La qualità ripaga sempre: lo ha dimostrato la fila per entrare al Teatro del Giglio di Lucca lo scorso sabato 12 marzo. Una bella emozione, resa possibile grazie a una stagione di prosa ricca di ottimi spettacoli frutto delle scelte artistiche di Aldo Tarabella, per diciotto anni direttore artistico del teatro, e di Jonathan Brandani a lui recentemente succeduto. Ditegli sempre di sì della Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi, con i tre giorni di tutto esaurito è la prova concreta della resilienza del teatro davanti alla pandemia.La storia del classico di Eduardo De Filippo, composto inizialmente per il fratello Vincenzo Scarpetta (nella prima edizione il ruolo del protagonista era scritto per la maschera “di famiglia” Felice Sciosciammocca), narra la storia di Michele Murri (Gianfelice Imparato), un ex commerciante impazzito e per questo ricoverato un anno in un manicomio. Erroneamente dimesso dal medico responsabile, Michele torna a casa dalla sorella vedova Teresa (Carolina Rosi); la quale, rimasta priva di sostentamento economico, ha subaffittato la di lui stanza a Luigi Strada (Edoardo Sorgente), un aspirante studente, attore, poeta, fidanzato, insomma un eterno aspirante. Il Dott. Croce (Vincenzo DAmato), che ha avuto in cura Michele per un anno, raccomanda alla sorella di assecondare sempre il fratello, ché la sua psiche è labile e qualsiasi rottura dellequilibrio potrebbe farlo precipitare di nuovo nella pazzia. Teresa impone alluomo di non rivelare a nessuno la sua degenza per paura del giudizio altrui e dellinevitabile condanna sociale…
Carolina Rosi e Gianfelice Imparato © foto Lia Pasqualino
Roberto Andò, recentemente alla direzione di Piazza degli eroi di Thomas Bernhard, guida con mano sicura il capolavoro eduardiano, trasmettendo e rendendo attuale una tematica che, chiusi ormai da decenni gli istituti di igiene mentale, potrebbe allapparenza sembrare lontana.
Carolina Rosi come “capocomica” si dimostra allaltezza della grande tradizione teatrale napoletana. Nel ruolo di Teresa, il paragone è dobbligo con Titina De Filippo e Regina Bianchi; lattrice riesce a trasmettere con pari efficacia lo stato danimo di una donna in bilico tra lamore familiare e la paura della condanna sociale. La sua Teresa rappresenta, come lei stessa dice, la razionalità nella pazzia: a lei spetta il ruolo di portare la verità. Non di inferiore qualità attorica è Gianfelice Imparato (recentemente visto in Qui rido io), che si trova a interpretare il ruolo che fu dello stesso Eduardo. Degna di nota è anche la prova di Edoardo Sorgente, che nel personaggio già di Peppino De Filippo si rivela una promessa del teatro italiano.
Quanto a Paola Fulciniti (Checchina, la cameriera nel primo atto e Saveria Gallucci nel secondo), è unattrice di talento ma nel ruolo di Checchina non convince: urla, si muove in maniera meccanica ed eccessiva, quasi “disturba”. Le aspettative su questo ruolo sono alte; la letteratura teatrale partenopea è ricca di “cameriere” che con astuzia e brio animano le storie. La Fulciniti risulta invece perfetta nel ruolo della ricca padrona di casa del secondo atto, dove appare adeguatissima e calata nella parte. Per quanto riguarda le scene, lambientazione verista di Gianni Carluccio è assolutamente adatta e avvolgente (sua anche la cura delle luci). Nel primo atto si riconosce linterno di una qualsiasi abitazione piccolo borghese napoletana, mentre nel secondo, ottenuto semplicemente con lasportazione di parte delle componenti sceniche, un porticato rinvia al loggiato di Villa Floridiana al Belvedere. Tutte le scene hanno “nellanima” unaria di ospedale psichiatrico, come se, in realtà, il povero protagonista non fosse mai veramente stato liberato dalla sua “prigione”. Nella scena finale, la posizione dei due attori intorno al tavolo da pranzo ricorda proprio i “tavoli” delle visite parentali negli istituti.
scena della poesia del secondo atto © foto Lia Pasqualino
I costumi sono l'anello debole dellallestimento: e spiace considerando che Napoli è la capitale della sartoria maschile e che lo spettacolo ha una allure “di tradizione”. La fattura non curata, artificiosa, e la trasparenza delle giacche sfoderate ne sono un chiaro esempio. Lo stesso dicasi per le parrucche (per motivi scenici indossate da Paola Fulciniti), talmente finte da far pensare al carnevale di Viareggio. Nonostante questo, lo spettacolo rappresenta uneccellenza della migliore tradizione italiana, recitato da grandi professionisti e costruito con grande sapienza artigianale.
Lopera si apre e si chiude con le note delloverture del La forza del destino di Giuseppe Verdi (particolare la corrispondenza con la “pazzia” che distrusse la vita di Francesco Maria Piave, librettista dellopera verdiana) e ci lascia con in testa una domanda: la famiglia esiste?
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Ditegli sempre di sì
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Eduardo De Filippo (Michele) e |
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