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Normarilyn

di Giuseppe Mattia
  Blonde
Data di pubblicazione su web 20/10/2022  

Prodotto dalla Plan B Entertainment (casa di produzione fondata e diretta da Brad Pitt) e distribuito da Netflix a partire dal 28 settembre 2022, Blonde di Andrew Dominik (anche sceneggiatore del film) è stato il titolo più divisivo della 79ª Mostra del Cinema di Venezia. L’ultima fatica del regista neozelandese è rimasta, tra l’altro, all’asciutto di premi in laguna, soprattutto di quello che per molti critici sembrava già messo in cassaforte sin dal primo minuto: la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile ad Ana de Armas, vinta invece dalla più navigata Cate Blanchett per Tár di Todd Field. A più di un mese dalla prima proiezione, la pellicola continua imperterrita a far parlar di sé, destino comune ai progetti cinematografici incentrati su personaggi così iconici come Marilyn Monroe, numerose volte portata sullo schermo senza mai grandi risultati. Opera fortemente concettuale, Blonde è ispirata all’omonimo romanzo (HarperCollins, New York, 2000) della prolifica scrittrice Joyce Carol Oates, capace di restituire, con opportuni intrecci tra realtà e finzione, una serie di rappresentazioni della diva più celebre di sempre: dall’infanzia traumatica all’adolescenza solitaria, passando per i primi atroci compromessi lavorativi, i difficili rapporti con gli uomini e il mai sopito odio per il personaggio che l’ha resa immortale, costruito ad hoc dall’avida e per certi versi meschina industria hollywoodiana.



Una scena del film

Nelle quasi tre ore di proiezione scorre la vita di Norma Jeane Mortenson Baker, con una particolare enfasi, nella prima parte, sulla sua infanzia, costellata da angherie, privazioni (tra tutte l’assenza “fisica” di un padre), umiliazioni e violenza da parte di una madre con evidenti problemi psichici (interpretata dalla stupefacente Julianne Nicholson). Dopo i primi successi come modella per riviste, Norma Jeane inizia la sua “Via Crucis hollywoodiana” con uno squallido abuso sessuale da parte di un produttore. L’amarezza e la desolazione sembrano però trovare conforto in una relazione poliamorosa con i due figli d’arte Edward G. Robinson Jr. (Evan Williams) e Charles “Cass” Chaplin (Xavier Samuel), ménage à trois terminato bruscamente in seguito a un aborto che porterà con sé numerosi strascichi nella sua psiche. Nel corso del film Norma continua a essere in balia di svariati uomini che, a turno, si servono di lei, soddisfacendo i propri istinti sessuali e alimentando il proprio ego: si pensi al matrimonio con Joe DiMaggio (Bobby Cannavale), a quello con Arthur Miller (Adrien Brody), fino al rapporto, forse troppo esacerbato nella rappresentazione, con John F. Kennedy (Caspar Phillipson).



Una scena del film

Blonde non si presenta – ed è chiaro fin da subito – come un comune biopic teso a ripercorrere l’intera esistenza di una celebrità come Marilyn: sono infatti numerosi gli eventi e gli avvenimenti neanche accennati nel film, dalle varie adozioni familiari in tenera età al presunto periodo di prostituzione durante l’adolescenza, dal precoce matrimonio di convenienza con James Dougherty al contratto con la 20th Century Fox, fino all’internamento in una clinica psichiatrica. La figura della diva, vittima d’elezione di un sistema in marcescenza, ne esce dunque mal ridotta, causando una forte empatia nello spettatore per tutta la durata. Le varie scelte autoriali privano il pubblico di un altro punto di vista, a suo modo più realistico: il fatto che Norma potesse avere un atteggiamento più pragmatico verso le diverse relazioni vissute, alcune delle quali capaci di addurre non pochi vantaggi alla sua carriera (fra tutte quelle col Presidente degli Stati Uniti).

Seguendo la logica del romanzo di partenza, la diva di Los Angeles viene progressivamente trasformata in mero oggetto, trofeo, valvola di sfogo, «carne da asporto», come si autodefinisce quando viene scortata di forza da Kennedy. Man mano che il suo destino vira verso il tragico e il raccapricciante, si fa più incisiva la sovrapposizione tra piani reali e di finzione, tra cronaca mondana e ricordi, passato e presente, confondendo lo spettatore che perde ogni certezza, nauseato ma allo stesso tempo attratto dalle meravigliose scelte operate dai due montatori Adam Robinson e la ormai affermata Jennifer Lame (assidua collaboratrice di Noah Baumbach e di Christopher Nolan). La sfuggente regia di Dominik punta sul movimento, sull’inafferrabilità, giocando (forse un po’ troppo) su trovate virtuosistiche (come alcune soluzioni adottate con la steadycam, effetti stroboscopici o alcuni raccordi sul simbolo che rischiano di apparire alla lunga un po’ stucchevoli e affettati). Tuttavia, va dato il merito al regista classe 1967 di aver trasmesso quel senso di inquietudine, di paura e di incertezza che vive la protagonista, sola contro tutti e soprattutto contro sé stessa. Tale risultato è garantito dalla presenza di frammentazioni tra piani temporali, dalle variazioni dell’aspect ratio, dalle deformazioni cromatiche, dall’utilizzo di luci e anche dal minuzioso e inappuntabile lavoro sulle musiche e sul suono (opera di Nick Cave e Warren Ellis), purtroppo fortemente compromesso dall’impossibilità di visionare l’opera in sala. Ultimo, non per importanza, un commento sull’interpretazione di Ana de Armas: una prova inappuntabile, sancita da un’abnegazione totale e indispensabile per entrare nel ruolo, dalle numerose ore di trucco all’evidente studio del tono della voce, dei vezzi, dei movimenti, calandosi perfettamente nella parte oscura di Marilyn.



Una scena del film

Concludendo, Blonde non è un film adatto a chi vuole accontentarsi di una semplice biografia, del gossip, della verità storica e oggettiva. La componente artistica e autoriale è infatti sovrabbondante e prevarica la semplice ricostruzione dell’esistenza della protagonista. A un occhio più analitico non interessa se i fatti siano davvero andati così come appaiono sullo schermo, in quanto in questo caso si discorre di un biopic fortemente personale, sulla falsariga di film come Last Days (2005) di Gus Van Sant, I’m Not There (2007) di Todd Haynes o del più recente Spencer (2021) di Pablo Larraín. Negli ultimi anni la proliferazione di biopic ha dimostrato l’urgenza di un cambio di rotta, di un’evoluzione, possibile se affiora la volontà ferrea di assumere una dimensione autoriale e artistica nella ricostruzione. A prova di ciò è possibile affermare che, più che un’indagine sul suo passato, quella di Dominik è un’esplorazione del potenziale immenso proprio di un’icona come Marilyn, capace di fondersi con il contesto in cui si muove e aprendo la strada a numerose riflessioni sul medium, sulla società del tempo ma soprattutto su quella in cui ci troviamo. Cambiano le vesti, i colori e le forme ma, in qualche modo, tutto si ripete.




Blonde
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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