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Jacques Copeau

Registres VIII. Les dernières batailles (1929-1949)

A cura di Maria Ines Aliverti, Marco Consolini

Paris, Gallimard, 2019, 632 pp., euro 36,00
ISBN 978-2-07-275537-8

A completamento dell’edizione critica integrale dei Registres di Jacques Copeau, il volume VIII conclude una vicenda editoriale di rilievo e stabilisce un momento centrale di storia della cultura teatrale europea. Eminente appare il merito dei curatori italiani dell’impresa che, partita tempestivamente negli anni Settanta grazie a Marie-Hélène Dasté, s’era un po’ arenata (col volume V) a fine secolo, per poi riprendere nel 2000 con la raccolta relativa a L’École du Vieux-Colombier, a cura di Claude Sicard (sempre per Gallimard). Restano validi i criteri metodologici adottati nel vol. VII (si veda la nostra recensione) per i quali la materia, suddivisa in sei sezioni ed esposta in ordine cronologico, comprende gli Scritti di Copeau e le relative Introduzioni critiche.

Le competenze sono così distribuite: Aliverti si dedica alle sezioni III e VI e alle messe in scena (ventitré spettacoli, dal 1927 al 1943); Consolini alle sezioni I, II, IV, V. Il lavoro è reso complesso dalla necessità di collazionare i testi delle fonti (copiose e sparse), spesso in numerose varianti e appartenenti a diverse collocazioni d’archivio. La biografia dell’autore risulta intimamente correlata sia con la sua elaborazione teorica, sia con la più autentica produzione artistica. I contatti e le relazioni del protagonista costituiscono una fitta, significativa rete di riferimenti ed eventi, in grado di restituire la sua figura completa e misurare la dimensione mondiale in cui la sua vicenda culturale s’inserisce.

Vengono esaminati nell’insieme il genere e la collocazione dei vari testi, articoli, conferenze, lettere e progetti del corpus, con indicazioni sul metodo e lo scopo del lavoro: «Nous avons essayé de rendre compte de la partie plus controversée de la carrière de Jacques Copeau, celle qui concerne sa direction interimaire de la Comédie-Française dans les premiers mois de l’Occupation […]. Il nous a semblé important de bien exposer la séquence des événements, non pas pour trouver des justifications aux demarches de Copeau, mais pour offrir au lecteur la possibilité de les situer et de les juger dans leur contexte réel» (p. 13). Ne risulta un personaggio nuovo, soprattutto per i lettori italiani, sebbene sia l’artefice di spettacoli memorabili a Firenze.

Il volume VII finiva nel 1929 col denunciare l’emarginazione progressiva di Copeau dal contesto produttivo parigino. Lo stesso anno, con cui inizia l’ultimo volume, mostra il maestro impegnato a riconquistare un ruolo attivo nel teatro, fornendo idee e progetti a partire dall’interesse per la Comédie-Française e dalla “campagna” intrapresa per partecipare alla sua gestione. «Dorénavant Copeau se sait définitivement seul et l’échec de sa candidature a été en quelque sorte la première expérience de ce nouvel état» (p. 52), rileva Consolini. Nei testi corrispondenti ai fatti, l’autore (che insiste nel proposito di dirigere una Scuola d’arte drammatica) motiva in vari passaggi l’amarezza per gli insuccessi con giudizi severi sulla crisi dell’Istituzione. «La Comédie-Française souffre d’une crise […]. Crise financière, disent les uns. Crise artistique, disent les autres» (p. 61). A causa del suo Statuto, del suo «caractère exceptionnel […]. Est impossible de separer ce qui est de l’administration de ce qui est de la création […]. La maison ne vit plus qu’à force de complaisance» (p. 63). La citazione proviene da un esteso, sostanzioso saggio storico, condizionato da un afflato etico, reattivo all’eco delle critiche che gli rivolgono i detrattori e che trovano motivazioni pretestuose anche nella sua fede cattolica. Nel suo disegno di riforma, entra in dettagli che toccano il repertorio e l’organigramma dell’istituzione. 

I progetti sulla soglia del 1930 comprendono ancora una scuola e sono sostenuti dal desiderio rinato di collaborare con Charles Dullin e con Louis Jouvet: fatto sorprendente, dopo il distacco tanto profondo e doloroso del 1922 col suo primo régisseur; nello sforzo ormai velleitario di superare le incompatibilità consolidate nel tempo. Riaffiora spesso la forza sotterranea e irrinunciabile dell’ideale che nel Patron lega arte e organizzazione, formazione dell’attore e creazione scenica, dalle quali ottenere responsabile gratificazione. Nel 1931, una proposta di alleanza è rivolta a Dullin e a Michel Saint-Denis: «Je ne songe pas du tout à une fusion entre ces divers éléments, mais à une conjugation, avec jouissance de deux scènes: celle de l’Atelier pendant toute l’année, celle du Vieux-Colombier pendant quatre mois» (p. 101). Su tale proposta influisce probabilmente l’esperienza del Cartel des Quatre; mentre si fa apprezzare proprio la Compagnie des Quinze, guidata da Saint-Denis.

