Come si riesce a stare in piedi con il corpo e con la mente se gli affetti e le pareti mutano, gli oggetti spariscono, i ricordi sfuggono e la realtà ha il sapore di dubbio e menzogna? The Father, esordio cinematografico di Florian Zeller, si aggiudica sei candidature agli Academy Awards (vincendo nelle categorie di miglior attore protagonista e miglior sceneggiatura non originale) compiendo unimpresa memorabile. Lo sa bene il regista e drammaturgo parigino che, come Emma Dante con Le sorelle Macaluso (2020), traspone sullo schermo una propria pièce, Le père (2012): ispirata a un episodio autobiografico, il quotidiano britannico «The Times» lha definita il miglior dramma del decennio. Alla base della riuscita del film cè invece la traduzione dal francese allinglese – e lapporto in sede di sceneggiatura – di Christopher Hampton, traduttore di Ibsen nonché collaboratore di quel Stephen Frears con il quale ha vinto il premio Oscar per la migliore sceneggiatura non originale per Dangerous Liaisons (1988).
Una scena del film In
una Londra contemporanea risuonano ansiogene le note di Ludovico Einaudi
che a un certo punto diventano diegetiche approdando dalle cuffie alle orecchie
dellanziano Anthony (Anthony Hopkins). La figlia Anne (Olivia Colman)
passa a trovarlo nel suo (?) appartamento per ammonirlo sul comportamento adottato
nei confronti di alcune badanti, scacciate dalluomo in malo modo. Da un
momento allaltro lo spettatore vive, dal punto di vista del protagonista, una
serie di dinamiche “patologiche” causate dalla demenza degenerativa di tipo
Alzheimer. La rocambolesca confusione tra piano del reale e piano dellimmaginario
rende arduo il riconoscimento delleffettivo stato delle cose, accentuato dal
cambio continuo degli attori “secondari” Mark Gatiss, Imogen Poots,
Rufus Sewell e Olivia Williams, capaci di riallacciarsi come se
nulla fosse a un discorso narrativo già in fieri. Affrontando una
tematica già esplorata da Michael Haneke in Amour (2012), Zeller
scolpisce lo smarrimento e lincertezza sul volto di Anthony, inchiodato a
unesistenza contorta nella quale affiorano manie di persecuzione, pensieri
intricati e cospirazionisti.
Una scena del film
Girato
praticamente tutto in interni come Carnage (2011) di Roman Polański
– tratto anchesso da un dramma, Le Dieu du Carnage (2006) della scrittrice
e drammaturga francese Yasmina Reza –, il film, oltre ad avvalersi di
una sceneggiatura solida, può contare sul grande lavoro con le scenografie
mobili concretizzato da Peter Francis. Ulteriore imprescindibile tassello
è il montaggio discontinuo a opera del greco Giōrgos Lamprinos,
distintosi a Venezia con Jusqu'à la garde (2017) di Xavier Legrand.
La macchina da presa, più che i movimenti, (in)segue i pensieri delluomo,
allinterno di unatmosfera claustrofobica, avvertita ai massimi livelli quando,
a un certo punto, Anne apre la finestra della cucina per respirare
profondamente, portando il pubblico a fare lo stesso. Il senso di dipendenza
assoluta che prova il protagonista, incapace persino di infilarsi un maglione,
lo rende ai nostri occhi ancor più vulnerabile e disarmato. In aggiunta si
incrina anche la sua cognizione spazio-temporale, divenuta ondulata e fuorviante. Una scena del film Resterà ai posteri lindimenticabile interpretazione dellattore gallese, titanico nel restituire quel senso di confusione ma anche di struggente fragilità: per tutto il film passeggia con la morte (cognitiva) così come un tempo faceva con una morte antropomorfizzata in Meet Joe Black (1998) di Martin Brest. La sovrapposizione tra i livelli della memoria, quelli onirici e quelli deliranti, vengono valorizzati da indimenticabili arie interpretate da Maria Callas. La vera tragedia narrata è sulla perdita del diritto al ricordo, sia esso il lutto più straziante (la scomparsa di una figlia) o la gioia più inenarrabile (veder sorridere i propri cari). Lassenza di forzature nei risvolti melodrammatici e nel finale rendono The Father unopera asciutta, credibile, viva nel rappresentare con discrezione e sincerità un albero che assiste impotente alla caduta delle proprie foglie.
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