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Due regine allo specchio in cerca d’identità e di potere

di Gianni Poli
  Maria Stuarda
Data di pubblicazione su web 28/10/2022  

Il Teatro di Genova che di Friedrich Schiller ha rappresentato Intrigo e amore (2016) e La congiura del Fiesco (2021), allestisce ora Maria Stuarda. La regia di Davide Livermore mira a indagare «sul ruolo della donna e il rapporto tra femminilità e potere. […] Elisabetta è costretta a mascolinizzarsi per governare e per non perdere la sfida con la sua rivale. Attraverso Elisabetta è ancora il patriarcato a riconfermare se stesso», per poi invocare «un principio femminile nel diritto, legge più umana e comprensiva e dunque più giusta» (Nota di regia). Invita a condividere il gusto per il feuilleton e le narrazioni melodrammatiche, fusione di musica e poesia come nell’opera lirica. Profittando di due grandi attrici, rischia la casualità di un gioco per attribuire loro, ignare, il ruolo da recitare ogni sera: un artificio drammaturgico deciderà l’interprete di Maria e di Elisabetta. 

A questo serve il Prologo, ispirato alla favola allegorica Il ritorno di Ulisse in patria di Monteverdi, dove il personaggio dell’Umana Fragilità interpella cantando il Tempo, la Fortuna e l’Amore. L’ala dell’Angelo del destino rilascerà la piuma segno della scelta. Una trovata per mostrare la specularità latente delle figure a confronto, le interpreti delle quali «scopriranno sul palco, sera dopo sera, chi interpreterà chi il lupo chi l’agnello sacrificale. Un gioco di ruoli virtuosistico per svelare come in fondo i due opposti siano la stessa cosa, quanto questa cruenta dualità non sia che un riflesso dell’Uguale» (Programma di sala). Alla “prima”, la piuma indica Laura Marinoni in Maria ed Elisabetta Pozzi in Elisabetta I.


Una scena dello spettacolo
© Alberto Terrile

La centralità storica del conflitto fra le due regine è sfruttata dall’autore a scopi drammatici. Le sovrane dovranno assumere caratteri femminili tali da esasperare il dilemma della condanna con sentimenti, pulsioni e suscettibilità personali: così saranno quasi fanciulla la bellissima Maria, a quarantacinque anni e l’altra, a cinquantatré anni, donna che ancora può vantare risorse seduttive. D’invenzione, subentra il cattolico convertito Mortimer, sostenitore e innamorato della regina scozzese. Un incontro immaginario fra le contendenti sarà fonte di ulteriore tensione. Gli snodi romanzeschi avventurosi vedono la tentata evasione della prigioniera tramata da Mortimer e il rinvio dell’esecuzione a sentenza approvata.

La traduzione di Carlo Sciaccaluga (già autore di quella della Congiura), intesa a sfoltire e omogeneizzare lo stile prolisso dell’opera, fornisce un testo dall’enfasi diluita in una sobria rassicurante modernità: si perdono così l’aura e lo slancio romantici del capolavoro originale creato nel 1800, che pure Schiller conformava al suo trattato d’estetica, Del sublime (1801). Il copione nuovo ben corrisponde al progetto registico. Se l’arte di Schiller plasmava la verità storica, la regia inclina la vicenda verso il dramma esistenziale di due personalità a conflitto fatale per il potere e per l’amore, con implicazioni di sensibilità molto attuali. Il Programma indica l’ambientazione «negli anni Cinquanta di un Novecento distopico». La stilizzazione dei costumi, degli spazi e degli arredi, lascia però l’epoca indeterminata, aperta a potenzialità o funzioni della scena elisabettiana (da Schiller apprezzata), evocative nell’immaginazione di interni ed esterni, nonché di atmosfere oniriche o fantasiose.


Una scena dello spettacolo
© Alberto Terrile

L’imponenza del dispositivo scenografico è impressionante, come la coordinazione tecnica dell’apparato visivo e sonoro. Praticabile e scale laterali fissi, un velario avanzato verso il proscenio e sfondi variabili dispongono spazi e luoghi ai diversi momenti drammatici. Sala della vestizione delle regine, bosco della caccia alla volpe e carrozza in scala naturale per l’ingresso di Elisabetta nell’incontro-scontro con Maria. Luci di fluidità connotativa efficacissima, tanto nei contrasti quanto nelle sfumature intimistiche, nel gioco con il rosso, fondamentale costante coloristica simbolica. I costumi connotano più decisamente le protagoniste con segni d’epoca e rango creati (in duplice taglia) da Dolce & Gabbana, con scintillio di orpelli “barocchi”; mentre restano vagamente storicizzate le divise con alamari o decorazioni, per militari e notabili. 

