La giuria del 74° Festival
internazionale del cinema di Berlino 2024, presieduta da Lupita Nyongo, al suo fianco Brady
Corbet, Ann Hui, Christian Petzold, Albert Serra, Jasmine Trinca
e Oksana Zabuzhko, ha assegnato
i seguenti premi:
Orso doro per il miglior film Dahomey di Mati Diop
Orso
dargento, gran premio della giuria A Travelers Needs di Hong Sang-soo
Orso
dargento, premio della giuria The Empire di Bruno Dumont
Orso
dargento per il miglior regista Pepe di Nelson Carlos De Los Santos Arias
Orso
dargento per la miglior interpretazione da protagonista Sebastian Stan per A Different Man
Orso
dargento per la miglior interpretazione da non protagonista Emily Watson
per Small Things Like These
Orso
dargento per la migliore sceneggiatura Matthias Glarner per Dying
Orso
dargento per il miglior contributo artistico Martin Geschlecht per The Devils Bath
Riportiamo di seguito l'articolo di Giuseppe Mattia sulla presentazione dei film pubblicato in data 14 febbraio 2024.
Ad
aprire questanno le danze festivaliere della settima arte sarà il 74° Festival
internazionale del cinema di Berlino, in programma dal 15 al 25 febbraio.
Quinta (e ultima) conduzione della coppia Mariette Rissenbeek
(direttrice esecutiva) e Carlo Chatrian (direttore artistico), la
kermesse tedesca sarà suddivisa in ben nove sezioni ufficiali: Concorso, Berlinale
Special, Encounters, Cortometraggi, Panorama, Forum, Forum Expanded, Generation
e Retrospettiva. Confermata anche questanno la preminente attenzione a nuove
forme del linguaggio filmico e a cinematografie di solito relegate ai margini
dellattenzione della critica internazionale, come ad esempio quelle di Tunisia,
Repubblica Dominicana e Nepal. In
linea con lanno scorso (Kristen Stewart), anche per questa edizione
sarà unattrice a presiedere la giuria internazionale: Lupita Nyongo, attrice
messicana di origine kenyota vincitrice del premio Oscar come miglior attrice
non protagonista per 12 Years a Slave di Steve McQueen (2013).
Ad affiancarla il semisconosciuto attore americano Brady Corbet; la
veterana autrice cinese Ann Hui, Leone doro alla carriera nel 2020; il
regista tedesco Christian Petzold, in concorso lanno passato con Il
cielo brucia (Roter Himmel, 2023) e quattro anni fa con Undine
(2020); il regista catalano Albert Serra, a due anni di distanza
dal meraviglioso Pacifiction - Tourment sur les îles (2022); infine la “nostra”
Jasmine Trinca, attrice recentemente apparsa sui piccoli schermi
italiani nello sceneggiato Rai La Storia (2024), dallomonimo romanzo di
Elsa Morante.
Nella
corsa verso gli ambitissimi Orso doro e Orso dargento ci saranno venti titoli
provenienti da tutto il mondo, uno in più rispetto ai diciannove della scorsa
edizione. Il fatto che la maggior parte degli autori sia emergente non fa che
generare grandi aspettative fra i cinefili e nelluniverso in ebollizione della
critica internazionale. Due i film italiani in concorso: Another End di Piero
Messina e Gloria! di Margherita Vicario (co-produzione
italo-svizzera). Il regista siciliano classe 1981 torna alla regia di
lungometraggi dopo Lattesa, presentato a Venezia nellormai lontano
2015, con protagonista Juliette Binoche. Sempre su questa scia, anche in
Another End Messina dirige pezzi da novanta come Gael García Bernal,
Renate Reinsve, Bérénice Bejo e Olivia Williams. Questo
film damore, con sfumature fantascientifiche, mette al centro una tecnologia
avveniristica in grado di riportare in vita, temporaneamente, la coscienza dei
defunti trasferendola in corpi ricreati ad hoc. Al suo esordio registico
la cantautrice e attrice Vicario rivolge invece lo sguardo, con Gloria!,
alla Venezia di fine Settecento, con un gruppo di coraggiose e intraprendenti
musiciste che provano a contrastare convenzioni e divieti dellAncien Régime attraverso
la musica.
