Un momento di auto-celebrazione,
ma non nostalgica – quasi il recupero
di un orgoglio identitario per la città e il suo teatro – parrebbe muovere la scelta del testo romantico di Schiller,
spunto di uno spettacolo pieno di entusiasmo e
sapiente nelluso dei mezzi scenici. Lopera rappresentata nel 1783 non è un
capolavoro, ma certo è significativa testimonianza della temperie epocale colta
dal drammaturgo tedesco, esordiente con I masnadieri e percettore
sensibile di venti rivoluzionari.
La storia, fra verità e immaginazione,
del colpo di stato che il Fiesco intenta contro il Doria allalba del 1547 è
ambientata nel palazzo di Gian Luigi Fieschi, duca di Lavagna. Tre giorni di una
tragica vicenda politica incentrata su un ennesimo episodio di alternanza di
poteri e metodi di governo ricorrenti. Si tratta di un intrigo audace e cruento
che lascerà insoddisfatte entrambe le fazioni in lotta. La famosa repubblica
marinara genovese, consolidata da Andrea Doria, è in fase di involuzione
autoritaria, secondo lambizioso rivale Fiesco, soprattutto nel presagio
dellavvento di Giannettino Doria, nipote ed erede violento e debosciato del
vecchio doge. Un momento dello spettacolo © Federico Pitto Il testo tradotto, ridotto e adattato
da Carlo Sciaccaluga, allarga allintera città i cinque atti dellopera.
Dramma informato a stile e strutture romantici, che la prima traduzione
italiana (Pompeo Ferrario, 1819) rendeva leggibile e apprezzabile nei
suoi eccessi, lirici e retorici. La versione odierna sceglie analoghi più sobri
e seriosi e aggiunge lattualità di qualche neologismo volgare. La cifra
rappresentativa punta alla composizione di immagini animate, in una sorta di sons-et-lumières
drammatizzato con gestualità accentuata e una vocalità che, amplificata da
microfoni, ben funziona en plein air.
Lo spazio scenico è ricavato da
quello urbano della piazza della cattedrale, tra la facciata della chiesa e
quella del dirimpettaio palazzo secentesco. Li collega una pedana-passerella
metallica, incongrua nellarchitettura originale (appropriata quale sfondo), ma
che, per la centralità rispetto alle due ali di spettatori, accresce la loro
partecipazione allazione degli attori. La recitazione sa toccare lintimità degli
stati personali e dei rapporti di coppia interiorizzati ed evidenziare lo
scontro fra personaggi antitetici fino alla faziosità. Con sfumature che
umanizzano sentimenti e situazioni, altrimenti a rischio di manicheismo. I
costumi rubano alliconografia dellepoca gustose (e scherzose) varianti, quali
le maschere e i cappelli. Ad Andrea Doria, in nero e rosso porpora, si accostano
il giubbotto rosso ricamato e il verde mantello di Giannettino, fiero dei piumaggi
sul cappello. In bianco Eleonora, sposa di Gian Luigi. Il Fiesco con il
mantello bianco e la veste striata bianco e nero, come quelle della casata e
delle pietre delle sue chiese. Il viola aspro e severo di Giulia Doria pare alludere
al tradimento e alla seduzione con cui intende abbindolare il rampollo della
stirpe nemica.
La trama a episodi concitati procede
a ritmo teso, in un clima che, da galante o misterioso, diventa marziale grazie
alla musica. Le note di Andrea Nicolini (anche interprete dellanziano governante),
elaborate elettronicamente, eludono le citazioni filologiche di strumenti e
sonorità rinascimentali, per comporre dei leitmotive suggestivi di unemozione
gravida di fatalità, paura e prevaricazione. I momenti di lirismo, di emozione e
di epico orrore (quali lo stupro di Berta, figlia di Verrina, o la morte di
Eleonora), ammettono qualche passeggera comicità, negli interventi del moro
tunisino Hassan. La sua esecuzione, come luccisione di Giannettino per mano di
Borgognino (fidanzato di Berta), sono esposte con cruda evidenza. Sensazionale
e ricca di suspense è la morte di
Eleonora, colpita dal marito, ingannato dal mantello del nemico che copriva le
spalle della donna. Ingredienti tipici del progetto schilleriano, non dilagano
in melodramma nella visione guidata da Sciaccaluga junior. Gli eroi
assumono un rilievo singolare per la giusta distribuzione degli interpreti. Sparite
le tante comparse delloriginale, resta una nota di colore locale nel dialetto
usato con parsimonia dai protagonisti. Rigore ed efficacia espressiva nei ruoli
degli anziani; slancio di passioni e sentimenti nei ruoli dei più giovani.
Un momento dello spettacolo © Federico Pitto Nel ruolo di Fiesco Simone
Toni fa di necessità virtù volgendo in caratterizzazione lincidente subito
a una caviglia durante la prima, che lo costringe a incedere con una
stampella. Aldo Ottobrino mostra in Giannettino una personalità turbata
e sgradevole, in varietà di accenti decisamente contemporanei. La sua versatilità
gli consente di connotare i tratti negativi in tirate presuntuose, beffarde, potenti,
spesso sguaiatamente volgari. Vizioso e cialtrone, resta lucido e tagliente
giudice del proprio destino sventurato. Il vecchio Doria ha la voce stanca, ma
memore e saggia di Nicolini. Verrina evidenzia passione democratica e saldezza
di ideali nella sensibilità nobile e ardente di Roberto Serpi,
affiancato da Marco Grossi, il congiurato Calcagno di minor nobiltà repubblicana.
Maurizio Bousso rende simpatica la doppiezza coerente e perversa del
mercenario, lo schiavo Hassan. I ruoli femminili godono di bella distinzione a partire
dalle rivali in amore, le due donne di Gian Luigi. Barbara Giordano è la
moglie delusa e disperata vittima di un tradimento così incredibilmente
sfacciato e immotivato, vedendo addirittura donato allaltra il suo pegno
damore. Convince e commuove soprattutto nel finale, nel rimprovero accorato, supplica
allamato perché torni al sentimento che può salvarlo dallambizione smodata. Lamante
occasionale e strumentale, la Giulia di Irene Villa, estende i connotati
schilleriani di «civetta orgogliosa, bellezza formosa gustata dallaffettazione»
a sensualità e a sprezzo di reputazione e convenienze. Figura innocente e
sacrificata appare la Berta violata, velata a lutto e imprigionata, di Chiara
Vitiello.
Un momento dello spettacolo © Federico Pitto
Privo di “morale”, giocato e goduto come nobile artificio della scena,
lo spettacolo scorre per due ore filate. Serba ancora sorpresa il finale, che scarta
dalloriginale, in cui Verrina fa precipitare Fiesco in mare. Ora il devoto
ammiratore sconfessa il suo eroe e gli rifiuta ogni connivenza. Lo accusa di troppa
affezione ai privilegi del primato e, nellatto di strappargli la porpora, cade
a terra con lui. Buio e silenzio segnano la fine del dramma.
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