logo drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | I lettori scrivono | Link | Contatti
logo

cerca in vai

Lionello Puppi

Un mistero buffo per Palladio

Data di pubblicazione su web 07/07/2018
.

Riproponiamo qui lo scritto di Lionello Puppi Un “mistero buffo” per Palladio (a proposito della mostra “Andrea Palladio. Il mistero del volto” presso il CISA, ora Palladio Museum) apparso sulla rivista «Arte / Documento», 2017, n. 34, pp. 46-51.


Il catalogo di una recente mostra dedicata a risolvere, con la collaborazione della Polizia di Stato, un mistero che da più di duecentocinquant’anni non lo è più, s’apre con un quesito innescato da una discutibile affermazione su cui insisteremo fra poco. Conviene, infatti eanzitutto, chiarire che la succitata esposizione fu ospitata a Vicenza dal 3 dicembre 2016 al 4 giugno 2017 negli spazi di quel palazzo Barbaran da Porto ultimamente e ad ogni buon conto denominato “Palladio Museum” (dotato,beninteso, della sua “Palladio Library”), dato che la miserevole povertàlessicale della lingua italiana e la rigidità delle sue potenzialitàsintattiche non dispongono dei vocaboli e dei dinamismi che esprimessero ilconcetto, e posto che la lezione architettonica del Maestro padovano si inverain Jefferson, il quale opportunamente mai mise piede in edifici di Andrea, erifulge a Charlottesville e nella Casa Bianca (Andrea Palladio. Il misterodel volto, a cura di G. Beltramini, Milano, Officina Libraria, 2016, pp. 171con numerose illustrazioni in b/n e a colori; saggi del curatore, di F. Magani,di H. Burns, di F. Marías – ma già edito in lingua castigliana negli «Annali diArchitettura», 18-19, 2006-2007, pp. 105-114 –, di F. Rigon Forte; indaginiconoscitive su tre dipinti, a cura del Laboratorio di Restauro dellaSoprintendenza per l’Archeologia, Belle Arti e Paesaggio delle Province diRovigo, Verona e Vicenza; Schede essenziali delle cinquantaquattro opereesposte).   

Ma eccoci all’intrigante quesito e alla suapremessa. Contrariamente alla consuetudine che vorrebbe, e con più stringenteoccorrenza nella trattatistica architettonica, l’associazione del voltodell’autore al suo testo scritto, i Quattro Libri di Andrea non la propongono,e il perché dovrebbe essere ovvio. Il sistema spaziale che configurano sarebbe statoin effetti concepito per vincere il tempo talché in esso si annullerebbero larealtà esistenziale del suo autore nonché le contingenze del presente. «Vivenel futuro [quel sistema], attraverso chi vorrà usarlo: con i Quattro Libri inmano, noi siamo Palladio». Tratteniamo il magari! in cui stavamo persbottare, annotando che l’invocata consuetudine di una dialetticaritratto-testo, in verità, è abbastanza labile – non la ossequiano, per farsolo un paio di nomi eloquenti, né un Serlio, né un Cataneo –, ma non senza riconoscereche comunque risulta ben frequentata, così che non meraviglia che possa esserstata avvertita imperativa nel corso del tempo. A riprova, la volontà diripristinarla, e proprio risarcendo l’omissione lamentata e denunciatanell’avvio del catalogo sul quale stiamo riflettendo, anima Colen Campbell,l’autore del Vitruvius Britannicus (inesplicabilmente ignorato dalcatalogo in questione), allorché nel 1729 «for S. Harding, at the Bible and Anchor», manda fuori gli AndreaPalladio’s Five Orders of Architecture e assicura di avervi «all the Plates exactly copied from the FirstItalian Edition [dei Quattro Libri] printed in Venice 1570». Ne aveva, tuttavia e per la verità,manipolato il frontespizio (fig. 1), e se, entro lo scudo inferiore avevainserito le insegne del proprio editore, nella porzione centrale superiore,alla figura della Regina Virtus, la quale come tosto vedremo è l’emblemadell’editore veneziano, sostituisce la finzione del busto marmoreo di ungiovane che ripropone, copiandola, l’immagine dell’ideale Palladio quale erastata incisa da Bernard Picart per Giacomo Leoni e posta al centro dell’allegoriadispiegata nell’antiporta di The Architecture of A. Palladio in Four Books datata1715 [1721], sul disegno di Sebastiano Ricci, che esplicitamente lo sottoscrive(«Sebastianus Riccius Invenit»), mascherandosi però da Veronese nella segnaturaposta a piè del ritratto in ovale dello stesso personaggio diversamenteabbigliato e con berretta, che accampa la seconda antiporta dell’operamonumentale del Leoni («Paulus Caliarii Veronensis efigiem pinxit»).  