Le musiche vengono da Henry Purcell (Dido and Aeneas, 1689) e da John Dowland, cantautore del Cinquecento. Gli arrangiamenti s’accostano a brani originali di Mario Conte, a Fourth Act e alla canzone The Queens di Giua. La cantante e attrice detta il ritmo dei cambi di scena a cui partecipa, nelle parentesi liriche e nei contrasti, sottolineati dall’hard rock della sua chitarra. La collaborazione amalgama sinfonicamente la prosa poetica e l’accompagnamento a contrappunto, a stabilire la misura ritmica sovrana, ordinatrice dell’idea del regista fatta rappresentazione. Essa infatti sembra creazione coreografica d’una cosmogonia, composta da un doppio sistema solare di due astri (le regine), attorno ai quali orbitano come pianeti e satelliti i personaggi complementari, mossi da interferenze e attrazioni. 

L’emulazione fra le interpreti regala acmi di bravura che escludono compiacimento esibito e confermano nella sfida una maturità frutto di passione e dominio espressivo totali. L’Elisabetta di Elisabetta Pozzi s’affida all’autorità legale, all’inflessibile garanzia del potere con l’alibi della ragion di stato. La personalità si biforca nel bisogno d’amore, insoddisfatto malgrado tante profferte, e nell’ergersi invincibile nel primato. Altera nel confronto diretto, cede forse nell’intimo mentre si sottrae alla responsabilità di fare eseguire la condanna. Lotta tra passioni e necessità, finendo travolta dalla sua stessa violenza. Laura Marinoni in Maria non deroga dalla linea difensiva che ammette l’assassinio del marito, ma rifiuta l’accusa di usurpazione. Pieghe sensibili in profondo emergono, oltre che nello scontro diretto con la nemica, ribollente d’emozioni, nei rapporti con Mortimer e con Leicester. La voce dalle tonalità aspre, supplici o delicate, rivela una peccatrice che si confessa sinceramente, una donna che dall’Altra invoca una risposta impossibile: «Scioglimi il cuore, così che io possa scuotere il tuo».


Una scena dello spettacolo
© Alberto Terrile

A Leicester Sax Nicosia dà la giusta incoerenza eloquente, nei propositi e nei comportamenti, inerenti sia al ritorno di fiamma per Maria, a cui offre inefficaci servigi, sia alla riconquista di Elisabetta. Al momento di confermarsi quale favorito (e aspirante consorte), nel crescendo del corteggiamento e dei preliminari sessualmente espliciti, la pantomima ritualizzata di un amplesso finisce per ridursi a una volgare scopata. Gli altri attori s’impegnano in più ruoli e le attrici in alcuni maschili. Linda Gennari assume il protagonismo di Mortimer e lo rende coerente con gli eccessi e le contraddizioni al limite della follia. Troppo giovane, intraprendente, generoso per nobile causa; aggressivo per desiderio e morboso fino all’esaltazione, guasta il proprio amore con lo stupro (gesto ingiustificato dal testo) della donna che in lui spera, per poi suicidarsi, disperato. Giancarlo Judica Cordiglia recita il cortigiano Burleigh e il maggiordomo di Maria che diventa il suo confessore, in fraternità profonda e condivisa. Olivia Manescalchi interpreta il severo custode della prigioniera e con verve l’ambasciatore di Francia. Duttile trasformista, Gaia Aprea è la nutrice Anna e il conte di Shrewsbury. 

L’affollato e concitato scioglimento appare ulteriormente condensato. Dopo la decapitazione fuori scena, ma vissuta in diretta, si assiste alla solitudine incurabile della pur vincente regina, ossessionata dall’ombra di Maria. Buio e silenzio al calare del sipario. Nelle chiamate ripetute, negli applausi interminabili, si sfoga l’entusiasmo degli spettatori. 




Maria Stuarda
cast cast & credits
 



Una foto dello spettacolo visto il 18 ottobre 2022 al Teatro Ivo Chiesa di Genova
© Alberto Terrile



 
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