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Le conseguenze dell'amore

Vincenzo Borghetti
  Le conseguenze dell'amore
Data di pubblicazione su web 05/04/2022  

È un Settecento cupo quello di Aleksandr Sergeeviĉ Puškin, il poeta che nel 1834 scrisse il racconto La dama di picche (Пиковая дама - Pikovaja dama) che è alla base dell’opera omonima di Pëtr Il’ič Čajkovskij (1890). Non c’è ombra di nostalgia per i tempi gloriosi di Caterina II, un mondo in cui, nel racconto, all’ombra dei palazzi imperiali dominano cinismo e disumanità. Tutti sono meschini: Hermann, il militare giocatore incallito, sfrutta l’infelicità della povera Liza solo per carpire dalla Contessa, la sua padrona, il mistero delle tre carte, per poter finalmente vincere al tavolo da gioco. Liza cede alle sue lusinghe, ma solo per liberarsi dalla tirannia della Contessa, personaggio spettrale e crudele insieme. Čajkovskij e il suo librettista, il fratello Modest, cambiarono qualcosa in questo panorama desolante, concedendo spazio all’umanità e ai sentimenti. Nell’opera Hermann è anche innamorato di Liza, oltre che del gioco: Liza passa da serva a nipote della Contessa, e a sua volta ricambia l’amore di Hermann, rinunciando per lui al matrimonio comme il faut con il principe Eleckij. La Contessa è la sopravvissuta di un’epoca ormai perduta, di cui rimpiange accorata i costumi e le grandezze. Sono tutti molto meno spregevoli che in Puškin, e questo aggiunge alle loro vicende storia un registro patetico che in origine non avevano.


Un momento dello spettacolo

Non è solo una questione di libretto. La musica è lo strumento con cui Čajkovskij rende concreto lo spessore umano dei suoi personaggi: le varie sfumature dell’amore (di Hermann, di Liza, del principe) e della disperazione e del rimpianto prendono corpo grazie a essa. Fin dall’inizio il compositore ci fa capire che non andrà a finire bene. L’atmosfera che regna nella prima scena è quella gaia di un giardino in un mattino di primavera, dove i bambini giocano ai soldati. Il preludio orchestrale ci introduce però a qualcosa di diverso, che rivela la precarietà di questa spensieratezza. Dopo quello dei bambini, infatti, per tutta l’opera il gioco si vedrà per davvero, ma sarà quello di un soldato e di una giovane donna, i quali, in modi diversi, giocano con i sentimenti e con la vita, la propria e quella degli altri, nella speranza di trovare una felicità che per loro resta tragicamente irraggiungibile. Un senso di catastrofe incombente domina ogni momento dell’opera, acuito dal contrasto che il compositore crea tra lo sfondo e la storia. I momenti di “colore storico,” primo fra tutti il lunghissimo divertissement pastorale del secondo atto, suonano ancora più cinici e crudeli proprio perché Čajkovskij li contrappone alla musica “moderna” che invece caratterizza i protagonisti.


Un momento dello spettacolo

La ripresa della Dama di picche alla Scala è stata al centro di un intenso dibattito, dovuto alle circostanze nelle quali l’opera è arrivata in palcoscenico. L’attacco russo all’Ucraina, iniziato il giorno dopo la prima rappresentazione, ha avuto come conseguenza l’allontanamento del direttore Valery Gergiev (noto sostenitore del presidente russo) e la sua sostituzione con Timur Zangiev, il maestro che aveva preparato l’orchestra della Scala (Gergiev era arrivato a Milano solo per le prove generali). Non so come sarebbe stata con Gergiev, ma non riesco a immaginare una direzione migliore di quella di Zangiev. Il gesto è ampio, come ampia è la tavolozza dei colori e dei timbri: pastosi e cangianti come un velluto. Sottile ma allo stesso tempo diretto, Zangiev penetra nella partitura di Čajkovskij mettendone in evidenza tutte (e dico tutte) le raffinatezze della scrittura senza perdere nulla in carica drammatica. L’orchestra e il coro lo hanno seguito a meraviglia. Senza dubbio è stata una prova magistrale.


Un momento dello spettacolo

Un discorso analogo vale per il cast. Prima fra tutti la Liza di Asmik Grigorian. Nel primo atto il personaggio fa il suo ingresso senza dire una parola per poi prendere parte al quintetto n. 4. Grigorian è in scena da pochi minuti: basta il suo sguardo a catalizzare l’attenzione del pubblico e a trasmettere il suo turbamento. Oltre a recitare, canta, e qui si ripete il miracolo di una voce al servizio dell’interpretazione e della scena. Grigorian non avrebbe forse nemmeno la caratura vocale per il ruolo (e qualche acuto nella scena finale non è proprio perfetto), ma di fronte a tanto carisma ciò è un dettaglio irrilevante. Ottimi gli altri: Naijmiddin Mavlyanov (Hermann) affronta con sicurezza una delle parti più pesanti per un tenore, ma non dimentica mai né l’eleganza del canto, né il personaggio; come lui Alexey Markov (Eleckij), Roman Burdenko (Tomskij/Zlagotor), Elena Maximova (Polina), tutti con voci sontuose e ottime capacità attoriali. La Contessa è Julia Gertseva, una cantante ancora in piena attività e non una diva in odore di pensione: la parte risulta molto ben eseguita, anche se forse manca quell’intensità drammatica che in genere si associa al ruolo. Molto bene il resto degli interpreti.


Un momento dello spettacolo

Sullo spettacolo c’è poco da dire. La Scala lo ha affidato sorprendentemente a Matthias Hartmann, autore di una delle peggiori regie scaligere degli ultimi anni, Der Freischütz (2016-2017). Come in quel caso, Hartmann mescola l’epoca della vicenda a quello della sua rappresentazione; ma la sua è una regia convenzionale in cui la sovrapposizione dei piani temporali non costituisce una chiave interpretativa interessante, o anche solo evidente, dell’opera. Il tutto, per giunta, in una scenografia (scene di Volker Hintermeier) che o è di una povertà disarmante, o, come divertissement del secondo atto, scade in un kitsch settecentesco tanto esagerato da essere involontariamente fastidioso.


Un momento dello spettacolo

Il successo è stato entusiastico: la sala gremita come in tempi pre-pandemici ha chiamato più volte cast e direttore in scena. Trionfo in particolare per Grigorian, Zangiev e Mavlyanov.




La dama di picche
Opera in tre atti e sette quadri


cast cast & credits
 
trama trama



Un momento dello spettacolo visto il 13 marzo 2022 al Teatro alla Scala di Milano

 
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