È morto Eimuntas Nekrošius, regista
lituano pluripremiato riconosciuto a livello internazionale, direttore prima
del Valstybinis Jaunimo Teatras (Teatro stabile della Gioventù) di Vilnius, poi
fondatore nel 1998 del teatro-studio Meno Fortas. Era
arrivato per la prima volta in Italia, al Festival di Parma, nella primavera
del 1989 con Pirosmani pirosmani (1981)
e Zio Vanja (1986) e con le platee e
la critica nostrana era stato subito
colpo di fulmine. Da lì in poi tournées, premi e
riconoscimenti (fra tutti il premio Ubu a Le
tre sorelle per il miglior spettacolo straniero rappresentato in Italia nel
1996), laboratori con giovani attori italiani; regie liriche, come quella del Faust di Gounod per La Scala nel
2010 e poi la direzione artistica del Teatro Olimpico di Vicenza dal 2011 al
2013. Ancora con lItalia stava lavorando in questi mesi: per un Edipo a Colono al Festival di Napoli del
prossimo giugno.
Nel 1989 il trentasettenne regista
arrivava da un paese ancora saldamente sotto loccupazione sovietica. Formatosi
come attore in una delle scuole istituzionali di Mosca (listituto di arti
teatrali Lunačarskij), radicato
in una tradizione di attivazione psichica e fisica dellattore, portava spettacoli
dimpatto per limmediatezza del linguaggio attoriale e la composizione
visionaria della scena.
Nekrošius alle prove di Kalės Vaikai di Saulius Šaltenis, allestimento debuttato
il 2 marzo 2018 (Klaipèdos darmos teatras)
Il suo teatro colpiva ed emozionava il
pubblico per il linguaggio primordiale, barbaro. Energia e fisicità. Sul palco immagini forti e insolite e la
dinamicità di attori la cui complessa partitura gestuale riusciva a mantenere
freschezza e vivacità anche dopo mesi e anni di tournées.
«Personalmente preferisco un teatro
grezzo e perfino ciarlatano, primitivo» affermava nel 1997 lo schivo regista in
una delle non numerose interviste concesse su un lavoro che amava creare sulla
scena, più che commentare. «Noi lituani abbiamo una biografia molto diversa dal
resto dEuropa. Non siamo né francesi né inglesi. Siamo cresciuti nei campi di
patate. Non si possono rinnegare le proprie origini. Non abbiamo bisogno di
emulare nessuno».
Limpatto che hanno sempre avuto gli spettacoli
di Nekrošius viene dalla (apparente) semplicità con cui il racconto sta al
centro di una scena viva di passioni e sentimenti, folgorante per la fascinazione
degli elementi che la attraversano: fuoco, acqua, metallo, terra, legno. Un
equilibrio unico tra concretezza e metaforicità in una estrema materialità che «contiene
il soffio metafisico dellassoluto, dellinvisibile, un azzeramento della
materia attraverso la materia stessa, del visibile attraverso la materialità
dellimmagine» (B. Roberti, LAmleto
secondo Nekrošius o la materia immaginata, in Eimuntas Nekrošius, a cura di
V. Valentini, Soveria Mannelli, Rubbettino, 1999, pp. 153-163: 157).
Sono spettacoli che di norma – a
differenza di molti di quelli di altri grandi registi contemporanei – partono
da testi drammatici classici: Čechov (in traduzione lituana) è forse
lautore che gli ha guadagnato maggior fama (e in quattro continenti!), ma è impossibile dimenticare la potenza
delle messe in scena shakespeariane (in particolare Hamletas, 1997 e Makbetas, 1999, portati più volte anche in Italia),
e i molti lavori su autori come Gogol, Puškin, Goethe, Tolstoj…
Masha Musy in Anna Karenina, 2008 (Produzione Emilia Romagna Teatro
Fondazione, Teatro Biondo Stabile di Palermo)
Critici di casa, ma anche di Mosca e di New
York gli hanno talvolta contestato una eccessiva libertà nei confronti del
testo drammatico, lesiva dei “diritti” del drammaturgo. Nekrošius ha spesso
eliminato parti (anche lunghe) di testo, così come talvolta ha aggiunto intere scene
(verbali o non verbali), di pura invenzione. Il suo lavoro non è mai stato scontato
o ripetitivo. Ogni messa in scena ha avuto la sua particolare cifra. Quella che
non è mai mancata, secondo quanto testimoniano gli attori, è la capacità di accendere
la loro immaginazione, facendoli lavorare anche attraverso limprovvisazione e puntando
sul loro apporto creativo.