Appuntiamo, en passant, che quanto quisopra s’è ridotto a sintesi estrema pertiene a vicenda solidamente impostatada Wittkower (1954 e 1970) e ampiamente dibattuta da Raffaella Piva (1980), magià frequentata da chi qui scrive (1973 e 1976) e dallo stesso rifinita qualcheanno dopo in un saggio (Per la storia del Palladianesimo: l’avventuraeuropea di Giacomo Leoni, in Studi di Storia dell’Arte in memoria diMario Rotili, Napoli, Banca sannitica, 1984, pp. 463-480) ignorato, comeanche i precedenti (peraltro elencati nella bibliografia delle Schede),dall’estensore in catalogo del capitolo dedicato al Leoni (pp. 126-136), perregistrare il dato interessante della fortuna di quell’immagine. Costituisce,infatti, il modello del ritratto, veramente mediocre, apparso come lotto 110all’asta Christie’s di New York del 16-17 dicembre 2010, acquisito dal C.I.S.A.e presente in mostra (cat. 11) come opera di Scuola inglese del XVIII secolo;della figura parietale di Schloss Wörlitz (non dibattuta in catalogo); delbusto in piombo del R.I.B.A. di Londra, parimenti esposto (cat. 20) conattribuzione dubitativa di John Chere. E, quest’ultimo, tuttavia, non appareinconsapevole del ritratto immaginario che frattanto era stato disegnato daWilliam Kent e inciso da Paul Faudrier per il frontespizio delle Fabbricheantiche di Lord Burlington (1720), ricomparendo, sempre sul disegno delKent ma per l’incisione di Isaac Ware, nel suo The First Book of AndreaPalladio (1742) – entrambi presenti in mostra (cat. 18 e 19) – e puranchescolpito, sempre per conto del Burlington, da Michael Rysbrack, in busto e afigura intera, ora a Chatsworth House e a Chiswick, solo citati in catalogo (p.28) e apparentemente come un unico oggetto. Era tale lo stato delle cose, quandoin uno dei sei medaglioni dedicati ai sommi architetti di ogni tempo incisi daFrancesco Zucchi per il tomo III dell’Architettura di Andrea Palladio diFrancesco Muttoni stampato dal Pasinelli in Venezia nel 1741, troviamo esibitaun’immagine (cat. 27), non solo sin là inedita ma di tale convincente autoritàda esser ripresa, in controparte e in ovale, da Antonio Balestra alla p. 36 de Licinque ordini di architettura di Alessandro Pompei, impresso a Verona dalVallarsi nel 1735 (cat. 26) e dal disegno di Giambattista Mariotti per ilbulino di Francesco Zucchi, non già nella prima edizione del Discorso delTeatro Olimpico uscito a Padova per i tipi di Giambattista Conzatti nel1733 (come erroneamente asserito in cat. 25) (fig. 2), ma nella riedizione dell’opera “nella Stamperia delSeminario” di Padova nel 1749 (fig. 3)col corredo della Vita di Andrea Palladio scritta da Paolo Gualdo, diuna lettera di Giovanni Poleni e di un’altra dell’autore.  

E rivendicavano, le incisioni pubblicate nelprimo e nel terzo dei succitati volumi, la loro condizione di copie di unoriginale pittorico che, all’epoca, si sarebbe trovato «apud marchiones Capra patricios vicentinos»: vi compariva ilbusto di un uomo barbuto in abito borghese colto nell’atto di srotolare, con lamano destra reggente un compasso, un cartiglio che lo identificava come Andrea/Palladio/Architetto/Vicentino/1576(oggi in villa Valmarana ai Nani presso Vicenza! cat. 24 e, per le indaginidiagnostiche che non ne negano la compatibilità con materiali e tecniche delCinquecento, pp. 143-146) (fig. 4).Sarà forza tornare su codesto dipinto che si affermava come la vera imago – maipiù revocata in dubbio – del Maestro padovano, annullando l’attendibilità, aquel riguardo, d’ogni precedente proposta, nonché del Ritratto di un giovanearchitetto firmato dal Licinio e datato 1541 che, con l’iscrizioneposticcia Andreas Paladio a[rchitectus]annor [XXIII], era statorifilato al console Joseph Smith, residente britannico presso la Serenissima(cat. 14; il dipinto trovasi ora ad Hampton Court), il quale, in momento imprecisato,aveva provveduto a farlo riprodurre a stampa da Pietro Monaco (cat. 15).Intendeva, in effetti, anteporre quello che, nel testamento dettato il 5 aprile1761, dichiarerà «bel ritratto», alla vita di Palladio, cui Tommaso Temanza siandava applicando e che sarebbe stata alla sua volta anticipata al fac-simile, ma con le illustrazioni,«fatte in rame», dei Quattro Libri, l’esecuzione delle quali era giàconclusa allorché il personaggio esprimeva le sue ultime volontà.  

