Una scena del film
La
direttrice del penitenziario di Mortana – luogo immaginario incastonato in un paesaggio
impervio e aspro – notifica ad alcune guardie carcerarie che, a causa di “una pura
formalità” (per citare, non a caso, lopera di Tornatore), il
trasferimento di alcuni detenuti presso un altro edificio ha subito un
temporaneo arresto: la “sporca dozzina” di condannati restanti deve attendere
ancora qualche giorno lì con loro. In questa beckettiana attesa sorge la
necessità di istituire nuove regole, un nuovo ordine, dal momento che la
maggior parte della struttura è ormai inagibile e tutte le attività ricreative,
nonché le visite, sono sospese. Le mura e i corridoi marcescenti diventano la
funebre scacchiera sulla quale si sfidano carcerieri e carcerati, capitanati
rispettivamente dallintegerrimo Gaetano Gargiulo (Servillo) e dal “puparo” Carmine
Lagioia (Orlando). Per rendere più gestibile la situazione, tutti i detenuti
vengono condotti in una sorta di arena circolare, lungo la quale sono situate
le celle a mo di vomitoria degli anfiteatri romani.
Nonostante
la presenza dei due grandi interpreti citati, quella di Di Costanzo è unopera
corale, una rappresentazione tragica che rimanda alloperazione shakespeariana
dei fratelli Taviani in Cesare deve morire (2012). La scrittura del
film – firmata dal regista insieme a Bruno Oliviero e Valia Santella
– pone lattenzione sul precario equilibrio delle due fazioni attraverso ogni
duello, tra tutti lo sciopero della fame e la conseguente conquista della
cucina da parte dei detenuti. Le pieghe psicologiche dei personaggi sono svelate
attraverso lunghe sequenze che sin da subito riversano nello spettatore una
corposa tensione, in ogni istante sul punto di esplodere. Di fianco a questo
palpabile fermento gli autori somministrano intelligenti dosi di ironia: dallonomastica
del burocrate Buonocore, inflessibile ma comprensivo, allaffermazione di Lagioia
che non ci sia niente da ridere in galera, giungendo alla scritta «Do not
disturb» posta allingresso di una cella, ammiccando ai soggiorni in albergo.
La direzione
della fotografia dellimmenso Luca Bigazzi restituisce – attraverso
inquadrature soffocanti e suggestive tonalità di grigio – quel senso di
spaesamento, di perdizione eterea nel quale galleggiano tutte le anime che “infestano”
la prigione. Ad amplificare questo edificio morale la colonna musicale di Pasquale
Scialò, in grado di valorizzare, singolarmente ma con il medesimo vigore,
voci, percussioni e tastiere. Il fatto che le guardie condividano la stessa
routine e la stessa situazione emergenziale (lockdown?) dei prigionieri
pone tutti sullo stesso piano: gli uni giungono a comprendere gli altri, in un
reciproco e vicendevole movimento di pietà. Per quanto riguarda le
inquadrature, dai piani individuali di ciascun personaggio si procede
gradualmente verso campi lunghi e grandangoli, a inglobare e abbracciare tutti senza
distinzioni. Il senso collettivo dellisolamento, quanto mai attuale, si
sovrappone al complicato dibattito sulla situazione delle carceri italiane e
sul loro effettivo ruolo riabilitativo. Balza subito alla memoria lo scandalo
dei recenti crimini perpetuati a Santa Maria Capua Vetere.
Il
complesso gioco di compromessi, richieste, concessioni e ostacoli rendono questopera
stratificata soprattutto per la dialettica tra ritmi compassati e gestione
della tensione. Lodevoli, infine, le interpretazioni di tutto il cast, con
doverose menzioni alla fronte corrugata di Servillo e alle labbra contratte di
Orlando. Non resta che gioire di pellicole come queste di cui il nostro
pubblico tanto ha bisogno.