Andrius Mamontovas,
lapplauditissimo cantante lituano sottratto alle scene rock per vestire i
panni di Amleto, ha raccontato: «Nekrošius lavora su differenti scene dello
spettacolo, non seguendo lordine del testo originale. Un giorno prova un brano
e il giorno successivo un altro. Dà delle linee generali su cui improvvisare.
Per lui il testo non è importante. Ama lazione. Il dramma è un dramma
dazione. Nekrošius chiede agli attori di eseguire delle azioni, osserva e dice
se va bene e comincia a parlare della scena e del dramma, mentre gli attori
seduti attorno lo ascoltano. […] Chiede sempre a ogni attore di esprimere ciò che
prova riguardo alla situazione o alla parte» (A.
Mamontovas, È stato sempre un mio vecchio
sogno fare lattore, intervista a cura di V. Valentini, ivi, pp. 91-92).
Il gesto prevale sulla parola. Lalternanza
di dimensione ludica e solennità, “tragico” e “comico”, gag e momenti epici, silenzio e squarci sonori
intensi conferiscono allo spettacolo un ritmo narrativo fluido e avvincente
così che le molte ore di durata usuali per le produzioni del regista sono
unesperienza di incanto per lo spettatore che, nonostante spesso debba
affidarsi ai sovratitoli per la traduzione delle battute, non perde mai il filo
né il senso dellazione e conserva nella memoria immagini travolgenti e
ancestrali insieme, come quelle del lampadario di ghiaccio che si
scioglie in Hamletas o delle camicie
bianche crocifisse nel Makbetas o
della rincorsa sulle sedie in Otelas.
Un momento
dellHamletas, 1997
(produzione LIFE)
Non solo: «Il testo verbale non è
rifiutato, né disarticolato […] né è usato spregiudicatamente come materiale,
in cui interpolare frammenti provenienti da altri testi. Nel teatro di Nekrošius […] la fabula è sfrondata da elementi verbali ridondanti, in modo da
metterne a nudo lossatura portante senza disarticolare la struttura narrativa» (ivi, p. 95).
Non è certo facile il raggiungimento di
un tale equilibrio tra rispetto e interpretazione, sfrondamento e reinvestitura
del testo. Non per nulla Nekrošius parlava di duro lavoro: «solo un duro
lavoro può salvarti… Il dovere. Certamente cè un insieme delle tue esperienze
pregresse, che vengono fuori dalle tasche, dalle maniche. Tutto ciò che sai.
[…]. Ma non sai di più con letà. È un cliché che con letà si acquisiscano
saggezza e consapevolezza. Bisognerebbe dire che le perdiamo. Perdiamo
consapevolezza, arguzia e sensi. Si sviluppa apatia. […] Preferirei che fosse
il contrario, tuttavia è fisiologico…» (Eimuntas Nekrošius: nutolinti horizonta,
film-documentario di A. Liuga, cit. in M. Masselli, Eimuntas Nekrošius. Allontanare lorizzonte, «Teatro e critica», 15
dicembre 2016).
La saggezza e la consapevolezza del
percorso di ricerca che, con coerenza ma senza ridondanza, Nekrošius ha
sviluppato a partire dal debutto di quel lontano febbraio 1977 ci
dovranno bastare: la sorte non
gli ha concesso di verificare se nel suo caso, magari, il cliché delletà potesse invece essere fondato.
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