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Tradizione e salvaguardia contro le follie collettive del nostro paese

di Davide Castagnola
  foto delle prove con C. Rosi, G. Imparato e il regista R. Andò
Data di pubblicazione su web 22/03/2022  

La qualità ripaga sempre: lo ha dimostrato la fila per entrare al Teatro del Giglio di Lucca lo scorso sabato 12 marzo. Una bella emozione, resa possibile grazie a una stagione di prosa ricca di ottimi spettacoli frutto delle scelte artistiche di Aldo Tarabella, per diciotto anni direttore artistico del teatro, e di Jonathan Brandani a lui recentemente succeduto. Ditegli sempre di sì della Compagnia di Teatro di Luca De Filippo, oggi diretta da Carolina Rosi, con i tre giorni di tutto esaurito è la prova concreta della resilienza del teatro davanti alla pandemia.

La storia del classico di Eduardo De Filippo, composto inizialmente per il fratello Vincenzo Scarpetta (nella prima edizione il ruolo del protagonista era scritto per la maschera “di famiglia” Felice Sciosciammocca), narra la storia di Michele Murri (Gianfelice Imparato), un ex commerciante impazzito e per questo ricoverato un anno in un manicomio. Erroneamente dimesso dal medico responsabile, Michele torna a casa dalla sorella vedova Teresa (Carolina Rosi); la quale, rimasta priva di sostentamento economico, ha subaffittato la di lui stanza a Luigi Strada (Edoardo Sorgente), un aspirante studente, attore, poeta, fidanzato, insomma un eterno aspirante. Il Dott. Croce (Vincenzo D’Amato), che ha avuto in cura Michele per un anno, raccomanda alla sorella di assecondare sempre il fratello, ché la sua psiche è labile e qualsiasi rottura dell’equilibrio potrebbe farlo precipitare di nuovo nella pazzia. Teresa impone all’uomo di non rivelare a nessuno la sua degenza per paura del giudizio altrui e dell’inevitabile condanna sociale…

Carolina Rosi e Gianfelice imparato © foto Lia Pasqualino
Carolina Rosi e Gianfelice Imparato 
© foto Lia Pasqualino

Roberto Andò, recentemente alla direzione di Piazza degli eroi di Thomas Bernhard, guida con mano sicura il capolavoro eduardiano, trasmettendo e rendendo attuale una tematica che, chiusi ormai da decenni gli istituti di igiene mentale, potrebbe all’apparenza sembrare lontana. 

Carolina Rosi come “capocomica” si dimostra all’altezza della grande tradizione teatrale napoletana. Nel ruolo di Teresa, il paragone è d’obbligo con Titina De Filippo e Regina Bianchi; l’attrice riesce a trasmettere con pari efficacia lo stato d’animo di una donna in bilico tra l’amore familiare e la paura della condanna sociale. La sua Teresa rappresenta, come lei stessa dice, la razionalità nella pazzia: a lei spetta il ruolo di portare la verità. Non di inferiore qualità attorica è Gianfelice Imparato (recentemente visto in Qui rido io), che si trova a interpretare il ruolo che fu dello stesso Eduardo. Degna di nota è anche la prova di Edoardo Sorgente, che nel personaggio già di Peppino De Filippo si rivela una promessa del teatro italiano.

Quanto a Paola Fulciniti (Checchina, la cameriera nel primo atto e Saveria Gallucci nel secondo), è un’attrice di talento ma nel ruolo di Checchina non convince: urla, si muove in maniera meccanica ed eccessiva, quasi “disturba”. Le aspettative su questo ruolo sono alte; la letteratura teatrale partenopea è ricca di “cameriere” che con astuzia e brio animano le storie. La Fulciniti risulta invece perfetta nel ruolo della ricca padrona di casa del secondo atto, dove appare adeguatissima e calata nella parte.

Per quanto riguarda le scene, l’ambientazione verista di Gianni Carluccio è assolutamente adatta e avvolgente (sua anche la cura delle luci). Nel primo atto si riconosce l’interno di una qualsiasi abitazione piccolo borghese napoletana, mentre nel secondo, ottenuto semplicemente con l’asportazione di parte delle componenti sceniche, un porticato rinvia al loggiato di Villa Floridiana al Belvedere. Tutte le scene hanno “nell’anima” un’aria di ospedale psichiatrico, come se, in realtà, il povero protagonista non fosse mai veramente stato liberato dalla sua “prigione”. Nella scena finale, la posizione dei due attori intorno al tavolo da pranzo ricorda proprio i “tavoli” delle visite parentali negli istituti.

scena della poesia del secondo atto Carolina Rosi e Gianfelice Imparato 
© foto Lia Pasqualino
scena della poesia del secondo atto 
© foto Lia Pasqualino

I costumi sono l'anello debole dell’allestimento: e spiace considerando che Napoli è la capitale della sartoria maschile e che lo spettacolo ha una allure “di tradizione”. La fattura non curata, artificiosa, e la trasparenza delle giacche sfoderate ne sono un chiaro esempio. Lo stesso dicasi per le parrucche (per motivi scenici indossate da Paola Fulciniti), talmente finte da far pensare al carnevale di Viareggio. 

Nonostante questo, lo spettacolo rappresenta un’eccellenza della migliore tradizione italiana, recitato da grandi professionisti e costruito con grande sapienza artigianale.

L’opera si apre e si chiude con le note dell’overture del La forza del destino di Giuseppe Verdi (particolare la corrispondenza con la “pazzia” che distrusse la vita di Francesco Maria Piave, librettista dell’opera verdiana) e ci lascia con in testa una domanda: la famiglia esiste?



Ditegli sempre di sì
cast cast & credits
 

Eduardo De Filippo (Michele Murri) e Antonio Casagrande (Luigi Strada) nell'edizione RAI del 1962
Eduardo De Filippo (Michele) e 
 
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