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Interpreti
Vincent Lindon (Vincent) Agathe Rousselle (Alexia) Garance Marillier (Justine) Laïs Salameh (Rayane) |
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Produttori
Jean-Christophe Reymond |
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Produzione
Kazak Productions, Frakas Productions, Arte France Cinéma, VOO, BeTV |
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Distribuzione
I Wonder Pictures |
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Scenografia
Laurie Colson, Lise Péault |
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Costumi
Anne-Sophie Gledhill |
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Sceneggiatura
Julia Ducournau |
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Montaggio
Jean-Christophe Bouzy |
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Fotografia
Ruben Impens |
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Effetti speciali
Olivier Afonso, Martial Vallanchon |
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Musiche
Jim Williams |