Ho conosciuto questuomo sorridente, capace di ascoltare il prossimo e di rallegrarsi di cuore delle gioie altrui, negli anni Ottanta del secolo scorso nellambito scientifico del Centro Internazionale di Studi di Architettura “Andrea Palladio” di Vicenza oggi abbinato al Palladio Museum con tanto di blog Palladio Young, con buona pace della lingua di Dante e della nostra cultura umanistica. Un aristocratico “gatto” bonariamente sornione, amorevole con gli indifesi ma unghiato coi prepotenti, il nostro Lionello. Un uomo gentile e generoso vissuto allinsegna dellonestà intellettuale, del coraggio e dellimpegno civile. Un instancabile organizzatore di cultura, capace di indignarsi pubblicamente a fronte della ingiustizia e dellarroganza, dellavidità e della mancanza di onestà intellettuale. Sapeva ben distinguere Lionello tra i “nostri” e i “loro” e non arretrava. Mentre era incline a perdonare i pavidi convinto comera che chi nasce senza coraggio non possa mutare. Così mi diceva, convintissimo, in una amicale sera destate trascorsa in letizia nel 2018 a Treviso. Insieme abbiamo condiviso lavventura scientifica ed editoriale del volume del Novum Corpus Palladianum dedicato al teatro Olimpico di Vicenza.[1] Anni di ricerca, lui sul versante della Storia dellarte, dellurbanistica e dellarchitettura, io su quello della Storia del teatro e dello spettacolo. Anni che hanno cementato un rapporto damicizia fraterno, tenace, sempre solidale. Da allora, tra noi, ha prevalso sullaccademia un condiviso amore per il Cinquecento europeo cui Puppi ha dedicato una imprescindibile serie di studi. Pietre miliari, come il memorabile Palladio che storicizza acutamente lopera completa del maestro patavino. Non mi sembra che nessuno sino a oggi abbia fatto meglio di lui. Ed è recentissima luscita di una sua nuova, importante monografia intitolata Con Palladio.[2] Una lunga fedeltà. Perché Palladio? Tanti anni fa con Lionello parlavamo di Maestri: lui dellamatissimo Sergio Bettini, io dellaltrettanto amato Ludovico Zorzi. Lionello mi raccontava di quando, studente, aveva detto a Bettini che intendeva studiare un ignoto lapicida vicentino, ricevendo una risposta perentoria: «Si occupi dei grandi, non perda tempo con i minori». Anche se poi Puppi ha giocato le proprie carte a modo suo spostandosi tra grandi e piccoli con onnivora curiosità. Resta che ad Andrea Palladio lo studioso ha dedicato prodigiose energie ottenendo prodigiosi esiti scientifici: dalla pionieristica monografia edita nel 1966 al fondamentale, insuperato corpus ragionato di tutte le opere pubblicato nel 1973, poi opportunamente ripreso e aggiornato nel 1999 con Donata Battilotti, preceduto dieci anni prima dal corpus scientifico dei disegni palladiani del Museo Civico di Vicenza, sino alla monumentale Introduzione alle architetture e al pensiero teorico di Palladio[3] e al già citato, ancor fresco di stampa Con Palladio dettato da un impegno etico-storico amorevole, problematico e contestualizzante, teso anzitutto a superare le idealizzazioni che, in vita e in morte, hanno mascherato la realtà della biografia di Andrea di Pietro della Gondola consegnandola nel limbo della mitopoiesi. Senza dimenticare né ledizione pregevolissima degli Scritti sullarchitettura palladiani,[4] né i volumi e i saggi dedicati a temi e momenti cruciali e particolari: La morte e i funerali di Palladio, Lo stemma di Palladio, la Giovinezza di Palladio.[5] Né omettere interventi militanti dal titolo eloquente: Ecco perché ho stroncato la mostra di Palladio (così nel 2008).[6] Non si può che consentire, stimo. Anche di questa esposizione abbiamo discusso a tempo debito deprecando i filologismi di una parte della storiografia palladiana, specialmente di matrice anglosassone. Oppure, ancora, si parlava di recente della futilità di unaltra mostra dedicata a scoprire un mistero (quello del volto di Palladio) che mistero non è.[7] Sicché, per non arrabbiarci dopo esserci arrabbiati, si finiva per parlar daltro: di Otello De Maria e di Vicenza, dellangelo di Emilio Farina, di una delle mostre che andava rigorosamente preparando, di alcuni suoi allievi “smemorati” da lui sin troppo accuditi, di Osvaldo Soriano, di Ernesto Sabato, di Borges e di Buenos Aires, oppure di Utz, il collezionista di porcellane di Meissen, o, ancora, dellopportunità felice di lavorare nuovamente insieme in un prossimo futuro a un atlante iconografico. E il discorso tornava a Palladio architetto, alla sua “magica” «traduzione in Veneto del Rinascimento»,[8] nonché alla storia del teatro. E piace ricordare la competenza di Puppi anche in questultimo campo di ricerca. Tralascio i suoi interventi spesso illuminanti sui luoghi teatrali palladiani, sullOlimpico di Vicenza, sul fiorentino secentesco teatro degli Immobili, sul melodramma nel giardino, sulla Fenice, nonché sullo spettacolare splendore dei supplizi[9] che tanto lo intrigava e mi trasferisco per un attimo in quella che Lionello Puppi chiamava la sua terza patria: Montevideo querida (la seconda era Granada). Scrive Lionello: «El plan de recuperación de la Ciudad Vieja de Montevideo es especular al plano de recuperación del Teatro Solís: más bien pertenece a la misma lógica, que tiende a conjugar la ética con la estética, poniendo […] el acento sobre la ética».