Al suo sesto lungometraggio, reduce dal
grande successo del film Dio è donna e si chiama Petrunya – presentato
in anteprima mondiale alla 69ª edizione della Berlinale –, la regista macedone Teona
Strugar Mitevska realizza lennesimo titolo che la consacra tra gli autori
più coraggiosi e talentuosi nel panorama europeo. In concorso nella sezione
Orizzonti della 79ª edizione della Mostra del Cinema di Venezia, Lappuntamento pone nuovamente al centro della vicenda un personaggio
femminile di mezza età, quanto mai deciso a prevalere sulle ingiustizie subite e
a disfarsi di bagagli culturali, sociali e maschilisti del passato. La
protagonista si ritrova invischiata allinterno di un vero e proprio
esperimento sociale, espediente scelto dallautrice per mostrare le molteplici sfaccettature
della società bosniaca, ancora conflittuale ed eterogenea a trentanni di
distanza dalla guerra civile. Quando finisce davvero una guerra? Dove si trova
la forza di perdonare? Come si convive col dolore e con il terrore dei fuochi
dartificio che ricordano troppo da vicino il rumore dei bombardamenti?
Una scena del film
In unodierna Sarajevo la macchina da presa
segue furtiva una quarantenne single di nome Asja (Jelena Kordić Kuret)
che cammina per strada, diretta verso il microcosmo dentro al quale tutto il
film si dipanerà: una grande sala di un albergo costruito secondo i dettami dellarchitettura
brutalista (tipica eredità jugoslava). La stanza è adibita a ospitare appuntamenti
prestabiliti su internet tra coppie che, con tanto di badge e uniforme, hanno
una giornata di tempo per interrogarsi, conoscersi e rivelarsi – con la
mediazione di due figure preposte –, attraverso quesiti e attività ludiche e
ricreative. Latmosfera serena e distesa viene bruscamente interrotta nel
momento in cui, al tavolo della protagonista, si siede Zoran (Adnan
Omerović), un bancario suo coetaneo dallaspetto tuttaltro che rassicurante.
Attraverso una serie di domande incrociate emerge lamara motivazione che ha
spinto luomo a scegliere Asja: durante il tragico assedio della città, durato dal
5 aprile 1992 al 29 febbraio 1996, lallora adolescente Zoran, arruolato nelle
truppe anti-bosniache, spara ad Asja alla schiena condannandola per giorni a un
coma profondo, sospesa tra la vita e la morte. Tale rivelazione conduce tutto
il gruppo in un climax di collera e recriminazioni reciproche, a riprova di una
mai sopita avversione tra etnie, generi e religioni. Vittima e carnefice si rivelano
individui dai contorni indefiniti, indecifrabili, labili, un po come già visto
in un altro film est-europeo, lOrso doro 2021 Bad Luck Banging or Loony
Porn di Radu Jude.
Una scena del film
La regista classe 1976 di Skopje – anche
co-sceneggiatrice del film insieme alla bosniaca Elma Tataragić – indovina
la ricetta giusta per gestire questo marasma di motivazioni, di emozioni, di
ragioni e sentimenti. Da un punto di vista stilistico e formale emerge la
propensione al ritmo, retto dallalternarsi bilanciato di dettagli, sguardi, parole
sommesse, pronunciate in sottofondo, impercettibili ma infinitamente pregnanti.
Notevoli anche certi virtuosismi così come alcuni inserti immaginari (tra tutti
quello, immaginato da Asja, del plotone che compie una strage lasciando in vita
soltanto Zoran). Altra nota rilevante sono i drastici cambi di registro, ideali
per favorire la fluidità del film, atti a destabilizzare lo spettatore tenendo
costantemente alta la sua soglia dellattenzione (conditio sine qua non
per dargli modo di ricostruire un quadro composto da miriadi di tasselli). Dunque
un lavoro che si presenta con uno stile e una struttura drammaturgica adatta al
pubblico di nicchia ma anche alle platee più varie.
Il tema del perdono viene trattato senza
troppo calcare la mano, dosando con misura la componente collerica della
vittima e quella taciturna del carnefice. Nel finale lirruzione in una sala da
ballo di una scena con numerosi giovani e giovanissimi: le nuove generazioni
ereditano lodio e i traumi di quelle precedenti e sono condannati a sopportare
le conseguenze ineluttabili di colpe altrui. Tuttavia, lo spiraglio di speranza
nel finale lascia presagire un futuro sicuramente più roseo e una visione
piuttosto ottimistica nella poetica dellautrice. Così il poeta Gojko a Gemma in
Venuto al mondo (2012) di Sergio Castellitto, a proposito degli
strascichi dellassedio di Sarajevo: «è stato più facile correre sotto le
granate, che camminare sopra le macerie».
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