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Madina: un’opera d’arte totale e “umanista”

di Gabriella Gori
  Madina
Data di pubblicazione su web 29/10/2021  

Madina è una Gesamtkunstwerk, ovvero un’opera d’arte totale in cui musica, danza, canto, recitazione e drammaturgia si fondono per dare vita a uno spettacolo olistico, messo in scena in prima assoluta al teatro alla Scala di Milano. Un evento apprezzato dal pubblico – finalmente numeroso per l’allentarsi delle misure anti Covid-19 – e salutato da applausi calorosi e convinti per tutti i protagonisti.

Commissionata dal Teatro del Piermarini e dalla SIAE e nata dalla collaborazione tra il compositore Fabio Vacchi e il coreografo Mauro Bigonzetti, Madina si basa sul libretto di Emmanuelle de Villepin, autrice del romanzo La ragazza che non voleva morire da cui è tratta la storia, ed è una pièce pluri- e inter-disciplinare in tre quadri per un attore, due cantanti, coro, orchestra e corpo di ballo. L’opera, all’insegna di quella che per Vacchi è «un’arte umanista», affronta il tema della violenza interraziale e religiosa, affermando la necessità di non soccombere alla cultura dell’odio ma di scegliere quella dell’amore. L’unico modo umano per superare il sanguinoso scontro ideologico tra Oriente e Occidente e porre fine alla barbarie.  

In Madina però non ci sono riferimenti geografici e temporali precisi perché in realtà, come accadeva nella tragedia greca qui riletta in chiave moderna, sono messe in luce le motivazioni profonde che spingono gli individui ad agire in nome di un’ideologia o a rifiutarsi di perseguirla, ancorandosi alla speranza che, nella lotta tra il male e il bene, sia quest’ultimo a rappresentare l’unico baluardo salvifico.

© Marco Brescia & Rudy Amisano
© Marco Brescia & Rudy Amisano

La vicenda è presto detta: la giovane Madina, tornando da scuola insieme agli amici Zarema e Halid, assiste allo stupro e all’uccisione di Zarema da parte dei soldati dell’esercito invasore. Gli uomini, non contenti, violentano anche lei mentre Halid, terrorizzato, osserva di nascosto la brutale aggressione. A occuparsi della ragazza, orfana di padre e madre morti sotto le bombe nemiche, sarà lo zio Kamzan che, per vendicare i genitori della ragazza, la moglie e i figli, si è unito ai terroristi scegliendo la strada della montagna e diventando capo dei ribelli. Kamzan sottopone Madina a una sorta di lavaggio del cervello con droghe e distorti insegnamenti religiosi per spingerla a diventare kamikaze. Una decisione avversata dal vecchio Sultan, il padre di Kamzan che prega il figlio di lasciare libera la nipote per non diventare peggiore dei suoi nemici. Purtroppo la preghiera cade nel vuoto e Madina, con indosso una cintura esplosiva, si ritrova in un caffè di una piazza della città da cui provengono i militari assassini e violentatori. La ragazza all’ultimo momento si rifiuta di portare a termine il piano omicida e suicida e getta a terra la cintura. L’artificiere, accorso per disinnescare la bomba, salta in aria e lei viene arrestata. Nel frattempo a Parigi l’indolente giornalista Louis, non convinto della necessità di occuparsi del caso, traccheggia ma cambia idea grazie a Olga, la zia “occidentale” di Madina, e uniti dall’amore improvviso e dal desiderio di salvare la ragazza lottano per difenderla durante il processo. Madina sarà condannata a vent’anni di prigione. Il vecchio Sultan si rifugerà nella capitale francese insieme a Shamil, fratello minore di Madina, e pubblicherà i diari della nipote. Kamzan, «un po’ brigante e un po’ usignolo», come lo chiamava Sultan, sarà catturato e ucciso ma il padre recupererà il corpo per dargli degna sepoltura in un estremo atto d’amore.     

Una trama densa in cui i “personaggi corpo”, interpretati dai ballerini, agiscono sulla scena sdoppiati nei “personaggi voce” affidati alla vibrante vocalità del mezzosoprano Anna-Doris Capitelli, che interpreta Madina e Olga, al timbro cristallino del tenore Chuan Wang, che riveste i ruoli di Sultan e Louis, al tono suadente dell’attore Fabrizio Falco, che ora è Sultan, ora Louis, ora un guerrigliero. Tutti accompagnati dall’Orchestra del Teatro alla Scala che esegue la partitura contemporanea di Vacchi, diretta da Michele Gamba, e dal Coro presente nella forma di voce registrata e spazializzata con altoparlanti dislocati in sala. Una decisione presa per ottemperare alle regole del distanziamento e che consente al coro stesso di presenziare fuori campo e commentare l’azione scenica come accadeva nella tragedia greca.