[10] Nulla da aggiungere per ora, ma andrà pur scritta la storia di quei giorni uruguagi di Lionello. Quante volte Puppi ci ha condotti tra le «maraviglie dellarte». Meraviglie che egli ha svelato nel segno duna felice vena narrativa appesa al gusto per linchiesta archivistica originale raffinata. Come fosse nato a Burano, la sua scrittura era un finissimo merletto. Caratterizzata poi, in sede esegetica, da una non comune finezza interpretativa come da un respiro culturale ampio e da un impianto saldamente storico. Un approccio documentale acentrico declinato spesso in modo “poliziesco” e condito di ironia: «diventai frivolo e stravagante agli occhi dei più tra gli storici dellarte, e mai avrei vinto un concorso a cattedra, se, astutamente, non lavessi già vinto prima; con la benedizione del mio Maestro» (così nel 2004).[11] Si pensi al suo personalissimo Museo di memorie, strip-tease di uno storico dellarte. Un libro che dipana vicende culturali ed esistenziali sapientemente dispiegandole, fra saggio e racconto, «tra lamore sfiduciato per la Storia e i casi dellesistenza – di unesistenza –, e lamore, non meno sfiduciato, di vivere».[12] Ricordo gli occhi di Lionello: un azzurro profondo, a caccia di labili tracce per restituire spessore di vita a uomini più spesso sconfitti che vincitori puniti per la loro lungimiranza, eventi e “casi”, avventure e sventure, architetture, dipinti e sculture, committenti e artisti. Esemplare ledizione completa dellEpistolario di Tiziano.[13] Puppi ha esercitato il mestiere di storico. Lo ha praticato a modo suo, a tutto tondo, capace comera dabbattere gli steccati disciplinari per dar vita a una storia dellarte contestuale, mai svilita dallegemonia dei soli lambicchi formali. Si legga, per meglio capire, la bellissima Premessa al suo volume Verso Gerusalemme[14] che costituisce a tuttoggi un viatico metodologico per investigare perduti orizzonti artistico-culturali in una dimensione mirata: la storia al servizio dellarte. Da qui lattenzione ricorrente alla città, al contesto, alla nozione di progetto culturale, al fondamentale capitolo della committenza; o la capacità di fare interagire piccole storie e grande Storia; oppure, ancora, di praticare originalmente la scienza del significato di matrice warburghiana. Si sa che la bibliografia di Puppi registra oltre un migliaio di pubblicazioni[15] e testimonia la vastità dei suoi interessi, la sua curiosità nella ricerca, la volontà, uso sue parole, di «saperne di più»: dal Rinascimento italiano ed europeo alle problematiche storico-metodologiche dellarte in Europa e in America Latina. Dal Medioevo ai giorni nostri. Una serie ricchissima di referenze che documenta unoperosità interrotta solo dalla morte perché molti erano i progetti che lamico studioso aveva in preparazione. È un conforto sapere che il suo pensiero e la sua opera sono ben salvaguardati. Non è questa la sede per soffermarsi ulteriormente sulla sterminata produzione scientifica dello studioso che non si peritava a dichiarare il proprio debito nei confronti del «troppo sovente frainteso o eluso Panofsky iconologo».[16] Ricordo piuttosto luomo buono e giusto che credeva nei valori dellamicizia, che ricordava con affetto il suo Maestro Sergio Bettini e che nel corso del tempo molto ha dato con grande generosità a studenti, allievi, colleghi e amici. Un maestro di studi e di vita, Lionello. Un uomo coraggioso controcorrente. Detestava il servilismo nei confronti dei “potenti”. Anche per questo ci siamo intesi. Da qui la sua severa condanna delle pseudo «Autorità dogni risma e paludamento – politiche, burocratiche, militari, accademiche – che, quando han sentore di impegno civile, vero, incontaminato e libero, ne fuggono il dialogo socratico come la peste bubbonica». Oppure la censura, uso ancora parole sue, della «fame delloro»,[17] così diffusa, aggiungo, tra alcuni storici dellarte arlecchineschi famelicamente dediti allexpertise. Lo sanno bene quelli che lhanno conosciuto. Penso al suo senso vivo della storia abbinato a un implacabile rigore etico che saldava luomo allo studioso. Ascoltiamo infine, a riprova, ancora parole sue. Breve conversazione con Palladio: Lappuntamento era allinterno del Teatro Olimpico unora dopo la fine delle visite guidate, così che nessuno sopravvenisse a disturbarci, ma quando arrivo è già là, seduto allestremità del gradone inferiore della cavea, a ridosso dellorchestra […], la fronte solcata da qualche ruga […]. E colpisce lo sguardo, dun azzurro profondo. «Ben tornato, Maestro», lo apostrofo. […] Saccomoda meglio sul gradone, accavalla le gambe, affonda una mano nella barba, e continua a fissarmi, ma la voce cala di tono, divien pacata. «Non è stata di vanità, la mia lezione, ma impegno e voto di una lunga fatica e gran diligenza ed amore chio ho posto per intendere e praticare la promessa, senza curarmi mai del plauso e della ricchezza, e sforzandomi solo desser uomo, il quale non solo ha sé stesso deve essere nato, ma ad utilità anche degli altri».[18] Parole commoventi che si traducono in nitida autobiografia e in nostalgia e in rimpianto per chi oggi le rimedita.
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