È un Settecento cupo quello di Aleksandr
Sergeeviĉ Puškin, il poeta che nel 1834 scrisse il racconto La dama di picche (Пиковая дама - Pikovaja dama) che è alla base dellopera omonima di Pëtr Ilič Čajkovskij (1890).
Non cè ombra di nostalgia per i tempi gloriosi di Caterina II, un mondo in cui,
nel racconto, allombra dei palazzi imperiali dominano cinismo e disumanità.
Tutti sono meschini: Hermann, il militare giocatore incallito, sfrutta
linfelicità della povera Liza solo per carpire dalla Contessa, la sua padrona,
il mistero delle tre carte, per poter finalmente vincere al tavolo da gioco. Liza
cede alle sue lusinghe, ma solo per liberarsi dalla tirannia della Contessa, personaggio
spettrale e crudele insieme. Čajkovskij e il suo librettista, il fratello Modest,
cambiarono qualcosa in questo panorama desolante, concedendo spazio allumanità
e ai sentimenti. Nellopera Hermann è anche innamorato di Liza, oltre che del gioco:
Liza passa da serva a nipote della Contessa, e a sua volta ricambia lamore di
Hermann, rinunciando per lui al matrimonio comme
il faut con il principe Eleckij. La Contessa è la
sopravvissuta di unepoca ormai perduta, di cui rimpiange accorata i costumi e
le grandezze. Sono tutti molto meno spregevoli che in Puškin, e questo aggiunge
alle loro vicende storia un registro patetico che in origine non avevano.
Un momento dello spettacolo
Non è solo una questione di libretto. La musica è
lo strumento con cui Čajkovskij rende concreto lo spessore umano dei suoi
personaggi: le varie sfumature dellamore (di Hermann, di Liza, del principe) e
della disperazione e del rimpianto prendono corpo grazie a essa. Fin
dallinizio il compositore ci fa capire che non andrà a finire bene.
Latmosfera che regna nella prima scena è quella gaia di un giardino in un
mattino di primavera, dove i bambini giocano ai soldati. Il preludio
orchestrale ci introduce però a qualcosa di diverso, che rivela la precarietà di
questa spensieratezza. Dopo quello dei bambini, infatti, per tutta lopera il
gioco si vedrà per davvero, ma sarà quello di un soldato e di una giovane donna,
i quali, in modi diversi, giocano con i sentimenti e con la vita, la propria e
quella degli altri, nella speranza di trovare una felicità che per loro resta
tragicamente irraggiungibile. Un senso di catastrofe incombente domina ogni
momento dellopera, acuito dal contrasto che il compositore crea tra lo sfondo
e la storia. I momenti di “colore storico,” primo fra tutti il lunghissimo divertissement pastorale del
secondo atto, suonano ancora più cinici e crudeli proprio perché Čajkovskij li
contrappone alla musica “moderna” che invece caratterizza i protagonisti.
Un momento dello spettacolo
La ripresa della Dama
di picche alla Scala è stata al centro di un intenso
dibattito, dovuto alle circostanze nelle quali lopera è arrivata in
palcoscenico. Lattacco russo allUcraina, iniziato il giorno dopo la prima
rappresentazione, ha avuto come conseguenza lallontanamento del direttore Valery Gergiev (noto sostenitore del
presidente russo) e la sua sostituzione con Timur Zangiev, il maestro
che aveva preparato lorchestra della Scala (Gergiev era arrivato a Milano solo
per le prove generali). Non so come sarebbe stata con Gergiev, ma non riesco a
immaginare una direzione migliore di quella di Zangiev. Il gesto è ampio, come
ampia è la tavolozza dei colori e dei timbri: pastosi e cangianti come un
velluto. Sottile ma allo stesso tempo diretto, Zangiev penetra nella partitura
di Čajkovskij mettendone in evidenza tutte (e dico tutte) le raffinatezze della
scrittura senza perdere nulla in carica drammatica. Lorchestra e il coro lo
hanno seguito a meraviglia. Senza dubbio è stata una prova magistrale.
Un momento dello spettacolo
Un discorso analogo vale per il cast. Prima fra
tutti la Liza di Asmik Grigorian. Nel primo atto il personaggio fa il
suo ingresso senza dire una parola per poi prendere parte al quintetto n. 4.
Grigorian è in scena da pochi minuti: basta il suo sguardo a catalizzare
lattenzione del pubblico e a trasmettere il suo turbamento. Oltre a recitare,
canta, e qui si ripete il miracolo di una voce al servizio dellinterpretazione
e della scena. Grigorian non avrebbe forse nemmeno la caratura vocale per il
ruolo (e qualche acuto nella scena finale non è proprio perfetto), ma di fronte
a tanto carisma ciò è un dettaglio irrilevante. Ottimi gli altri: Naijmiddin
Mavlyanov (Hermann) affronta con sicurezza una delle parti più pesanti per
un tenore, ma non dimentica mai né leleganza del canto, né il personaggio; come
lui Alexey Markov (Eleckij), Roman Burdenko (Tomskij/Zlagotor), Elena
Maximova (Polina), tutti con voci sontuose e ottime capacità attoriali. La
Contessa è Julia Gertseva, una cantante ancora in piena attività e non
una diva in odore di pensione: la parte risulta molto ben eseguita, anche se
forse manca quellintensità drammatica che in genere si associa al ruolo. Molto
bene il resto degli interpreti.
Un momento dello spettacolo
Sullo spettacolo cè poco da dire.
La Scala lo ha affidato sorprendentemente a Matthias Hartmann, autore di
una delle peggiori regie scaligere degli ultimi anni, Der Freischütz (2016-2017). Come in quel caso, Hartmann mescola lepoca
della vicenda a quello della sua rappresentazione; ma la sua è una regia convenzionale
in cui la sovrapposizione dei piani temporali non costituisce una chiave
interpretativa interessante, o anche solo evidente, dellopera. Il tutto, per
giunta, in una scenografia (scene di Volker Hintermeier) che o è di una
povertà disarmante, o, come divertissement del secondo atto, scade in un
kitsch settecentesco tanto esagerato da essere involontariamente fastidioso. Un momento dello spettacolo
Il successo è stato entusiastico: la
sala gremita come in tempi pre-pandemici ha chiamato più volte cast e direttore
in scena. Trionfo in particolare per Grigorian, Zangiev e Mavlyanov.
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