Opera di “teatro-danza”, come la definisce Vacchi per la fusione e sintesi di linguaggi da cui nasce e che ricorda le pièces del tanztheater di Pina Bausch, Madina avrebbe dovuto debuttare a marzo 2020 ma, annullata a causa della pandemia, vede ora la luce e si conferma un lavoro di grande impatto visivo, emotivo e sonoro che nella brevità – dura un’ora e mezza senza intervallo – ha la sua cifra stilistica. Una concisione tipica del balletto a serata intera con cui alla Scala si mette in danza il dramma di una ragazza vittima del terrorismo, si rappresenta la furia omicida di Kamzan e si riflette sull’umanità del nobile Sultan che, insieme a Olga e Louis, sceglie l’amore per non soccombere alla strategia del terrore.

La scenografia firmata da Carlo Cerri, ideatore anche delle luci e delle proiezioni video assieme ad Alessandro Grisendi e Marco Noviello, concorre a rafforzare il senso claustrofobico della mise en scène. Lo spazio è delimitato da enormi e fredde colonne d’acciaio sulla sinistra del palcoscenico il quale, come una scena mutevole ma fissa, di volta in volta diventa la montagna dei guerriglieri, il caffè cittadino, la redazione di un giornale, il luogo d’incontro tra Olga e Louis. Al centro della scena è posizionato un reticolo su cui vengono proiettate immagini fisse e filmate di bombardamenti e un muro di luce, il LED wall, permette di far entrare e uscire i protagonisti da questa modalità prospettica e di fondere corpi e tecnologia.

© Marco Brescia & Rudy Amisano
© Marco Brescia & Rudy Amisano

E sono proprio i corpi, vestiti da Maurizio Millenotti, a vibrare nella coreografia di Bigonzetti che – come lui spiega – è «una trasfigurazione coreografica, una materializzazione della musica con il corpo». Bigonzetti torna alla Scala dopo aver diretto il Corpo di Ballo nel 2016 e aver firmato creazioni come Cenerentola e Progetto Händel e incontra per la prima volta il bolognese Vacchi, alla sua terza commissione scaligera, per un progetto teatrale, musicale e coreutico che li vede uniti nell’intento e concordi nella scelta artistica.

Bigonzetti nella coreografia fa perno sul registro accademico che riserva a Roberto Bolle, qui nel ruolo inedito del cattivo Kamzan, e sul registro antiaccademico o per meglio dire contemporaneo che assegna a Madina e al Corpo di Ballo, in quella ibridazione di stili che rende inconfondibile il suo linguaggio e il suo estro creativo. Tra soli, duetti ed ensemble intrecciati in modo organico e fluido, il dancemaker romano spinge al massimo le potenzialità dei corpi dei ballerini per far emergere lo strazio fisico di movimenti esasperati e di legati concitati che evocano il dolore e l’orrore straniante e straniato del clima di odio e violenza.

La resa dei due soli di Bolle è straordinaria per la capacità dell’étoile di piegare il suo accademismo alla visceralità del dinamismo contemporaneo e altrettanto intensi e coinvolgenti sono le tenzoni corpo a corpo con Madina, un’Antonella Albano brava e “contemporanea”. Accanto a loro reggono bene il confronto l’Olga di Martina Arduino, il Louis di Gioacchino Starace, il Sultan di Gabriele Corrado e il “coro corpo” dei danzatori che, nel modo in cui commenta l’azione, richiama le sequenze corali di Cantata, un balletto creato da Bigonzetti nel 2001. La forza espressiva della danza materica risponde a pieno alla vigorosa musica di Vacchi e all’intensità delle voci dei cantanti e dell’attore, quest’ultimo assai convincente nel melologo di Louis mentre legge il diario di Madina e capisce l’importanza di divulgare la vicenda.

Madina è uno spettacolo bello, corposo e complesso sia che lo si voglia considerare un’opera di teatro-danza, un balletto a serata intera, una Gesamtkunstwerk, e dimostra ancora una volta come l’arte non sia avulsa dalla realtà ma proprio nella verità dei fatti trovi gli spunti per – come dice Vacchi – «costruire un nuovo umanesimo».



Madina
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