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Oggetti pensanti

di Benedetta Colasanti
  Party Girl
Data di pubblicazione su web 11/09/2022  

In un mondo sempre più fluido per quanto riguarda l’identificazione del proprio sesso di appartenenza (o di partenza), il coreografo Francesco Marilungo denuncia – con Party Girl – una problematica sociale molto (forse troppo) vicina all’universo femminile. L’oggettivazione del corpo della donna è tuttavia il pretesto per riflettere non solo sul “sesso debole” ma anche sulle diverse sfumature del soccombere.

Quando il pubblico entra in teatro lo spettacolo è già iniziato. In scena ci sono tre giovani donne in abiti demodé, a ricordare un po’ Italia (Penélope Cruz) di Non ti muovere (2004, regia di Sergio Castellitto), un po’ Amanda (Andrea Carpenzano) di Calcinculo (2022, regia di Chiara Bellosi). L’ambientazione è di gusto pop anni Ottanta-Novanta: tre televisioni, una lattina di Coca-Cola, un’atmosfera ovattata e grottesca, pose e sguardi da riviste di altri tempi. Le danzatrici si muovono in uno spazio che rievoca una stanza adolescenziale chiusa a chiave, metafora del proibito ma anche della paura nei confronti del mondo esterno.

Un momento dello spettacolo © Luca Del Pia
Un momento dello spettacolo
© Luca Del Pia

La musica è un accessorio; ciò che colpisce – in tutta la sua urgenza – è invece una voce maschile fuori campo che suggerisce (o meglio impone) alle ragazze cosa fare. Mentre sui piccoli schermi si susseguono immagini di strade desolate, fiamme ardenti e volti disturbanti, Barbara, Agnese e Roberta eseguono come tristi automi gli ordini del demiurgo; attraverso gesti stereotipati e automatici perdono progressivamente la propria umanità. Se i corpi sono poco più che oggetti, sui visi si forma invece una riconoscibile espressione di tristezza, di disperazione ma anche di sfida. Le tre figure sul palcoscenico resistono stancamente a chi da secoli ha la meglio su di loro, prevaricandole con cieca violenza. La performance a proprio modo riesce nel tentativo di sconvolgere, di urtare: di soprusi e angherie contro le donne – nelle più svariate forme – se ne conoscono tante. Ma è proprio quando l’aggressività è decontestualizzata e demotivata che chi guarda prende finalmente coscienza: perché questo accade?

Come I PUPI di Giuseppe Muscarello, anche Party Girl – in scena al teatro Cantiere Florida nell’ambito della XXIX edizione di Fabbrica Europa – si inserisce nella tradizione della danza moderna e contemporanea con originalità ma senza prescindere da riferimenti a note opere precedenti. Si pensi a Calore (1982 e 2012) di Enzo Cosimi ma anche ad alcuni iconici videoclip televisivi come Hung Up di Madonna (2005).

La donna-oggetto, vittima per eccellenza, ha però in sé la capacità di dirottare le traiettorie prestabilite, indossando gli abiti di carnefice e nuovo deus ex machina. Nella visione di Marilungo c’è infatti spazio per la reazione: nel finale la femminilità esplode in tutta la sua esuberanza, arrivando a far soccombere sia la voce maschile sia l’occhio rosso proiettato sul fondale che, con perversione voyeuristica, sorvegliano la scena per tutta la durata dello spettacolo.

Lo spettacolo si conclude – altra consuetudine sulla scena di danza contemporanea – con una delle performers che canta a cappella. Mentre la voce maschile è soffocata dalle note di Ancora tu di Lucio Battisti, tornano alla mente le parole di Cantaré del cantautore romano Mannarino: «cantarono nelle strade per non morire, cantarono nelle gabbie per non impazzire, cantarono addosso al muro davanti a un fucile». Ma la ribellione attuata in una stanza chiusa è auto-distruzione. Le tre donne, almeno apparentemente festeggiando, escono di scena mentre sugli schermi dei televisori vintage il pubblico può osservare tre ragazze spensierate immerse nel verde. È possibile scegliere, ragazze?



Party Girl
cast cast & credits
 


Il programma completo di Fabbrica Europa

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