drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti
cerca in vai

Trame di sangue per la repubblica

di Gianni Poli
  .
Data di pubblicazione su web 30/06/2021  

Un momento di auto-celebrazione, ma non nostalgica – quasi il recupero di un orgoglio identitario per la città e il suo teatro – parrebbe muovere la scelta del testo romantico di Schiller, spunto di uno spettacolo pieno di entusiasmo e sapiente nell’uso dei mezzi scenici. L’opera rappresentata nel 1783 non è un capolavoro, ma certo è significativa testimonianza della temperie epocale colta dal drammaturgo tedesco, esordiente con I masnadieri e percettore sensibile di venti rivoluzionari.

La storia, fra verità e immaginazione, del colpo di stato che il Fiesco intenta contro il Doria all’alba del 1547 è ambientata nel palazzo di Gian Luigi Fieschi, duca di Lavagna. Tre giorni di una tragica vicenda politica incentrata su un ennesimo episodio di alternanza di poteri e metodi di governo ricorrenti. Si tratta di un intrigo audace e cruento che lascerà insoddisfatte entrambe le fazioni in lotta. La famosa repubblica marinara genovese, consolidata da Andrea Doria, è in fase di involuzione autoritaria, secondo l’ambizioso rivale Fiesco, soprattutto nel presagio dell’avvento di Giannettino Doria, nipote ed erede violento e debosciato del vecchio doge.


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Il testo tradotto, ridotto e adattato da Carlo Sciaccaluga, allarga all’intera città i cinque atti dell’opera. Dramma informato a stile e strutture romantici, che la prima traduzione italiana (Pompeo Ferrario, 1819) rendeva leggibile e apprezzabile nei suoi eccessi, lirici e retorici. La versione odierna sceglie analoghi più sobri e seriosi e aggiunge l’attualità di qualche neologismo volgare. La cifra rappresentativa punta alla composizione di immagini animate, in una sorta di sons-et-lumières drammatizzato con gestualità accentuata e una vocalità che, amplificata da microfoni, ben funziona en plein air.

Lo spazio scenico è ricavato da quello urbano della piazza della cattedrale, tra la facciata della chiesa e quella del dirimpettaio palazzo secentesco. Li collega una pedana-passerella metallica, incongrua nell’architettura originale (appropriata quale sfondo), ma che, per la centralità rispetto alle due ali di spettatori, accresce la loro partecipazione all’azione degli attori. La recitazione sa toccare l’intimità degli stati personali e dei rapporti di coppia interiorizzati ed evidenziare lo scontro fra personaggi antitetici fino alla faziosità. Con sfumature che umanizzano sentimenti e situazioni, altrimenti a rischio di manicheismo. I costumi rubano all’iconografia dell’epoca gustose (e scherzose) varianti, quali le maschere e i cappelli. Ad Andrea Doria, in nero e rosso porpora, si accostano il giubbotto rosso ricamato e il verde mantello di Giannettino, fiero dei piumaggi sul cappello. In bianco Eleonora, sposa di Gian Luigi. Il Fiesco con il mantello bianco e la veste striata bianco e nero, come quelle della casata e delle pietre delle sue chiese. Il viola aspro e severo di Giulia Doria pare alludere al tradimento e alla seduzione con cui intende abbindolare il rampollo della stirpe nemica.

La trama a episodi concitati procede a ritmo teso, in un clima che, da galante o misterioso, diventa marziale grazie alla musica. Le note di Andrea Nicolini (anche interprete dell’anziano governante), elaborate elettronicamente, eludono le citazioni filologiche di strumenti e sonorità rinascimentali, per comporre dei leitmotive suggestivi di un’emozione gravida di fatalità, paura e prevaricazione. I momenti di lirismo, di emozione e di epico orrore (quali lo stupro di Berta, figlia di Verrina, o la morte di Eleonora), ammettono qualche passeggera comicità, negli interventi del moro tunisino Hassan. La sua esecuzione, come l’uccisione di Giannettino per mano di Borgognino (fidanzato di Berta), sono esposte con cruda evidenza. Sensazionale e ricca di suspense è la morte di Eleonora, colpita dal marito, ingannato dal mantello del nemico che copriva le spalle della donna. Ingredienti tipici del progetto schilleriano, non dilagano in melodramma nella visione guidata da Sciaccaluga junior. Gli eroi assumono un rilievo singolare per la giusta distribuzione degli interpreti. Sparite le tante comparse dell’originale, resta una nota di colore locale nel dialetto usato con parsimonia dai protagonisti. Rigore ed efficacia espressiva nei ruoli degli anziani; slancio di passioni e sentimenti nei ruoli dei più giovani.


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Nel ruolo di Fiesco Simone Toni fa di necessità virtù volgendo in caratterizzazione l’incidente subito a una caviglia durante la prima, che lo costringe a incedere con una stampella. Aldo Ottobrino mostra in Giannettino una personalità turbata e sgradevole, in varietà di accenti decisamente contemporanei. La sua versatilità gli consente di connotare i tratti negativi in tirate presuntuose, beffarde, potenti, spesso sguaiatamente volgari. Vizioso e cialtrone, resta lucido e tagliente giudice del proprio destino sventurato. Il vecchio Doria ha la voce stanca, ma memore e saggia di Nicolini. Verrina evidenzia passione democratica e saldezza di ideali nella sensibilità nobile e ardente di Roberto Serpi, affiancato da Marco Grossi, il congiurato Calcagno di minor nobiltà repubblicana. Maurizio Bousso rende simpatica la doppiezza coerente e perversa del mercenario, lo schiavo Hassan. I ruoli femminili godono di bella distinzione a partire dalle rivali in amore, le due donne di Gian Luigi. Barbara Giordano è la moglie delusa e disperata vittima di un tradimento così incredibilmente sfacciato e immotivato, vedendo addirittura donato all’altra il suo pegno d’amore. Convince e commuove soprattutto nel finale, nel rimprovero accorato, supplica all’amato perché torni al sentimento che può salvarlo dall’ambizione smodata. L’amante occasionale e strumentale, la Giulia di Irene Villa, estende i connotati schilleriani di «civetta orgogliosa, bellezza formosa gustata dall’affettazione» a sensualità e a sprezzo di reputazione e convenienze. Figura innocente e sacrificata appare la Berta violata, velata a lutto e imprigionata, di Chiara Vitiello.


Un momento dello spettacolo
© Federico Pitto

Privo di “morale”, giocato e goduto come nobile artificio della scena, lo spettacolo scorre per due ore filate. Serba ancora sorpresa il finale, che scarta dall’originale, in cui Verrina fa precipitare Fiesco in mare. Ora il devoto ammiratore sconfessa il suo eroe e gli rifiuta ogni connivenza. Lo accusa di troppa affezione ai privilegi del primato e, nell’atto di strappargli la porpora, cade a terra con lui. Buio e silenzio segnano la fine del dramma.




La congiura del Fiesco a Genova
cast cast & credits
 


© Federico Pitto

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013