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La maledizione del potere

di Emanuele Nespeca
  "Il petroliere"
Data di pubblicazione su web 28/02/2008  
Qualunque sia l’ambizione, se riguarda la conquista del potere, non può che trasformarsi in una maledizione nera come il colore del petrolio, oscuro motore di questo film e (più in generale) dell’intera economia mondiale. I pionieri americani hanno realmente cambiato il corso della storia quando, cominciando a trivellare la terra del nuovo mondo, hanno trovato il vero oro in quel combustibile prezioso e in grado di affermare ancora oggi la forza degli Stati Uniti d’America. Su questo presupposto si basa Il petroliere, ultimo lavoro di Paul Thomas Anderson regista consacratosi con Magnolia (1999) e poi quasi dimenticato dopo lo strano, quanto delizioso, Ubriaco d’amore (2002).




Quest’opera si distacca dai due film precedenti, abbandonando un certo sperimentalismo narrativo (montaggio parallelo e contaminazione linguistica), per tornare ad uno svolgimento classico, quasi fordiano, più simile per certi aspetti al primo lavoro che l’ha reso celebre in Europa Boogie Nights (1997). In fondo, l’ascesa e decadenza di Daniel Plainview (il petroliere del titolo) può metaforicamente essere paragonata a quella del divo pornografico Eddie Adams, la loro primordiale esclusiva fame di successo diventa il simbolo della sterilità di un liquido (seminale e petrolifero) utile solo ad alimentare, insieme al progresso, odio, rancore e violenza.  




Il film si apre (ma sarebbe giusto dire si accende) sulle scintille che la punta di ferro di un piccone produce urtando violentemente le pareti del fondo di una miniera. Bagliori di luce squarciano prepotentemente l’oscurità e s’impressionano sulla pellicola, delineando lentamente il volto del protagonista, Daniel Day Lewis. Siamo nel 1898 e con pochi passaggi temporali si arriva agli anni ‘20, partendo dal ritrovamento della prima pepita per arrivare al principio della creazione di una grande impresa petrolifera. Nel mezzo non vi sono state parole, solo grugniti ancestrali di fatica e sudore, tra il buio delle miniere e la luce del deserto, come se la conquista del potere non sia altro, all’inizio, che una istintiva invasione barbarica. L’intelletto arriva dopo, più tardi, quando Daniel, imprenditore ormai scaltro, si ritrova a convincere decine e decine di famiglie non solo a vendergli il proprio terreno, ma a partecipare con lui a quel processo di civilizzazione e progresso che il petrolio con la costruzione di pozzi e torri d’estrazione si dovrebbe portare dietro. La parola, infine, arriva prepotente insieme a Eli, interpretato da Paul Dano (Little Miss Sunshine), un ragazzo che si annuncia profeta e che in cambio di un sostegno alla sua fede religiosa, la chiesa della terza rivelazione, convince e costringe la propria piccola comunità a crescere e diventare una città. In pochi anni Daniel diviene un potente citizen Kane, mentre Eli un predicatore convincente, ma il connubio potere e religione vive di un equilibrio troppo sottile e l’impero, che entrambi hanno costruito per se stessi, si abbatte prepotente su quelle due esistenze incapaci di amare e dare vita. Entrambi parassiti di una ricchezza che non gli appartiene, sono schiavi del profitto per poter affermare il proprio potere. Così se il petroliere edifica il proprio dominio sulla menzogna di un figlio non proprio, allo stesso modo il giovane sacerdote affonda la sua terza rivelazione nella falsità di una fede creata ad arte solo per soddisfare la sete mistica dell’onnipotenza. 

Anderson con questo lavoro (premiato a Berlino ’08 con la miglior regia) dimostra di essere uno dei migliori registi della nuova generazione americana, svolge il racconto con mano decisa e potente, mescolando fotograficamente le tonalità scure delle miniere, che rappresentano gli inferi della corruzione, alle luminose distese incontaminate della campagna americana. Le lente carrellate scandiscono il respiro della vicenda e sottolineano le aperture e le possibilità che il territorio statunitense ha messo a disposizione della storia umana, mentre i soffocanti primi piani sul protagonista accentuano l’esasperante egoismo che permea l’esistenza di ogni individuo. Daniel Day Lewis con questa interpretazione può nuovamente puntare all’oscar, riuscendo a farci vivere completamente le trasformazioni di un personaggio complesso, angelo e demone al tempo stesso consapevole della propria missione, ma accecato dalla sete dell’ambizione.
 




Scorrerà il sangue, parafrasando il titolo originale There will be blood, come si vede alla fine del film e solo a quel punto sul nero, mentre i titoli già scorrono, sentiamo il petroliere dire - io ho finito - dichiarando conclusa la propria missione, dopo aver ucciso e umiliato il falso profeta, presagio di tutta quella sofferenza, di tutta quella morte che sul petrolio fonda ancora oggi le proprie giustificazioni. 

Il petroliere
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