Attingere alla memoria e porre
allattenzione testi fondativi dei maestri della scena del Novecento resta
importante e doveroso. Il volume dedicato a Jacques Copeau (1879-1949)
presenta una scelta di suoi Écrits (dal 1905 al 1945) distribuiti in
cinque categorie, indicative della varietà degli interessi e degli argomenti che
ne hanno animato il pensiero e la sua arte. Nella Préface, Béatrice Picon-Vallin rileva le
influenze di Copeau su alcune personalità venute dopo, da Strehler a Mnouchkine.
Il direttore del Piccolo Teatro, prima guida dellOdéon-Théâtre de lEurope, ricordava
di averne subito il carisma assistendo con emozione al Mistero di Santa
Uliva, a Firenze nel 1933, e si dichiarava suo erede per gli ideali comuni
e per lesigenza di una Scuola. La fondatrice del Théâtre du Soleil gli rende
omaggio nel preparare LÂge dor (1975), occasione in cui è indotta anche
a confrontarsi con le idee di Mejerchold sullattore. Presenze
importanti sono segnalate in Charles Dullin, per gli scambi desperienze
sullimprovvisazione, e in Suzanne Bing. Il rapporto con la collaboratrice (anche sentimentale) è rivalutato: «Le
nom de Suzanne Bing doit être cité et mis en valeur, quand on parle de Copeau
chercheur» (p. 11). Il curatore traccia litinerario
del maestro a partire dallambito letterario in cui si forma e dal modo con cui
reagisce a una situazione avvertita moralmente ed esteticamente inaccettabile. Con
le prime scelte sulla propria vocazione, sorgono parole dordine, motti e
programmi duna visione precisa e severa. Molti fra quei messaggi, qui
ripercorsi organicamente, erano già stati diffusi in Italia dagli studi assidui
e amorosi di Fabrizio Cruciani (1971) e di Maria Ines Aliverti
(1988 e 1997). Il curatore del volume Vincenzo Mazza cita Camus
nel condividere un discrimine fra le epoche teatrali, segnate da «un prima e un
dopo Copeau» (p. 15). In snodi sintetici mostra come Copeau si sia affiatato
con gli intellettuali parigini, fra i quali André Gide, Paul Claudel,
Jean Schlumberger, Jules Romains, Roger Martin du Gard,
frequentando dalla fondazione il sodalizio della Nouvelle Revue Française.
Forte, inesausto e convinto, torna
il bisogno di servir lart, per nobilitare la missione, che sentiva
avvilita, di servire innanzi tutto lautore, il drammaturgo-poeta e per sollecitarlo
ad alimentare con le sue opere un repertorio autorevole e di lunga durata. Una visione
profetica, che abbracci un futuro abbastanza lontano per garantire continuità ed
efficacia nello spronare le generazioni venture, si ripete più volte: è del
1921 la conferenza Faire signe aux hommes des ans 2000.
Nel tracciato in tre fasi duna
vita feconda di progetti, di riuscite e qualche scacco, la prima fase risulta la
più affollata e creativa, nei momenti rivelatori decisivi, quelli delle scelte del
tréteau nu, della scena fissa e denudata e dellécole, seguiti
dalla formazione dei Copiaus, gruppo sperimentale e itinerante in Borgogna. Quasi
una biografia critica, che nella seconda e terza fase segue la scansione impostata
nei Registres,
pubblicati recentemente (si vedano le nostre recensioni qui e qui).
Gli Scritti nascono da unacuta
percezione dei problemi del presente e da fedeltà alla tradizione. Nella recensione
di LArt théâtral moderne (1910) di Jacques Rouché, a
proposito della messa in scena, Copeau rivendica larmonizzazione di tutte le
componenti dellopera drammatica nello spettacolo e ritiene limitato considerarla
una «dépendance de lart plastique» (p. 45) e quindi rifiuta la parzialità
dello storico. Il nesso logico fra definizioni e obiettivi artistici è subito evidente
nel “manifesto” fondatore del Vieux-Colombier: «Par mise en scène nous
entendons: le dessin dune action dramatique» (p. 46).
In Comment jouer bien Molière? (1917) al pensiero si fonde la
pratica, nei rilievi sullo stile del grande drammaturgo e nel rispetto dei suoi
criteri normativi sulla “giusta” recitazione. Così nel programma per Dom Juan: «La scène classique est vide. Le
personnage entre, attaque le silence, meuble de son action propre, de sa gymnastique»
(p. 50). Coerenza di rapporti, sia nellazione, sia nella recitazione,
sono di continuo invocati. Verso gli anni Venti sorgono domande sul futuro, dallintento
di innovare, almeno, prima di sperare in un Rinascimento vero. Mestiere ed arte
sempre corresponsabili, nella coppia di attore e regista conniventi. «Rien nes
plus terrifiant quun metteur en scène qui a des idées» (p. 56), confessa, nel
timore che un riflusso di cabotinage investa stavolta il gestore della
scena. Constatare la funzione crescente della regia è cruccio incessante per
lartista che pure assumeva in sé oltre lattore, il drammaturgo e il regista.
Nella sequenza proposta è facile
distinguere le costanti e le variabili, in una continuità che rispetta il tempo
e sadegua creativamente al suo ritmo mutevole. Ancora in una voce
dEnciclopedia (1935), Copeau affronta la complementarità dellautore-regista. Al
ricordo del Mystère de Santa Uliva, allestito nel chiostro di Santa
Croce a Firenze, aggiunge il racconto emotivo del creatore, impegnato a trarre
profitto dal luogo che lo accoglieva ed esteticamente lo stimolava. La parte
dedicata al tréteau nu testimonia la ricerca delle soluzioni, spaziali
più che scenografiche, imposte dalle condizioni architettoniche del
Vieux-Colombier. Così il dialogo fra il Patron e il suo régisseur
Jouvet si esprime a un livello di sapienza artistica e di sensibilità nei
rapporti personali, implicanti una perizia tecnica e unabilità singolari. Si
trattava allora del problema posto dalla scena concepita in moduli elementari,
dai quali ottenere «solidité et assemblage» (p. 79) che garantissero la
semplicità di costruzione e la funzionalità scenica. La novità attesa, esposta
in una lettera corredata da disegni di Copeau al più giovane compagno, risiedeva
in condizioni capaci di cambiare un dato fondamentale, in «un rapport nouveau […]
entre le spectateur et lacteur» (p. 88).
La tensione allessenziale, lelisione
del décor, lo spazio vuoto abitato solamente dallattore costituiscono
il ritornello del riformatore e pedagogo esigente, fino al “manifesto” per un
Teatro Popolare (1941) nel quale la meta è «ramener le scène moderne à ce
dénouement primitif» (p. 91). Le preoccupazioni per lattore trovano tracce nel
1916 in una nota per Jouvet, allora in servizio militare. Appare prioritario
losservare la spontaneità infantile nel gioco, così come dedurne le
applicazioni nellinterpretazione. Poi si rifletterà sulleducazione fisica, evitando
latletismo: «Pas dathlétisme voulu. Nous cherchons une harmonie perdue» (p.
100).
Alcuni miraggi risorgono, sogni
di unimprovvisazione rianimatrice della Commedia dellArte, abbozzi di
“scenari” e di “lazzi” (p. 105-116) con unesortazione alla «écriture poétique»
(p. 117). Ma sono tutti sintomi del declino delle forze e delle idee, nel
ricordo delle opere magnificamente realizzate nel passato.
di Gianni Poli
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