La tradizione delle opere incentrate su difficili scelte
morali è lunga quanto la storia del melodramma. DallEuridice alla Rappresentatione di anima et di corpo (entrambe del 1600) ai numerosi Ercole
al bivio e Sogno di Scipione settecenteschi, il teatro dopera ha sempre presentato al suo pubblico
storie che servivano (anche) a riflettere sullimportanza di fare la scelta
giusta, di ponderare i rischi di strade che, se prese, porterebbero dritte
dritte alla perdizione o allinfelicità, o più frequentemente, a tutte e due
insieme. Rispettivamente, Orfeo subiva una terribile punizione per essersi
abbandonato alla passione e alla superbia incontrollate; lAnima rifiutava le
lusinghe dei piaceri mondani, dopo aver compreso in lunghi confronti la loro inaffidabilità;
Ercole e Scipione, posti di fronte al dilemma sulla via da seguire, si votavano
luno a Virtù, laltro a Costanza. Allopera le storie di grandi scelte
etico-esistenziali sono sempre venute benissimo, perché la musica, e tutti gli
elementi spettacolari in generale, permettono di dare concretezza a concetti
astratti con una vivacità e quindi unefficacia non raggiungibili in altre
forme teatrali. Con musica, canto, orchestra, scene, costumi, balli la pericolosa
seduzione dei piaceri è molto più seduttiva e, al rovescio, i rigori della
virtù sembrano un po più affabili.
Un momento dello spettacolo © Teatro alla Scala
Questa “funzione”
il teatro dopera non lha mai abbandonata, anche quando, dopo lAntico regime,
è divenuta meno esplicita. Se grosso modo
con lOttocento spariscono dalle scene Ercoli, Scipioni, Anime, Costanze ecc.,
dai palcoscenici non spariscono certo opere che, con altri personaggi e altre
storie, si occupano di offrire al pubblico occasioni per riflettere su
questioni morali. Di questo genere Thaïs di Jules Massenet è forse uno degli
esempi più rappresentativi.
Lopera ebbe la
sua prima rappresentazione a Parigi nel 1894, allOpéra Garnier, dove nel 1898
tornò poi con grande successo in una nuova versione modificata. La storia è
quella di Thaïs (Taide), cortigiana poi santa, protagonista dellomonimo
romanzo di Anatole France (1890) ambientato nellEgitto del IV secolo
d.C. Qui, a confrontarsi con scelte difficili sono in due, Thaïs e il cenobita
Athanaël. I percorsi sono opposti: lei, donna bellissima e sensualissima, è
conquistata dal severo sguardo di condanna di lui, e inizia così un percorso di
redenzione che la porta alla santità; lui a sua volta non resiste al fascino di
lei, e alla fine getta volentieri il suo saio alle famose ortiche quando è
ormai troppo tardi. La musica di Massenet mette profano e spirituale a diretto confronto,
con cromatismi e melodie lunghe, armonie sinuose, impasti orchestrali rarefatti
per Thaïs e il suo mondo, cui fanno da contraltare i temi diatonici, le armonie
arcaizzanti, luso di modi ecclesiastici ed echi gregoriani per quello di
Athanël. Come per le opere morali dellAntico regime, i personaggi sono davanti
al bivio tra le strade della voluttà e della virtù, della redenzione e della
perdizione, ma gli esiti adesso sono molto meno univoci e definiti. Certo,
Thaïs muore illuminata dalla luce della grazia divina, sembrerebbe però più per
gli stenti dovuti alle terribili penitenze che per una sincera conversione;
Athanël dal canto suo fa le spese del suo integralismo: forse quello che
sembrava solo peccato gli avrebbe regalato almeno un po di felicità su questa
terra. Con chi, dunque, si identifica il pubblico? Qual è la via migliore da
seguire, tra un piacere che (si dice) sia sempre fonte di corruzione e una
virtù che (si dice) sia sempre fonte di salvezza?
Un momento dello spettacolo © Teatro alla Scala
Di queste
domande si fa carico lo spettacolo di Olivier Py (regia), che imposta la
sua lettura dellopera tutta sul conflitto tra peccato e virtù, calandolo però
in un contesto contemporaneo. Che il tema fondamentale della sua
interpretazione sia proprio la scelta che la storia impone ai protagonisti
risulta chiaro dalla proiezione sulle scene della prima terzina della Divina Commedia che, come è
noto, pone il suo protagonista di fronte alla necessità di ritrovare la
“diritta via”. Il contrasto tra i due mondi è poi particolarmente sottolineato:
Py usa fondali sobri (scene e costumi di Pierre-André Weitz) e costumi
castigati (per lo più in uniformi dellEsercito della Salvezza) per
caratterizzare luniverso di Athanaël e compagni; ambienti, atmosfere e costumi
(e molti nudi) da Folies bergère per quello di Thaïs e della Tebaide
pagana (domina il rosso acceso). Tutto è chiaro, oltre che eseguito alla
perfezione: mimi, danzatori, comparse – e ovviamente i cantanti – sembrano a
loro agio e, soprattutto, agiscono con convinzione. Py non calca troppo la mano
nei riferimenti alla contemporaneità. Tuttavia, il mondo del cosiddetto peccato
è quello che alla fine risulta se non vittorioso, almeno più umano, rispetto a
quello delleterna compunzione e delleterno castigo dai difensori della morale.
Un momento dello spettacolo © Teatro alla Scala
Dal punto di
vista musicale, i protagonisti della serata sono stati due: Marina Rebeka
(Thaïs) e Lorenzo Viotti (direttore). Rebeka è forse una delle
interpreti ideali per il ruolo, che richiede notevoli capacità sia attoriali
sia vocali. La cantante ha mostrato tutta la sua versatilità nel saper gestire
frasi lunghissime che richiedono un sapiente controllo dei fiati ma anche una
considerevole ricchezza espressiva: la sua Thaïs seduce Athanaël e con lui noi
del pubblico grazie proprio alla sua voce. Viotti fa lo stesso con lorchestra,
da cui sa trarre infiniti colori, forse lelemento di maggior impatto della
scrittura di Massenet in questopera. Molto bene anche il sensuale Nicias di Giovanni
Sala. LAthanaël di Lucas Meachem al confronto lascia meno il segno:
non che manchi qualcosa, anzi, tutto è al suo posto dal punto di vista vocale,
ma il personaggio vorrebbe un lavoro più deciso sulla parte musicale, che poi
significa anche una resa drammatica più incisiva. Molto bene tutto il resto del
cast, come sempre alla Scala.
Ottimo successo
finale. Gli applausi più intensi sono stati per Rebeka e Viotti.
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