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Libero arbitrio

di Giuseppe Mattia
  Plan 75
Data di pubblicazione su web 23/05/2023  

Martin Scorsese una volta ebbe a dire che le uniche cinematografie al mondo in grado di raccontare realmente la propria cultura nazionale attraverso la settima arte sono quella italiana e quella giapponese. Plan 75, lungometraggio d’esordio della regista e sceneggiatrice di Tokyo Chie Hayakawa, riesce con successo a restituire sul grande schermo numerose sfumature della realtà nipponica. Il titolo – co-prodotto da Giappone, Francia e Filippine – è stato presentato al 75º Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, aggiudicandosi la menzione speciale alla Caméra d’or, premio assegnato alla miglior opera prima. Distribuito in Italia da Tucker Film a partire dallo scorso 11 maggio, l’opera dell’autrice classe 1976 indaga una società distopica (ma non troppo) alle prese con un ingestibile problema demografico dovuto all’elevata età media della popolazione e a un crollo vertiginoso delle nascite, tema quanto mai attuale anche nel nostro paese.



Una scena del film

Tramite una voce radiofonica veniamo a conoscenza che il governo giapponese ha promulgato una legge (Plan 75) che concede agli individui ultrasettantacinquenni il diritto di ricorrere all’eutanasia in cambio di una grossa somma di denaro. L’incipit, da manuale di storia del cinema, allude a una reale carneficina compiuta all’interno di una casa di riposo. Il film segue in particolare tre principali vicende umane, a cominciare da quella di Mishi (Chieko Baishō), vedova settantottenne che nonostante goda di buona salute viene un giorno licenziata dal suo impiego in un albergo, costringendola ad aderire a Plan 75, complice l’imminente sfratto che l’attende. Fanno da contrappunto le storie di due giovani: Himoru (Hayato Isomura), consulente del programma governativo, che cerca di riallacciare un legame famigliare con lo zio paterno (Taka Takao), intenzionato a prendere parte anch’egli all’iniziativa e provocando una crisi nel ragazzo; e Maria (Stefanie Arianne), infermiera filippina che per raccogliere una somma di denaro sufficiente per un’operazione chirurgica alla figlia cardiopatica decide di assistere gli anziani che partecipano a Plan 75, rendendosi presto conto delle contraddizioni e delle ambiguità dell’iniziativa.

La struttura tripartita risulta funzionale a mostrare e indagare il programma Plan 75 da più angolazioni, mettendo in luce le diverse pratiche di normalizzazione di una procedura che fa della morte una pratica utilitaristica, “sfruttando” di fatto esistenze ai margini, reputate un ostacolo per il benessere ma anche per le prospettive di crescita economiche del Paese. Da un punto di vista puramente etico, a rendere ancora più inquietante il tutto è proprio il fatto che siano gli anziani stessi ad avanzare la propria candidatura, attratti dal fuoco come falene (una sorta di harakiri) per sfuggire a esistenze intrise di solitudine, silenzi e indicibili ristrettezze, stuzzicati da una ricompensa in denaro (da donare eventualmente ai familiari) e da alcuni benefici (saune, piscine, trattamenti regali) da godersi negli ultimi giorni di vita.



Una scena del film

Da sempre la cinematografia giapponese ha a cuore la questione degli individui attempati, considerandoli in molte storie scomodi, improduttivi e importuni. Si pensi a Ikiru (1952) di Akira Kurosawa o all’incommensurabile Tōkyō monogatari (1953) di Yasujirō Ozu. In quest’ultimo film una coppia di anziani genitori si sente pressata, così come il personaggio di Michi, da una modernità incombente, vivendo un vero e proprio terrore esistenziale di fronte alla possibilità di disturbare o di essere una zavorra per la società e per i propri cari, giungendo addirittura a contemplare concretamente la possibilità di farsi da parte, un po’ come a proprio modo succede in Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica. Questi tre titoli condividono con Plan 75 suggestioni e atmosfere legate alla speranza di risollevarsi e di seguire quell’umana spinta che ci tiene lontani da una passiva accettazione della morte.

La regia misurata e per lunghi tratti impalpabile di Hayakawa predilige inquadrature fisse e scene di interni, osando svariate e suggestive messe a fuoco (tra le quali spicca la prima agghiacciante inquadratura del film). Risultano praticamente assenti (per fortuna) tentativi di cercare ossessivamente commozione, climax o pathos. Inoltre, l’utilizzo di ambienti e oggetti contemporanei è un valore aggiunto in una storia ambientata nel futuro, contribuendo ad ancorarla con vigore al presente e inducendo lo spettatore a dimenticare di trovarsi di fronte una distopia. La freddezza degli ambienti governativi, resa da un apprezzabile lavoro sulle luci e sulla color correction, è funzionale a provocare una netta contrapposizione con le abitazioni e con gli ambienti domestici dei tre personaggi principali. Sul comparto attoriale lodevole la struggente interpretazione di Chieko Baishō, prodigiosa nel restituire compostezza, tenerezza, eleganza e un profondo senso di dignità anche nei momenti di sottomissione alle cieche logiche della modernità.



Una scena del film

Il film conferma la tendenza della recente cinematografia giapponese (si pensi a Love Life, 2022, di Kôji Fukada; a Drive My Car, 2021, di Ryūsuke Hamaguchi; oppure a Sandome no satsujin, 2017, di Hirokazu Kore’eda) a esaltare la lentezza, i silenzi, i vuoti e l’attesa. Un film impareggiabile anche nella celebrazione di dettagli: dagli oggetti – come la ruota di una sedia a rotelle che gira subito dopo la strage – fino agli sguardi, da quello dritto in macchina della centralinista di Plan 75, che prende coscienza del sistema aberrante, fino allo scambio di occhiate tra Mishi e lo zio Hiromu, entrambi inchiodati a un lettino e consci del tramonto incombente. A trionfare sulle leggi del mercato e del profitto sarà il libero arbitrio, unica arma possibile per rivendicare il diritto di invecchiare.




Plan 75
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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