In un mondo sempre più fluido per quanto
riguarda lidentificazione del proprio sesso di appartenenza (o di partenza),
il coreografo Francesco Marilungo denuncia – con Party Girl – una
problematica sociale molto (forse troppo) vicina alluniverso femminile.
Loggettivazione del corpo della donna è tuttavia il pretesto per riflettere
non solo sul “sesso debole” ma anche sulle diverse sfumature del soccombere.
Quando il pubblico entra in teatro lo
spettacolo è già iniziato. In scena ci sono tre giovani donne in abiti demodé, a ricordare un po Italia (Penélope
Cruz) di Non ti muovere (2004, regia di Sergio Castellitto),
un po Amanda (Andrea Carpenzano) di Calcinculo (2022, regia di Chiara
Bellosi). Lambientazione è di gusto pop anni Ottanta-Novanta: tre
televisioni, una lattina di Coca-Cola, unatmosfera ovattata e grottesca, pose
e sguardi da riviste di altri tempi. Le danzatrici si muovono in uno spazio che
rievoca una stanza adolescenziale chiusa a chiave, metafora del proibito ma
anche della paura nei confronti del mondo esterno.
Un momento dello spettacolo
© Luca Del Pia
La musica è un accessorio; ciò che colpisce –
in tutta la sua urgenza – è invece una voce maschile fuori campo che suggerisce
(o meglio impone) alle ragazze cosa fare. Mentre sui piccoli schermi si
susseguono immagini di strade desolate, fiamme ardenti e volti disturbanti,
Barbara, Agnese e Roberta eseguono come tristi automi gli ordini del demiurgo; attraverso
gesti stereotipati e automatici perdono progressivamente la propria umanità. Se
i corpi sono poco più che oggetti, sui visi si forma invece una riconoscibile espressione
di tristezza, di disperazione ma anche di sfida. Le tre figure sul palcoscenico
resistono stancamente a chi da secoli ha la meglio su di loro, prevaricandole con
cieca violenza. La performance a proprio modo riesce nel tentativo di sconvolgere,
di urtare: di soprusi e angherie contro le donne – nelle più svariate forme –
se ne conoscono tante. Ma è proprio quando laggressività è decontestualizzata
e demotivata che chi guarda prende finalmente coscienza: perché questo accade?
Come
I PUPI di Giuseppe Muscarello, anche Party Girl
– in scena al teatro Cantiere Florida nellambito della XXIX edizione di
Fabbrica Europa – si inserisce nella tradizione della danza moderna e
contemporanea con originalità ma senza prescindere da riferimenti a note opere
precedenti. Si pensi a Calore (1982 e 2012) di Enzo Cosimi ma anche ad alcuni iconici videoclip
televisivi come Hung Up di Madonna (2005).
La donna-oggetto, vittima per eccellenza, ha
però in sé la capacità di dirottare le traiettorie prestabilite, indossando gli
abiti di carnefice e nuovo deus ex
machina. Nella visione di Marilungo cè infatti spazio per la reazione: nel
finale la femminilità esplode in tutta la sua esuberanza, arrivando a far soccombere
sia la voce maschile sia locchio rosso proiettato sul fondale che, con perversione
voyeuristica, sorvegliano la scena per tutta la durata dello spettacolo.
Lo
spettacolo si conclude – altra consuetudine sulla scena di danza contemporanea – con una delle performers
che canta a cappella. Mentre la voce maschile è soffocata dalle note di Ancora
tu di Lucio Battisti, tornano alla mente le parole di Cantaré
del cantautore romano Mannarino: «cantarono nelle strade per non morire,
cantarono nelle gabbie per non impazzire, cantarono addosso al muro davanti a
un fucile». Ma la ribellione attuata in una stanza chiusa è auto-distruzione.
Le tre donne, almeno apparentemente festeggiando, escono di scena mentre sugli schermi
dei televisori vintage il pubblico può osservare tre ragazze spensierate
immerse nel verde. È possibile scegliere, ragazze?
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