Tra
i titoli più attesi in gara La Cocina del regista messicano Alonso
Ruizpalacios – miglior sceneggiatura a Berlino nel 2018 con Museo – e
LEmpire di Bruno Dumont, che ritorna alla regia dopo il
folgorante France, presentato in concorso a Cannes nel 2021. Se il primo
titolo si configura come un thriller in cui il protagonista viene accusato di
aver rubato i soldi dalla cassa di un ristorante newyorkese, lambiziosa ultima
fatica dellautore transalpino – co-prodotto dalla casa di produzione italiana
Ascent Film, assieme a società rispettivamente francesi, tedesche e belghe –
tratta invece di cavalieri di regni interplanetari che conducono una vita apparentemente
banale in un villaggio di pescatori sulla costa della Francia settentrionale.
Grande aspettativa anche attorno al ritorno al lungometraggio con Black Tea del
regista mauritano Abderrahmane Sissako, lontano dal grande schermo da
quando presentò a Cannes nel 2014 lo struggente Timbuktu, vincitore del Premio
della Giuria Ecumenica e candidato allOscar per il Miglior film straniero, poi
sconfitto da Ida (2013) di Paweł Pawlikowski. Il film di Sissako
racconta del coraggio di una giovane ivoriana che sceglie di abbandonare un
uomo sullaltare per trasferirsi in Cina e ricominciare unaltra vita. Altro fatidico
titolo è Hors du temps del regista parigino Olivier Assayas – autore
di cult come Irma Vep (1996) e Personal Shopper (2016) –, il
quale ripercorre la storia di due fratelli che nellaprile 2020 si trovano
costretti a trascorrere insieme il periodo di lockdown e a vivere momenti
irreali e controversi.
Mati
Diop,
autrice francese di origine senegalese, presenta Dahomey, a cinque anni
di distanza dal folgorante Atlantique, vincitore a Cannes del Grand Prix
Speciale della Giuria che valse alla regista il primato di prima donna di
colore a dirigere un film del concorso principale. Diop tratteggia, sotto forma
di documentario ambientato nel 2021, la storia di ventisei reperti artistici
che da Parigi ritornano nello Stato africano del Benin. Attesissimo habitué dei
festival europei è il sudcoreano Hong Sang-soo – Orso dargento per il
miglior regista nel 2020 con Domangchin yeoja e miglior sceneggiatura
nel 2021 con Introduction –, che presenta Yeohaengjaui pilyo, con
protagonista linarrivabile Isabelle Huppert nelle vesti di una serafica
insegnante di francese in Corea del Sud.
Già
in concorso a Berlino nel 2015 con As We Were Dreaming, il tedesco Andreas
Dresen presenta In Liebe, Eure Hilde, storia vera di Hilde Rake,
appartenente col marito al gruppo di resistenza antifascista
Schulze-Boysen-Harnack. A seguire Des Teufels Bad, tratto da una storia
vera ed ennesima co-regia degli austriaci Severin Fiala e Veronika
Franz (sceneggiatrice storica di Ulrich Seidl): nellAustria di metà
Settecento una giovane donna sposata di nome Agnes è disposta a tutto pur di
evadere da un matrimonio di costrizioni e sofferenze. La star internazionale
più sospirata nella capitale sarà sicuramente lirlandese Cillian Murphy
– candidato allOscar come miglior attore protagonista per Oppenheimer
(2023) di Christopher Nolan – con Small Things Like These del
connazionale Tim Mielants: un onesto commerciante di carbone è costretto
a fare i conti con un nebuloso passato e con una società fortemente cattolica
votata allomertà più abietta.
