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Puoi uccidere il rivoluzionario ma non la rivoluzione

di Giuseppe Mattia
  Judas and the Black Messiah
Data di pubblicazione su web 02/05/2021  

Ci sono film più urgenti di altri. Alcuni di essi, come questo Judas and the Black Messiah, contribuiscono a far riemergere verità considerate inopportune, occultate da quelle che siamo soliti definire “democrazie”. Il regista newyorkese Shaka King propone sullo schermo una Chicago oscura durante il turbolento passaggio tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, concentrandosi principalmente sulla figura di Fred Hampton (Daniel Kaluuya), leader del Black Panther Party in Illinois, e su quella di William O’Neal (Lakeith Stanfield), ladro di automobili che per evitare la prigione accetta di infiltrarsi nelle Pantere Nere collaborando con l’agente dell’FBI Roy Mitchell (Jesse Plemons).

Con ben sei candidature agli Oscar, il film si è aggiudicato due statuette, rispettivamente per il miglior attore non protagonista (Kaluuya) e per la miglior canzone. La tutela dei diritti civili, troppo spesso calpestati anche in Occidente, rappresenta una cifra preponderante per la cinematografia americana degli ultimi anni, dai movimenti per la parità dei sessi all’integrazione razziale. King – che porta sulle spalle un cognome fin troppo evocativo – si avvale di un cast di prim’ordine adottando un punto di vista originale che fa ben sperare per il suo futuro da regista, essendo questo il suo secondo lungometraggio.



Una scena del film

Dopo la premessa iniziale di una storia ispirata a fatti realmente accaduti, appaiono sullo schermo vari filmati di repertorio tra cui un’intervista al vero William O’Neal (il “Giuda” del film), vendutosi a quei federali che rivestono un ruolo fondamentale di ostruzionismo e di soffocamento verso i nuovi partiti e organizzazioni nascenti. La mente corre a Il processo ai Chicago 7 (2020), in cui il timore del governo Nixon e dell’amministrazione Hoover paventava una possibile coalizione degli schieramenti con i comunisti, al fine di sovvertire l’ordine costituito adottando un’ottica marxista-leninista incentrata sulla lotta di classe. Il movimento di liberazione degli afroamericani trova qui una sua rappresentazione ideale non solo nelle figure di Malcolm X e di Martin Luther King ma anche in quella di attivisti come Hampton (“il Messia nero”), vittima di una vera e propria cospirazione ai suoi danni.



Una scena del film

ĞL’America è in fiamme!ğ, dice Fred a un gruppo di sudisti per convincerli ad allearsi, aggiungendo che la città di Chicago è quella con più ghetti degli Stati Uniti. Come non leggervi una diretta accusa al sistema dei valori statunitensi degli ultimi anni durante la presidenza Trump, rea di aver riacceso sentimenti razzisti legati al movimento ideologico della White Supremacy? Si perde ormai il conto negli ultimi anni degli abusi di potere da parte delle forze dell’ordine, responsabilità che la pellicola riconduce ai “piani alti”: dal capo della polizia, al sindaco, al governatore, al Presidente: un vero e proprio razzismo istituzionalizzato. La scelta di raccontare un’organizzazione, politica o criminale che sia, attraverso gli occhi di individui inizialmente estranei, ha esempi celebri nella settima arte: Donnie Brasco (1997) di Mike Newell, The Departed (2006) di Martin Scorsese fino a Eastern Promises (2007) di David Cronenberg. Questa componente aggiunge ulteriore tensione alla narrazione per quanto riguarda il rischio che corre la talpa di venire scoperta. A tal proposito impossibile non citare BlacKkKlansman (2018) di Spike Lee, storia di Ron Stallworth, poliziotto afroamericano infiltratosi nel KKK.



Una scena del film

Judas and the Black Messiah è una pellicola ben calibrata sia nella forma sia nel contenuto, con pochi ma intelligenti picchi (come la sparatoria verso il finale) valorizzati mirabilmente dal montaggio – che conferisce la giusta cadenza senza strafare – e dalla fotografia che valorizza ambiguità cromatiche tra giorno e notte nelle sfumature e nei toni. Altro fattore importante riguarda il connubio inseparabile tra la politica e la vita personale dei protagonisti, in una sceneggiatura equilibrata che, tassello dopo tassello, ricostruisce il mosaico di un rapporto tortuoso tra l’establishment e la sinistra radicale del tempo, di una lotta al capitalismo sostenuta dal socialismo (tematica riscontrabile anche in Mank). I due protagonisti, il “Giuda” e il “Messia”, si equivalgono impedendo alla scrittura di entrare troppo nelle pieghe psicologiche, restituendo tuttavia una parabola cristologica frammentata ma efficace. Hempton, verso il finale, ricorda quell’accettazione del proprio destino come un Socrate dinanzi i propri discepoli o come un Cristo nel Getsemani.




Judas and the Black Messiah
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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