Una scena del film
Linvenzione del personaggio “a bocca aperta” ma non più lo scemo del
villaggio, anzi ormai inurbato e piccolo borghese, era piaciuta al grande del
momento, Antonio Petito che lo aveva
affiancato al suo più tradizionale Pulcinella. Ma Odoardo (napoletanizzatosi in
Eduardo) aveva colto il cambiamento di gusto di un pubblico post unitario che
amava il teatro dialettale ma ambiva ad aggiornamenti internazionali. Loperazione,
non solo istintiva ma programmatica, è riassunta nelle sue stesse memorie:
«[Sciosciammocca]
maschera del piccolo borghese povero ma ambizioso, con il quale ha scalzato e
spodestato Pulcinella, per realizzare un teatro adeguato a un pubblico che “voleva
ridere” ma vedere attori e non maschere sul palcoscenico, attori ben vestiti
che recitassero e non improvvisassero… La comicità deve nascere dallambiente,
dalla situazione scenica, dal personaggio… Ma io credo di aver avuto le mie
buone ragioni di averla cercata soprattutto nella borghesia dove essa zampilla
più limpida e copiosa. La plebe napoletana è troppo misera, troppo squallida,
troppo cenciosa per poter comparire ai lumi della ribalta e muovere il riso».
Intercettati i gusti del
pubblico, allattore non rimaneva che raccogliere i dividendi: artistici ed
economici. Ed è proprio al culmine della sua carriera che Martone comincia a
rappresentarlo e a seguirlo senza dargli troppo respiro. È nella villa
costruita con i cospicui guadagni, e nella quale intendeva programmaticamente
imporre il suo volere («Qui rido io») che lo studia nel suo andirivieni vorace
tra casa e teatro ma soprattutto tra i vari piani della dimora: una sorta di harem in cui lo smisurato animale da
palcoscenico aveva organizzato i suoi differenti appetiti. Al piano nobile la
famiglia “regolare” anche se un po plurale; con la consorte legittima Rosa De Filippo e i tre figli di varia
provenienza: Domenico, forse figlio
del re dItalia, Maria, frutto di
una relazione extraconiugale, e finalmente in comune Vincenzo. Al piano sottostante è posta la paziente Luisa De Filippo, nipote della moglie e
feconda fattrice di Annunziata (poi detta Titina),
di Eduardo e del piccolo Peppino. In
luoghi più conviviali si incrociava Anna De Filippo, sorellastra della moglie Rosa e madre di ulteriori rampolli di
Scarpetta: un altro Eduardo De Filippo e Pasquale De Filippo. Probabilmente
anche Ernesto Murolo fu un ulteriore
risultato del suo attivismo amatorio.
Con una ricostruzione
suggestiva e precisa Martone fa muovere questo concentrato del teatro
napoletano di quasi un secolo. Perché il microcosmo che ruota intorno alle
prepotenze scarpettiane sarà anche la spina dorsale del teatro a venire. La
paternità come patrimonio è infatti quotidianamente esercitata nellallenamento
dei figli alle scene (vedi la rotazione dei piccoli nel ruolo di Peppiniello in Miseria e nobiltà), nelle imposizioni
al maggiore Vincenzo del peso di uneredità soffocante, nelle sfacciate
predilezioni.
La dimensione del
personaggio deborda dalla sia pur estesa importanza teatrale e allaga lintera
vita culturale nella ricaduta del processo per plagio intentatagli dal Vate per
la parodia de La figlia di Iorio. Fernando Russo, Roberto Bracco, Salvatore di Giacomo, Libero Bovio, Ernesto Murolo affiancano le ragioni
del teatro darte contro la bassezza della contraffazione mentre Benedetto Croce si erge in difesa del diritto di trasformare il sublime in
ridicolo come è nella vita: «La parodia è nellarte perché è nella vita». Al
processo, che chiamò osservatori da tutto il mondo e farà giurisprudenza con la
sentenza di assoluzione nel 1908, Scarpetta si esibì nellultima grande captatio del pubblico. Benché assolto
con una sentenza storica si ritirò poco dopo dalle scene imponendo al figlio
Vincenzo di prolungare indefinitamente la vita di Sciosciammocca.
Grande il merito di
Martone nellaver reso lineari e non sovraccariche le linee narrative della
sceneggiatura (scritta con la consueta Ippolita Di Majo), decisive nellesito la fotografia di Renato Berta, il
montaggio di Jacopo Quadri, le
scenografie di Giancarlo Muselli e Carlo Rescigno. Grande la capacità di aver diretto il
complesso coro di tutti i personaggi attingendo con intelligenza dallinfinito
scrigno napoletano. Come non citare almeno Maria Nazionale e Cristiana Dell'Anna nel ruolo di Rosa e Maria De Filippo? E come non restare incantati dallo
sguardo attonito, vera reincarnazione sciosciammocchiana, dellomonimo
discendente, Eduardo Scarpetta nei panni del maltrattato e adorato Vincenzo? Un
film così comunque non si fa se non si ha a disposizione un attore infinito,
impudente, un animale da palcoscenico che si diverte a giocare tutte le sue
carte: in faccia al pubblico, come Scarpetta fece in faccia al pubblico e ai
giudici, un attore capace di passare lo schermo come il palcoscenico e andare
direttamente a scovare, uno per uno i suoi spettatori. Mario Martone aveva Toni Servillo. Impresa compiuta.