Sembra logico per l’artista, ripetutamente frustrato e improduttivo, volgersi altrove, per esempio al Belgio. Il tentativo, sul quale vengono fornite interessanti considerazioni e informazioni inedite, rientra in un periodo in cui si alternano slanci e scetticismo, bilanci negativi e sogni rinascenti. Forse mal fondate, frutto del suo entêtement, quelle speranze ipotizzano un proprio teatro: «Théâtre d’art par la qualité de ses spectacles […]. Théâtre populaire par le nombre de ses places à bon marché» (p. 119). In tale temperie, meglio s’evidenzia la condizione d’empasse del teatro francese, nel quale ancora non interviene la sovvenzione pubblica. La situazione abbondantemente documentata è preziosa nell’integrare le scarse conoscenze su tanti aspetti trascurati. Scritti significativi, Projet d’union des théâtres d’avant-garde (1931) e le riflessioni sul cinema sonoro agli esordi, definito théâtre mécanique (1930). Altre analisi e sintesi mirabili si applicano alla partecipazione del regista al Maggio Musicale Fiorentino in L’épreuve de Florence 1933-1938, grazie alle quali Aliverti illustra come la più significativa Europa del tempo vada a specchiarsi negli spazi di Firenze divenuti scena all’aperto. Scorrono titoli famosi, spiegati nelle modalità di lavoro e nei risultati di scelte storicamente uniche, in ricostruzioni suffragate da una bibliografia pertinente e probante.

Il capolavoro di regia è individuato nella Rappresentazione di Santa Uliva (1933): «On assiste dans l’espace fermé de Santa Croce à un balancement parfait entre la disposition scénique, l’environnement architecturale et le plein air» (p. 181). Si fanno notare allora alcuni giovani protagonisti sconosciuti, in seguito famosi, come Silvio D’Amico, Giorgio Strehler e Orazio Costa (del quale viene prodotto e utilizzato un documento originale inedito, riguardante Asmodée di François Mauriac). L’interesse del saggio sulla sacra rappresentazione proviene dalle riflessioni sulle origini liturgiche del teatro medievale francese, nelle quali il regista accoglie certi travisamenti correnti all’epoca. L’interesse è manifesto anche per la distinzione fra «théâtre de masse» e «théâtre pour les masses» (p. 264).

L’allestimento di Come vi garba (1938) dà occasione a Copeau di impegnarsi con Shakespeare e alla curatrice di dissertare specialmente sulla rappresentazione della sua opera in Francia. Aliverti storicizza quegli eventi e soppesa l’influsso del fascismo sullo spettacolo dell’epoca. L’attrattiva del massimo Teatro nazionale è sentita ancora dal maestro nella congiuntura singolare dell’ascesa politica del Fronte Popolare nel 1936-1937, fonte per lui di ricerca e d’insoddisfazione. Qualche conforto gli viene dall’apprezzamento dei Copiaus «comme le modèle d’action à reproduire dans son dessein de développement des loisir culturels» (p. 284) da parte dei funzionari Zay e Lagrange; oppure dall’idea (ulteriormente delusa) di costituire un Centro Studi con il contributo dello Stato, ritenuto comunque necessario. L’interlocutore istituzionale più diretto di Copeau è Édouard Bourdet, allora administrateur générale della Comédie, che accoglie cauto (se non seccato) le proposte, ma che poi lo accoglie per collaborare con altri tre registi-consiglieri tecnici. «Peut-être sans s’en rendre compte – nota Consolini – Copeau s’érige donc en autorité compétente, en Patron, comme tous ses partisans l’appelaient lors de la campagne de 1929» (p. 293). Il periodo è comunque precisamente ricostruito, in particolare negli spettacoli per la Comédie che Copeau diresse nel 1938, Bajazet di Racine e Asmodée di Mauriac che, come prove magistrali, testimoniano un tentativo concreto di riforma in una Comédie-Française indubitabilmente sclerotizzata.    

«Les Registres VIII, dans leur conclusion, ramènent le lecteur en Bourgogne, à Beaune, là où Copeau réalise en 1943, à la veille de la Libération, sa dernière tentative, réussie, d’expérimenter le modèle d’une représentation chorale et rituelle» (p. 13). In quell’epilogo l’artista ritrova in Le Miracle du pain doré (tratto dai Miracles de Notre-Dame) una straordinaria continuità con la riuscita di Santa Uliva. Tanto sentiva la partecipazione diretta (anche come attore), per cui «ces répetitions furent un enchantement» (p. 399), tanto vive gli avvenimenti di quei giorni con fervore, di fede religiosa, ma ancor più di commozione per l’avventura avvertita quale grazia (p. 401). Pertanto riconosce e rivendica: «J’ai fait ce qui j’ai pu» (p. 408) quale bilancio d’una vita. Nell’ultimo testo, Renouvellement, pubblicato sulla rivista «Masques» (1945), riappare il tono profetico e ispirato tipico dell’autore – esaltato dal ricordo di «The Mask», il periodico fondato e pubblicato da Gordon Craig – e incline all’encomio delle utopie espresse dall’amico inglese e da Adolphe Appia.

I due tomi di Registres, impegnativi, chiari e affascinanti, rispondono, suscitandone altre e nuove, a molte domande ineludibili sulla storia del periodo esaminato.


di Gianni Poli


La copertina

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