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Umanità del peccato

di Vincenzo Borghetti
  Thaïs
Data di pubblicazione su web 21/02/2022  


La tradizione delle opere incentrate su difficili scelte morali è lunga quanto la storia del melodramma. Dall’Euridice alla Rappresentatione di anima et di corpo (entrambe del 1600) ai numerosi Ercole al bivio e Sogno di Scipione settecenteschi, il teatro d’opera ha sempre presentato al suo pubblico storie che servivano (anche) a riflettere sull’importanza di fare la scelta giusta, di ponderare i rischi di strade che, se prese, porterebbero dritte dritte alla perdizione o all’infelicità, o più frequentemente, a tutte e due insieme. Rispettivamente, Orfeo subiva una terribile punizione per essersi abbandonato alla passione e alla superbia incontrollate; l’Anima rifiutava le lusinghe dei piaceri mondani, dopo aver compreso in lunghi confronti la loro inaffidabilità; Ercole e Scipione, posti di fronte al dilemma sulla via da seguire, si votavano l’uno a Virtù, l’altro a Costanza. All’opera le storie di grandi scelte etico-esistenziali sono sempre venute benissimo, perché la musica, e tutti gli elementi spettacolari in generale, permettono di dare concretezza a concetti astratti con una vivacità e quindi un’efficacia non raggiungibili in altre forme teatrali. Con musica, canto, orchestra, scene, costumi, balli la pericolosa seduzione dei piaceri è molto più seduttiva e, al rovescio, i rigori della virtù sembrano un po’ più affabili.


Un momento dello spettacolo
© Teatro alla Scala

 

Questa “funzione” il teatro d’opera non l’ha mai abbandonata, anche quando, dopo l’Antico regime, è divenuta meno esplicita. Se grosso modo con l’Ottocento spariscono dalle scene Ercoli, Scipioni, Anime, Costanze ecc., dai palcoscenici non spariscono certo opere che, con altri personaggi e altre storie, si occupano di offrire al pubblico occasioni per riflettere su questioni morali. Di questo genere Thaïs di Jules Massenet è forse uno degli esempi più rappresentativi.

 

L’opera ebbe la sua prima rappresentazione a Parigi nel 1894, all’Opéra Garnier, dove nel 1898 tornò poi con grande successo in una nuova versione modificata. La storia è quella di Thaïs (Taide), cortigiana poi santa, protagonista dell’omonimo romanzo di Anatole France (1890) ambientato nell’Egitto del IV secolo d.C. Qui, a confrontarsi con scelte difficili sono in due, Thaïs e il cenobita Athanaël. I percorsi sono opposti: lei, donna bellissima e sensualissima, è conquistata dal severo sguardo di condanna di lui, e inizia così un percorso di redenzione che la porta alla santità; lui a sua volta non resiste al fascino di lei, e alla fine getta volentieri il suo saio alle famose ortiche quando è ormai troppo tardi. La musica di Massenet mette profano e spirituale a diretto confronto, con cromatismi e melodie lunghe, armonie sinuose, impasti orchestrali rarefatti per Thaïs e il suo mondo, cui fanno da contraltare i temi diatonici, le armonie arcaizzanti, l’uso di modi ecclesiastici ed echi gregoriani per quello di Athanël. Come per le opere morali dell’Antico regime, i personaggi sono davanti al bivio tra le strade della voluttà e della virtù, della redenzione e della perdizione, ma gli esiti adesso sono molto meno univoci e definiti. Certo, Thaïs muore illuminata dalla luce della grazia divina, sembrerebbe però più per gli stenti dovuti alle terribili penitenze che per una sincera conversione; Athanël dal canto suo fa le spese del suo integralismo: forse quello che sembrava solo peccato gli avrebbe regalato almeno un po’ di felicità su questa terra. Con chi, dunque, si identifica il pubblico? Qual è la via migliore da seguire, tra un piacere che (si dice) sia sempre fonte di corruzione e una virtù che (si dice) sia sempre fonte di salvezza?


Un momento dello spettacolo
© Teatro alla Scala

Di queste domande si fa carico lo spettacolo di Olivier Py (regia), che imposta la sua lettura dell’opera tutta sul conflitto tra peccato e virtù, calandolo però in un contesto contemporaneo. Che il tema fondamentale della sua interpretazione sia proprio la scelta che la storia impone ai protagonisti risulta chiaro dalla proiezione sulle scene della prima terzina della Divina Commedia che, come è noto, pone il suo protagonista di fronte alla necessità di ritrovare la “diritta via”. Il contrasto tra i due mondi è poi particolarmente sottolineato: Py usa fondali sobri (scene e costumi di Pierre-André Weitz) e costumi castigati (per lo più in uniformi dell’Esercito della Salvezza) per caratterizzare l’universo di Athanaël e compagni; ambienti, atmosfere e costumi (e molti nudi) da Folies bergère per quello di Thaïs e della Tebaide pagana (domina il rosso acceso). Tutto è chiaro, oltre che eseguito alla perfezione: mimi, danzatori, comparse – e ovviamente i cantanti – sembrano a loro agio e, soprattutto, agiscono con convinzione. Py non calca troppo la mano nei riferimenti alla contemporaneità. Tuttavia, il mondo del cosiddetto peccato è quello che alla fine risulta se non vittorioso, almeno più umano, rispetto a quello dell’eterna compunzione e dell’eterno castigo dai difensori della morale.

Un momento dello spettacolo
© Teatro alla Scala

Dal punto di vista musicale, i protagonisti della serata sono stati due: Marina Rebeka (Thaïs) e Lorenzo Viotti (direttore). Rebeka è forse una delle interpreti ideali per il ruolo, che richiede notevoli capacità sia attoriali sia vocali. La cantante ha mostrato tutta la sua versatilità nel saper gestire frasi lunghissime che richiedono un sapiente controllo dei fiati ma anche una considerevole ricchezza espressiva: la sua Thaïs seduce Athanaël e con lui noi del pubblico grazie proprio alla sua voce. Viotti fa lo stesso con l’orchestra, da cui sa trarre infiniti colori, forse l’elemento di maggior impatto della scrittura di Massenet in quest’opera. Molto bene anche il sensuale Nicias di Giovanni Sala. L’Athanaël di Lucas Meachem al confronto lascia meno il segno: non che manchi qualcosa, anzi, tutto è al suo posto dal punto di vista vocale, ma il personaggio vorrebbe un lavoro più deciso sulla parte musicale, che poi significa anche una resa drammatica più incisiva. Molto bene tutto il resto del cast, come sempre alla Scala.

 

Ottimo successo finale. Gli applausi più intensi sono stati per Rebeka e Viotti.





Thaïs
Comédie lyrique in tre atti e sette quadri


cast cast & credits
 
trama trama


Giovanni Sala, 
ph Brescia e Amisano, 
©Teatro alla Scala


Marina Rebeka, 
ph Brescia e Amisano 
©Teatro alla Scala



Spettacolo visto il 16 febbraio 2022 al Teatro alla Scala di Milano

 
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