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Vecchi e nuovi balli

di Vincenzo Borghetti
  Ballo in maschera
Data di pubblicazione su web 24/05/2022  

Al Teatro alla Scala torna il Ballo in maschera. L’ultima produzione dell’opera è stata quella del 2013 (vedi recensione), sotto la sovrintendenza e direzione artistica di Stéphane Lissner (2005-2015), quando la Scala intraprendeva quel necessario processo di rinnovamento con lo scopo di mettersi di nuovo in dialogo con i teatri suoi pari dopo la direzione di Riccardo Muti. Non a caso, la regia di quel Ballo era affidata a Damiano Michieletto, che in meno di dieci anni aveva avviato una solida carriera in Italia e iniziava a muoversi a livello internazionale (il suo primo spettacolo al Festival di Salisburgo è del 2012), ma la cui fama di regista “moderno” lo teneva ancora lontano dai teatri italiani più conservatori. Come era prevedibile, il risultato fu una contestazione aperta contro la pretesa di rimettere in scena un’opera importante di Giuseppe Verdi in modo radicalmente diverso da quanto si era visto fino ad allora al Piermarini (Michieletto aveva spostato l’azione dalla Boston del XVII secolo a quella contemporanea con tutte le conseguenze del caso). I soliti “buu” furono addirittura rinforzati dal lancio di volantini “riparativi” all’indirizzo del compositore così malamente vilipeso dal regista.


Un momento dello spettacolo
© Marco Brescia & Rudy Amisano

Da Lissner in avanti, nessuno dei nuovi sovrintendenti ha più nemmeno pensato a un’inversione di rotta. Del resto, sebbene auspicato da un manipolo di irriducibili del pubblico dell’opera, oggi un ritorno programmatico all’autarchia teatrale degli anni di Muti sarebbe irrealistico. Eppure, in questa stagione ci sono segnali poco incoraggianti in questo senso. A partire dall’apertura il 2 dicembre con il problematico Macbeth di Davide Livermore, con l’unica eccezione dei Thaïs di Olivier Py, finora alla Scala non si sono visti spettacoli degni di particolare nota. Le reazioni della critica alle regie di Capuleti e Montecchi, Ariadne auf Naxos e La Dama di Picche – tre delle quattro nuove produzioni andate in scena da gennaio 2022 – sono state tutt’altro che lusinghiere.

Questo Ballo in maschera non ha fatto eccezione. Marco Arturo Marelli (regia, scene e costumi) ambienta l’azione in un passato indefinito dal punto di vista cronologico: settecentesca è la decorazione della scatola scenica, mentre alcuni dei costumi richiamano anche epoche più recenti. Per il resto, non c’è molto da aggiungere. La Personenregie pare inesistente: i cantanti si muovono col solito repertorio di pose. Lo stesso vale per i movimenti delle masse. Il lighting design (Marco Filibeck) ha prestato luci “di servizio” senza un contributo riconoscibile alla creazione di atmosfere per la narrazione della vicenda. Spiace dirlo, ma ormai produzioni di questo tipo sono una rarità anche nei teatri di provincia. È inevitabile il confronto con il Ballo di Michieletto che vede questo di Marelli perdente, come se i dieci anni che separano le due produzioni siano trascorsi inutilmente.


Un momento dello spettacolo
© Marco Brescia & Rudy Amisano

Per fortuna la resa musicale è stata di ben altro livello. Sondra Radvanovsky è un’Amelia superlativa. Già interprete del ruolo alla Scala nel 2013, il soprano ha mostrato una maturazione vocale ed espressiva formidabile. Radvanovsky gestisce le dinamiche e lo “scatto” con la padronanza della donizettiana di lungo corso, ma allo stesso tempo col volume e la sicurezza negli acuti della Turandot fresca di debutto (e con esito felicissimo, in concerto a Roma, Parco della Musica, il 12 marzo scorso con Antonio Pappano sul podio). Le sue finezze espressive emergono tutte nel duetto del secondo atto, e poi anche di più nell’aria del terzo (“Morrò, ma prima in grazia”), che scatena il lunghissimo applauso della sala. Lo stesso discorso vale per Ludovic Tézier (Renato, previsto solo per le due ultime recite; in quelle precedenti il ruolo era affidato a Luca Salsi), un baritono dalla voce possente e duttile insieme, dotato di tecnica solida e di grande intelligenza interpretativa. Un autentico capolavoro di espressione e di capacità di controllo è stata la sua resa della grande aria del terzo atto “Eri tu che macchiavi quell’anima”, la cui tessitura pone a cimento anche i cantanti più esperti.


Un momento dello spettacolo
© Marco Brescia & Rudy Amisano

Una piacevolissima scoperta Federica Guida che mette al servizio di Oscar acuti sonori e luminosi, non scontati nei soprani di coloratura. Un discorso a parte merita Francesco Meli (Riccardo). Delle sue scelte di repertorio si è già scritto in occasione della Tosca del 7 dicembre 2019. Restiamo della nostra idea: si ha l’impressione che il tenore canti al limite delle proprie possibilità. Intendiamoci: Riccardo è il ruolo che più sta a pennello alla sua voce, che  impiega con fraseggio elegante e leggero come la scrittura verdiana suggerisce, riuscendo a rendere con efficacia il personaggio dell’innamorato. Il punto è che, insieme a queste qualità, il ruolo richiede anche grande potenza vocale, soprattutto quando si canta in una sala ampia come quella della Scala e accanto a voci come quelle di Radvanovsky e Tézier. Invece alla fine della sua performance si notava un certo affaticamento. Bene Okka von der Damerau (Ulrica), la cui presenza si deve una sostituzione dell’ultimo minuto. Dei comprimari piace menzionare Paride Cataldo (Un servo d’Amelia), ma, ad eccezione di Costantino Finucci (Un giudice), il resto del cast non è parso ai livelli abituali della Scala.

Nelle ultime recite (19 e 22 maggio), Giampaolo Bisanti ha sostituito Nicola Luisotti alla direzione (che a sua volta aveva sostituito Riccardo Chailly, previsto originariamente per tutte le rappresentazioni). La sua è una direzione tecnicamente inappuntabile, attenta ai fraseggi e ai dettagli timbrici, assecondato a meraviglia dall’orchestra: notevoli il contrasto di colori che apre la scena di Ulrica e l’accompagnamento appassionato nel terzo atto. Resta tuttavia una lettura che non esalta la varietà stilistica della partitura verdiana, quei momenti di alleggerimento danzanti che caratterizzano molti punti dell’opera.


Un momento dello spettacolo
© Marco Brescia & Rudy Amisano

Il successo è stato pieno, in particolare, come si diceva, per Radvanovsky e Tézier, e per Guida e Meli. Il teatro era gremito, cosa di per sé rimarchevole per una recita fuori abbonamento in una domenica segnata da temperature già ampiamente estive.




Ballo in maschera
Melodramma in tre atti


cast cast & credits
 
trama trama



Un momento dello spettacolo visto il 22 maggio 2022 al Teatro alla Scala di Milano

 
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