La
compagine italiana figura poi anche in altre sezioni: dallopera seconda di Carlo
Sironi Quellestate con Irene (Generation) – a distanza di cinque
anni dallesordio Sole (2019) – al documentario di Costanza
Quatriglio Il cassetto segreto (Forum), dedicato al lavoro del padre
della regista, Giuseppe, firma storica del «Giornale di Sicilia». Il
primo, incentrato sulla storia di due donne profondamente differenti tra loro,
ruota attorno a un periodo estivo in cui entrambe vengono a contatto con
emozioni e vicende che le segneranno per sempre. Il secondo chiama invece in
causa lo sconfinato archivio del giornalista, consistente di decine di migliaia
di scatti fotografici, filmati e registrazioni sonore a partire dal secondo
Dopoguerra, con il preciso obiettivo di dare dignità e sostanza a miriadi di
memorie che partono dalla Sicilia per poi abbracciare anche la storia dellintero
continente europeo. Nella sezione Berlinale Series altre due produzioni
nostrane: il noir Dostoevskij – con Filippo Timi nel ruolo di un
tormentato detective –, di Damiano e Fabio DInnocenzo –
vincitori del premio per la Migliore sceneggiatura a Berlino con Favolacce
(2020) – e Supersex, diretto da Matteo Rovere, Francesco Carrozzini
e Francesca Mazzoleni, incentrato sulla vita personale e professionale di
Rocco Siffredi, interpretato da Alessandro Borghi. Ennesima
componente nostrana figura nellultima fatica di Abel Ferrara, autore
del documentario di ambientazione bellica Turn in the Wound, sulla vita
a Kiev dallinizio della guerra in Ucraina (co-produzione britannica, tedesca,
italiana e statunitense.
Anche
nella sezione Berlinale Special, oltre al già citato Ferrara, figurano roboanti
nomi del cinema internazionale: da Filmstunde 23, co-regia tedesca di Jörg
Adolph e Edgar Reitz (il celebre autore della serie di film Heimat)
a Averroès & Rosa Parks di Nicolas Philibert, autore del
documentario nonché ultimo Orso doro con Sur lAdamant (2023); da Shikun
del regista israeliano Amos Gitai (apertamente e da sempre contro il
governo del proprio Paese) a Wu Suo Zhu del malese Tsai Ming-liang,
Leone doro a Venezia nel 1994 con Vive lamour e Orso dargento a
Berlino nel 1997 con Il fiume (He liu) e ancora nel 2005 con Il
gusto dellanguria (Tian bian yi duo yun). Febbrile attesa per
il conferimento dellOrso dOro alla carriera a quello che senza timore può
essere ritenuto il più importante regista vivente, Martin Scorsese – omaggiato
nella programmazione anche con le proiezioni di After Hours del 1985
(Berlinale Classics) e di The Departed (2006) –, il cui ultimo Killers
of the Flower Moon è candidato a ben dieci premi Oscar (appuntamento a Los
Angeles il prossimo 10 marzo).
Insomma,
un festival per tutte le salse che, come al solito e per fortuna, strizza
locchio più allo spettatore cinefilo e alla critica che ai red carpet e alle
facili copertine. Come sempre e per sempre: Es lebe das Kino!
IN
CONCORSO
Another End di Piero
Messina (Italia)
Architecton di Victor
Kossakovsky (Germania, Francia)
Black Tea di Abderrahmane
Sissako (Francia, Mauritania, Lussemburgo, Taiwan, Costa d'Avorio)
La Cocina di Alonso
Ruizpalacios (Messico, Stati Uniti)
Dahomey di Mati Diop
(Francia, Senegal, Benin)
A Different Man di Aaron
Schimberg (Stati Uniti)
L'Empire di Bruno
Dumont (Francia, Italia, Germania, Belgio, Portogallo)
Gloria! di Margherita
Vicario (Italia, Svizzera)
Hors du temps di Olivier Assayas
(Francia)
In Liebe, Eure Hilde di Andreas Dresen
(Germania)
Keyke mahboobe man di Maryam
Moghaddam e Behtash Sanaeeha (Iran, Francia, Svezia, Germania)
Langue Étrangère di Claire
Burger (Francia, Germania, Belgio)
Mé el Aïn di Meryam
Joobeur (Tunisia, Francia, Canada, Norvegia, Qatar, Arabia Saudita)
Pepe di Nelson
Carlos De Los Santos Arias (Repubblica Dominicana, Namibia, Germania,
Francia)
Shambhala di Min Bahadur
Bham (Nepal, Francia, Norvegia, Hong Kong, Turchia, Taiwan, Stati Uniti,
Qatar)
Small Things Like These di Tim Mielants (Irlanda, Belgio)
Sterben di Matthias
Glasner (Germania)
Des Teufels Bad di Veronika
Franz e Severin Fiala (Austria, Germania)
Vogter di Gustav
Möller (Danimarca, Svezia)
Yeohaengjaui pilyo
di
Hong Sang-soo (Corea del Sud)
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