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Un'altra storia di violenza

di Emanuele Nespeca
  "La promessa dell'assassino"
Data di pubblicazione su web 08/10/2007  
David Cronenberg ne La promessa dell'assassino, presentato con successo nella sezione ufficiale del 55° festival di San Sebastian, continua il proprio personale percorso narrativo raccontando ancora un’altra ‘storia di violenza’. Se, però, nel lavoro precedente History of violence (2005), a cui quest’ultima opera sembra direttamente collegarsi, il regista canadese sembrava voler nascondere accuratamente la propria mano, allo stesso modo in cui il protagonista Tom si sottrae al ricordo della passata vita da killer professionista, qui la direzione assume una forza epica dovuta alla consapevolezza con la quale l’autore mescola i meccanismi del thriller noir alla narrazione. D’altra parte, come sottolinea lo stesso Viggo Mortensen, protagonista di entrambi i film, ne La promessa dell'assassino  il personaggio di Nikolai, anch’egli costretto a celare il proprio passato, "sa cosa vuole e soprattutto sa chi è".



La caduta del regime socialista ha fatto emergere una miseria e un’insofferenza diffusa in gran parte della popolazione dei paesi dell’ex Unione Sovietica, che di conseguenza ha visto aumentare negli ultimi anni l’emigrazione di giovani ragazzi e ragazze disposti a lasciare l’Europa orientale per inseguire le promesse della ‘civile’ Europa occidentale. Quelle promesse di una vita migliore, di un mondo nuovo, a cui si riferisce il titolo del film, si trasformano però nella maggioranza dei casi nella barbarie dello sfruttamento, che nel caso delle donne, anche molto giovani, significa prostituzione. All’interno di questo scenario si muove la pellicola di David Cronemerg che, anche grazie all’aiuto di Steven Knight, già sceneggiatore di Dirty Pretty Things di Stephen Frears, e dell’ormai inseparabile direttore della fotografia Peter Suschitzsky, restituisce con attenta dovizia di particolari la vita degli immigrati russi nella capitale britannica e l’orrore della realtà della loro malavita.

Il racconto segue un plot classico da gangster movie, ricordando l’essenzialità del dramma shakespeariano, e si svolge in una Londra antica, ferma in un tempo indefinito, e se possibile ancora più buia, piovosa, cupa, piena di rancori e crudeltà pronte ad esplodere. "Non nevica mai, non fa mai caldo, Londra è una città di puttane e froci", in questo modo il boss della mafia russa, ironicamente sconfortato, conferma la necessaria ineluttabile normalità della violenza nel sistema sociale di ieri e di oggi. Così nella sequenza introduttiva un normale taglio di capelli dal barbiere diventa una sanguinosa esecuzione mafiosa, mentre l’ingresso di una ragazza spaesata in una farmacia si trasforma in una tragica corsa verso l’ospedale; dove Tatiana, questo è il nome della giovane donna ucraina, appena quattordicenne, muore durante il parto dando alla luce una bambina.



Siamo alla vigilia di Natale e quell’avvenimento, quasi profetico, sembra turbare profondamente Anna, l’infermiera di turno, interpretata da una convincente Naomi Watts, che decide di ricercare le origini della piccola cosciente di dover affrontare in qualche modo anche le proprie; visto che anche la sua famiglia ha origini russe. In fondo quello della protagonista è il tentativo di interrompere l’indifferenza della quotidianità per riscattare almeno, se possibile, la vita di quell’unico essere innocente, ma per farlo deve portare alla luce la verità. Verità che i personaggi di Cronenberg, solitamente, preferiscono tenere occultata, perché destabilizzante di una realtà in essere alla quale non ci si può opporre, pena la rivelazione di un altro da sé orribile o diverso con cui è a volte impossibile confrontarsi. Per questo Nikolai, l’autista personale di Kiril (Vincent Cassel) unico figlio ed erede del boss, quando incontra Anna le spiega: "I go right. I go left. I go straight. That’s all I do!". Il personaggio, interpretato magistralmente da Viggo Mortensen, si limita ad andare a destra, a sinistra, diritto, come un eroe tragico moderno, segue l’inesorabile scorrere del destino che egli stesso si è designato senza ripensamenti, senza voltarsi indietro.

Metafora del lavoro dell’attore Nikolai, infiltrato della polizia di stato russa, recita il ruolo del malavitoso ed il suo stesso corpo diventa un luogo sacrificabile per la scena su cui proiettare, attraverso una serie di tatuaggi, la propria trasformazione in un vory v zakone (letteralmente "ladri per statuto"), ovvero un affiliato della mafia russa. Questa favola nera giunge al lieto fine, attraverso una contrastante relazione tra eros e tanatos che coinvolge tutti i personaggi, ma la battaglia dove il bene ed il male si confondono e compenetrano all’infinito non sembra potersi concludere mai. L’infermiera può, così, adottare la piccola Cristhine, il boss arrestato e incriminato per abuso di minore e traffico di prostituzione, mentre lo chauffeur che ha ormai scalato i vertici dell’associazione criminosa, nell’ultima significativa sequenza, ci appare in tutta la sua statuaria ambigua consistenza, imprigionato nel ruolo dell’eroe, costretto a scavare fino alla radice della violenza per poi chissà, forse, riuscire ad estirparla o conviverci per l’eternità.

La promessa dell'assassino
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