Evento
abbastanza inusuale quello della distribuzione di un film in concorso durante
lo svolgimento della Mostra (si ringraziano a tal proposito “quei bravi
ragazzi” di Lucky Red). Lultima pellicola di Paul Schrader, presentata
il 2 settembre a Venezia, è una delle quattro opere statunitensi in lizza per
il Leone doro. A quattro anni da First Reformed (2017), il cineasta settantacinquenne
del Michigan propone lennesima storia di antieroi solitari alla spasmodica
ricerca di redenzione, filo rosso che avvolge capolavori quali Taxi Driver (1976),
American Gigolo (1990), fino a Light Sleeper (1992). Un tavolo
verde da gioco fa da sfondo ai titoli di testa, precedendo una voce narrante
che paragona la vita al blackjack: ogni mossa condiziona quella
seguente, fino allepilogo.
Una scena del film
William
“Tell” Tillich (Oscar Isaac) – nomen omen che rimanda alleroe
elvetico cantato dai vari Schiller e Rossini – è un ex detenuto
con la passione per il gioco dazzardo (il titolo originale del film, quasi
intraducibile, The Card Counter, si riferisce alla sottile e delicata pratica
del conteggio delle carte). Un flashback realizzato con un suggestivo obiettivo
fish-eye distorto ripercorre gli orrori da lui compiuti in veste
di soldato-torturatore presso la prigione irachena di Abu Ghraib, allorigine
dei dieci anni circa passati dietro alle sbarre. Mantenendo un profilo basso e
girovagando per gli Stati Uniti tra bische e case da gioco (ambienti tanto cari
al produttore esecutivo Martin Scorsese) incontra Cirk (Tye Sheridan),
figlio di un ex carceriere di Bagram morto suicida a causa di un ingestibile disturbo
da stress post-traumatico. Altro suo incontro è quello con la giocatrice e
futura socia La Linda (Tiffany Haddish), con cui instaurerà una
relazione più che professionale. Latarassia del protagonista viene stravolta
quando Cirk proverà a coinvolgerlo in un piano di vendetta nei confronti del
Maggiore Gordo (Willem Dafoe), tra i principali responsabili dei crimini
di guerra nelle prigioni mediorientali ma che, forte del suo grado, ne è uscito
incolume (la scelta dellattore antagonista rimanda inevitabilmente al suo
ruolo controverso in Platoon, 1986, di Oliver Stone, ispirato al
massacro di My Lai, Vietnam).
Una scena del film
Il
passato violento, nella poetica di Schrader, è destinato a tormentare i
protagonisti dei suoi film, incapaci di proseguire serenamente il viale della
loro esistenza, privati della possibilità di raggiungere lagognata armonia. Il
resto degli eventi, le interazioni e le interrelazioni sono un mero pretesto
per ribadire quel loro destino ineluttabile. Le atmosfere disturbanti e asettiche
dei non-luoghi, i sospiri fuori campo, le luci al neon e le musiche (sublimi) ricostruiscono
in maniera sapiente il senso di disagio, di angoscia e di chiusura. La colonna
sonora composta da Robert Levon Been (in)segue Isaac (già interprete del
coeniano Inside Llewyn Davis, 2013), la cui dicotomia interiore tra
fermezza e cieca brutalità ricorda una spessa coperta di lana inutilmente
adagiata su un braciere ardente sul punto di erompere.
Una scena del film
Eppure
il plot risulta banale, privo di mordente, “etereo” come il tentativo di
riscatto attraverso unipotetica liaison amorosa con La Linda e un
sentimento paterno rimasto sopito e inespresso per anni. Anche la parabola
ludica, soprattutto nella seconda parte, è priva di ogni tensione, sia emotiva
che narrativa, lontana anni luce dal citato Cincinnati Kid (1965) di Norman
Jewison o dallo (ancora) scorsesiano The Color of Money (1986). I rarissimi
colpi di scena risultano fugaci e impalpabili, buttati nella mischia senza
criterio e direzione. Si salva solo la tematica quanto mai attuale dei soprusi
e degli abusi dufficio da parte delle istituzioni. Ma unarmatura scintillante
senza dentro un guerriero è destinata a collassare su sé stessa.
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