L'amore che, non trovando canali piani lungo i quali fluire, si accartoccia su se stesso a formare un grumo nel cuore, sorgente, a seconda della sensibilità e delle esperienze, di malinconia lieve o di cinismo, di pazzia o di lucido disincanto. E, poi, la vecchiaia, quella anagrafica ma anche quella di chi rinuncia ai propri sogni, per non cedere a compromessi ovvero per scansare il dolore. E, ancora, l'arte e il teatro: la ricerca di "nuove forme" che, tuttavia, si rivelano vuoti velleitarismi allorché realizzate senza sincera emozione.
C'è tutto questo, e anche la tragica comicità di Cechov - in questo davvero anticipatore di Beckett - nel Gabbiano messo in scena da Nekrosius alla Biennale di Venezia. Sul palcoscenico - qualche sedia, un piccolo palco circondato da girandole gialle e blu, i secchi d'alluminio colmi d'acqua a suggerire il lago - risuonano spesso risate, soprattutto nel primo tempo, ma esse diventano man mano più nervose e rare. L'agitata inquietudine - Dorn, il dottore, chiede a Kostja il perché siano tutti così nervosi - condiziona il comportamento dei personaggi e si traduce in una recitazione essa stessa nervosa, franta e nondimeno indiscutibilmente armonica.
I duetti fra i personaggi principali - Kostja e Nina, Kostja e la madre Irina, ma anche Maša e Medvedenko - sono confronti fisici prima che verbali. Kostja fa ruotare come una bambola la sottile Nina, quasi volesse estrarre da lei quel talento che sa mancargli; mentre, alternando teneri abbracci a un improvviso impulso a strozzare, palesa il suo rapporto di odio e amore verso la madre, gretta e incapace di rinunciare al ruolo di primadonna fuori dal teatro. Nekrosius trascura molte parti del dramma e dilata invece proprio questi confronti, risolvendoli spesso in intensi pas à deux che costringono gli interpreti a un notevole impegno fisico.
Lo spettacolo, d'altronde, attinge la sua suggestione e la sua coinvolgente carica emotiva proprio dalla generosità interpretativa di tutti i suoi giovani attori, che dalla fatica paiono trarre sempre nuove energie. Da segnalare - ma l'ensemble è davvero di alto livello - la matura sicurezza da primattrice di Pia Lanciotti/Irina, l'incarnazione della sotterranea follia di Nina, tutti i nervi contratti e i movimenti a scatti, da parte di Laura Nardi, e la salda e energica presenza scenica, l'espressività e la versatilità di Fausto Russo Alesi/Kostja. Da non perdere se si crede che il teatro possa ancora profondamente emozionare.
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