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Afelio e perielio, o sulle corse verso chissà dove

di Giuseppe Mattia
  Licorice Pizza
Data di pubblicazione su web 28/03/2022  

A cinque anni di distanza da Il filo nascosto (Phantom Thread, 2017) – perla che confermò la presenza di Paul Thomas Anderson nell’albo dei più grandi cineasti di sempre –, esce nelle sale italiane la sua pellicola forse più intima e personale, ancora una volta su un amore che prende forma in un’epoca passata ma comunque “senza tempo”. Nonostante le candidature ai tre premi Oscar più ambìti (Miglior regia, miglior film e miglior sceneggiatura originale), Licorice Pizza non è riuscito ad aggiudicarsi nessuna statuetta: vien da dire che anche quest’anno è stata ribadita la totale assenza di meritocrazia, in una serata ormai dedita solo al glamour e al politicamente corretto. Il regista nato a Los Angeles è per fortuna più apprezzato in area europea: si pensi all’Orso d’oro per Magnolia (1999) e a quello d’argento per Il petroliere (There Will Be Blood, 2007), così come alla miglior regia a Cannes per Ubriaco d’amore (Punch-Drunk Love, 2002) o a quella a Venezia per The Master (2012). Il risentimento per la mancata assegnazione del premio nella sua città natale deriva dalla consapevolezza di trovarsi di fronte un autore che da sempre, oltre a dirigere, scrive e produce i propri film, supervisionando tutte le fasi produttive delle sue opere (qui è addirittura co-autore della fotografia).



Una scena del film

In attesa della foto di fine anno per l’annuario del liceo, il quindicenne Gary Valentine (Cooper Hoffman) si innamora a prima vista dell’aiutante del fotografo, la venticinquenne Alana Kane (Alana Haim). Intraprendente aspirante imprenditore e attore, il giovane coinvolge Alana in un’attività di vendita di materassi ad acqua, provando a coronare il tanto agognato american dream: quello di emergere con impegno e caparbietà, a costo di reinventarsi più volte pur di raggiungere l’indipendenza economica e l’affermazione personale e professionale. La pendenza in salita della loro relazione, causata dalla differenza d’età (e quindi di maturità), è al centro di una struttura episodica nella quale i protagonisti si ritrovano ad affrontare le intemperie di un decennio epocale.

Sono tanti i punti di contatto tra quest’ultima fatica di Anderson e le sue opere precedenti, fra cui la scelta di ambientare le vicende nella Los Angeles degli anni Settanta, come in Boogie Nights (1997) e in Vizio di forma (Inherent Vice, 2014). Il ritorno alla San Fernando Valley dell’infanzia del regista (nato proprio nel 1970) è restituito con un caleidoscopio di vestiti, sale giochi, campagne elettorali e successi musicali. Proprio da qui trae origine il titolo del film: la “pizza alla liquirizia”, nello slang statunitense, richiama il vecchio disco in vinile (LP), sia per le iniziali che per forma e colore. Anderson ritrae così un’adolescenza perduta che accomuna tutti, tra scontri, confronti, malintesi, involuzioni e percorsi di formazione.



Una scena del film

La scelta degli attori protagonisti, entrambi esordienti, si è rivelata tra le più azzeccate degli ultimi anni: lui figlio del compianto Philip Seymour Hoffman; lei una delle tre sorelle del gruppo musicale Haim (per cui il regista ha diretto numerosi videoclip). L’una dà vita a un personaggio che, a un certo punto, tenta di risollevarsi attraverso la politica da un’esistenza senza aspettative e senza obiettivi raggiunti; l’altro interpreta un giovane egocentrico, forse cresciuto troppo in fretta, focalizzato sul successo personale, con i comprensibili limiti dettati dall’età che gli impediscono di interessarsi a ciò che succede “fuori”: dalla guerra in Vietnam alla crisi energetica del 1973, annunciata in televisione da Richard Nixon. Lontani dai modelli attoriali “impeccabili” a cui il cinema hollywoodiano ci ha abituati, i due attori presentano visi e corpi “imperfetti”, dalla pelle ai denti, dai capelli all’abbigliamento. Questo indugiare sulle imperfezioni e sulla timidezza di corpi impacciati rende il film vivido, credibile, anche quando le conversazioni al telefono si poggiano sui soli sospiri e silenzi.

Tra i numerosi interpreti del film si segnala il “breve ma intenso” Bradley Cooper nel ruolo di Jon Peters, produttore del celebre A Star is Born (1976) di Frank Pierson (con l’allora compagna Barbra Streisand nel ruolo della protagonista); molti anni più tardi, nel 2018, proprio Cooper ne ha realizzato un ulteriore remake. Tra le altre partecipazioni spiccano inoltre il cameo dell’immenso Sean Penn – qui nei panni di Jack Holden, ispirato al divo William Holden – e quello di George DiCaprio, padre del ben più celebre Leonardo. Per quanto riguarda la colonna sonora, a brani del tempo (Nina Simone, i Doors, David Bowie ecc.) si alternano composizioni originali curate dallo storico collaboratore Jonny Greenwood dei Radiohead (tra l’altro candidato all’Oscar con Il potere del cane). Ottime la regia (indimenticabile il piano sequenza iniziale) e la fotografia, mentre la sceneggiatura non è stata esente da critiche a causa della frammentazione delle vicende narrate. Per quanto riguarda alcuni dialoghi, ci è sembrato di assistere a un film della Nouvelle Vague francese (un locale nel film si chiama tra l’altro Rive Gauche!).



Una scena del film

Nel complesso, il film è senza dubbio uno dei più memorabili degli ultimi anni, capace di trasmettere allo spettatore sensazioni come la spensieratezza, la purezza, l’ingenuità: insomma, tutto ciò che si vorrebbe vedere ogni tanto sullo schermo, in barba agli artifici scenici e drammaturgici ritagliati ad hoc per sbalordire, intrattenere. In fondo, grazie a Paul Thomas Anderson, abbiamo finalmente la prova che, nonostante tutto, anche dalle fenditure dell’asfalto possono fuoriuscire fiori.




Licorice Pizza
cast cast & credits
 


La locandina del film



 
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