Martin
Scorsese
una volta ebbe a dire che le uniche cinematografie al mondo in grado di
raccontare realmente la propria cultura nazionale attraverso la settima arte
sono quella italiana e quella giapponese. Plan 75, lungometraggio desordio
della regista e sceneggiatrice di Tokyo Chie Hayakawa, riesce con
successo a restituire sul grande schermo numerose sfumature della realtà nipponica.
Il titolo – co-prodotto da Giappone, Francia e Filippine – è stato presentato al
75º Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, aggiudicandosi la menzione
speciale alla Caméra dor, premio assegnato alla miglior opera prima. Distribuito
in Italia da Tucker Film a partire dallo scorso 11 maggio, lopera dellautrice
classe 1976 indaga una società distopica (ma non troppo) alle prese con un
ingestibile problema demografico dovuto allelevata età media della popolazione
e a un crollo vertiginoso delle nascite, tema quanto mai attuale anche nel
nostro paese.
Una scena del film
Tramite
una voce radiofonica veniamo a conoscenza che il governo giapponese ha promulgato
una legge (Plan 75)
che concede agli individui ultrasettantacinquenni il diritto di ricorrere alleutanasia
in cambio di una grossa somma di denaro. Lincipit, da manuale di storia del
cinema, allude a una reale carneficina compiuta allinterno di una casa di
riposo. Il film segue in particolare tre principali vicende umane, a cominciare
da quella di Mishi (Chieko Baishō), vedova settantottenne che nonostante goda di buona salute viene un
giorno licenziata dal suo impiego in un albergo, costringendola ad aderire a
Plan 75, complice limminente sfratto che lattende. Fanno da contrappunto le
storie di due giovani: Himoru (Hayato Isomura), consulente del programma
governativo, che cerca di riallacciare un legame famigliare con lo zio paterno (Taka Takao), intenzionato a
prendere parte anchegli alliniziativa e provocando una crisi nel ragazzo; e
Maria (Stefanie Arianne), infermiera filippina che per raccogliere una
somma di denaro sufficiente per unoperazione chirurgica alla figlia
cardiopatica decide di assistere gli anziani che partecipano a Plan 75,
rendendosi presto conto delle contraddizioni e delle ambiguità delliniziativa.
La struttura tripartita risulta funzionale a mostrare e indagare il
programma Plan 75 da più angolazioni, mettendo in luce le diverse pratiche di
normalizzazione di una procedura che fa della morte una pratica utilitaristica,
“sfruttando” di fatto esistenze ai margini, reputate un ostacolo per il
benessere ma anche per le prospettive di crescita economiche del Paese. Da un
punto di vista puramente etico, a rendere ancora più inquietante il tutto è
proprio il fatto che siano gli anziani stessi ad avanzare la propria
candidatura, attratti dal fuoco come falene (una sorta di harakiri) per sfuggire
a esistenze intrise di solitudine, silenzi e indicibili ristrettezze,
stuzzicati da una ricompensa in denaro (da donare eventualmente ai familiari) e
da alcuni benefici (saune, piscine, trattamenti regali) da godersi negli ultimi
giorni di vita.
Una scena del film
Da sempre la cinematografia giapponese ha a cuore la questione degli
individui attempati, considerandoli in molte storie scomodi, improduttivi e
importuni. Si pensi a Ikiru (1952) di Akira Kurosawa o allincommensurabile
Tōkyō monogatari (1953) di Yasujirō Ozu. In questultimo film una
coppia di anziani genitori si sente pressata, così come il personaggio di
Michi, da una modernità incombente, vivendo un vero e proprio terrore
esistenziale di fronte alla possibilità di disturbare o di essere una zavorra
per la società e per i propri cari, giungendo addirittura a contemplare
concretamente la possibilità di farsi da parte, un po come a proprio modo
succede in Umberto D. (1952) di Vittorio De Sica. Questi tre
titoli condividono con Plan 75 suggestioni e atmosfere legate alla
speranza di risollevarsi e di seguire quellumana spinta che ci tiene lontani
da una passiva accettazione della morte.
La regia misurata e per lunghi
tratti impalpabile di Hayakawa predilige inquadrature fisse e scene di interni, osando svariate e
suggestive messe a fuoco (tra le quali spicca la prima agghiacciante
inquadratura del film). Risultano praticamente assenti (per fortuna) tentativi
di cercare ossessivamente commozione, climax o pathos. Inoltre, lutilizzo di
ambienti e oggetti contemporanei è un valore aggiunto in una storia ambientata
nel futuro, contribuendo ad ancorarla con vigore al presente e inducendo lo
spettatore a dimenticare di trovarsi di fronte una distopia. La freddezza degli
ambienti governativi, resa da un apprezzabile lavoro sulle luci e sulla color
correction, è funzionale a provocare una netta contrapposizione con le
abitazioni e con gli ambienti domestici dei tre personaggi principali. Sul
comparto attoriale lodevole la struggente interpretazione di Chieko Baishō, prodigiosa
nel restituire compostezza, tenerezza, eleganza e un profondo senso di dignità
anche nei momenti di sottomissione alle cieche logiche della modernità.
Una scena del film
Il film conferma la tendenza della
recente cinematografia giapponese (si pensi a Love Life, 2022, di Kôji Fukada; a Drive
My Car, 2021, di Ryūsuke
Hamaguchi; oppure a Sandome
no satsujin, 2017, di Hirokazu
Koreeda) a esaltare la lentezza, i silenzi, i vuoti e lattesa. Un film
impareggiabile anche nella celebrazione di dettagli: dagli oggetti – come la
ruota di una sedia a rotelle che gira subito dopo la strage – fino agli sguardi,
da quello dritto in macchina della centralinista di Plan 75, che prende
coscienza del sistema aberrante, fino allo scambio di occhiate tra Mishi e lo
zio Hiromu, entrambi inchiodati a un lettino e consci del tramonto incombente.
A trionfare sulle leggi del mercato e del profitto sarà il libero arbitrio,
unica arma possibile per rivendicare il diritto di invecchiare.
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