Si tratta di circostanze tutte ben note al curatoredel Catalogo che stiamo commentando (pp. 23-27) che s’avvede, inoltre,dell’apparizione in busto dell’architetto spacciato per Palladio nell’antiporta,disegnata da Pietro A. Novelli e incisa da Giambattista Brustolon, del primo volumedell’edizione postuma della Dactyliotheca Smithiana di Anton FrancescoGori (fig. 5), stampata nel 1767 da quello stesso Tipografo Pasquali ch’era purancol’editore del fac-simile del ritratto palladiano e della biografia delTemanza, già apparsa nel 1762. Erano, però, sfuggiti al summentovato curatore,non solo la lettera del Temanza all’Algarotti addì 9 aprile 1760 («la vita delPalladio tarderà ancora qualche poco a uscire alla luce» – vi leggiamo – e siprevede «di porla in fronte» della «nuova e corretta edizione dei Quatto Libridell’Architettura del Palladio sulla edizione del 1570»: vedasi L. Olivato, Temanzasu Palladio: note a quattro lettere inedite, in «Odeo Olimpico», IX-X,1972-1973, p. 210), ma un dettaglio quanto mai eloquente. Nel frontespizio,infatti, di quella “vita del Palladio”, benché impressa dal solito GiambattistaPasquali, il personaggio rappresentato dal Brustolon in busto ed entro unaedicola che vagamente riecheggia quella inventata dal Ware per le FabbricheAntiche del Burlington, obbedisce (fig.6), riproponendola, alla vera imago sfoderata per la prima voltadallo Zucchi per il Muttoni nel 1741, e scarta così la riproduzione, cui PietroMonaco aveva provveduto, del ritratto manipolato del Licinio, mentre sorprendentementeil Temanza accetta, generando una lunga confusione, la datazione fasulla (1518)della nascita di Palladio deducibile dall’iscrizione abusiva.   

È doveroso riconoscere al curatore dellamostra in oggetto il grande merito di aver recuperato e presentato almeno unpaio di ritratti di Palladio dipinti ancor vivendo l’architetto (la cui vantatariluttanza a farsi riprendere ne vien resa dubbia, e sarà stata, semmai,indifferenza) talché l’assenza del suo volto nel frontespizio de I QuattroLibri potrebbe imputarsi al fatto che esso celebra, come qualcuno a buondiritto ha suggerito e qui indietro si è adombrato, piuttosto l’editore nelcontesto della frettolosità affannosa con cui in realtà viene messa in lucesolo una parte dei “libri” che Palladio aveva in mente (mi si permettarinviare, a sintesi degli studi in proposito di chi qui scrive, alla edizionedel secondo libro nel confronto speculare con gli appunti preparatori delCodice Cicogna: A. Palladio, Delle case di villa, a cura di L. Puppi,Torino, Allemandi, 2005: Introduzione) e della dipendenza diquell’immagine da una miniatura cinquecentesca acquisita dal Museo Correr nel1956 (si ricordi il dibattito tra R. Fontana, S. Tosato in La biblioteca dell’architettodel Rinascimento. Antichi libri della Biblioteca Universitaria di Padova,catalogo della mostra a cura di P. Gnan [Padova, 6 maggio-8 giugno 2008],Padova, Ministero per i beni e le attivitàculturali-Biblioteca Universitaria di Padova, 2008, cap. Tempo e fatica:l’enigma del frontespizio palladiano e C. Bellinati, Il frontespizio deltrattato di Andrea Palladio e il suo modello, in «Padova e il suo Territorio», XIII, 2008, 134, pp.24-25 con replica di R. Fontana, S. Tosato, Ancora sul modello delfrontespizio dei “Quattro Libri” diPalladio nello stesso periodico, XIII, 2008, 1, pp. 24-28).  

Tanto più spiace, allora, ravvisare che idocumenti quanto mai significativi e sin qua sconosciuti, anziché essereinseriti, e parlare, all’interno di un contesto storiografico precostituitoda un processo rigoroso di indagini, siano stati affossati e resi insignificantinell’avvilimento di un gioco irresponsabile modellato sugli exploits piùdozzinali della letteratura poliziesca insistente sulle peripezie del cosiddettocold case. Per far audience (ci si potrebbe chiedere adeguandocial massacro della lingua italiana) e cassetta? Né si capisce come, con similaritrastulli che pur son riusciti ad abbagliare uno studioso accorto e altamentebenemerito per generose battaglie in difesa di una cultura non inquinata, qualeTomaso Montanari (In visita a Vicenza nella testa del Palladio, in “Robinson”,«La Repubblica», 18 giugno 2017, p. 31), si possa realizzare la «saldaturararissima tra ricerca e grande pubblico», dato che la ricerca, se c’è (disicuro non ha ancora prodotto il codice diplomatico dei documenti concernentiPalladio, il catalogo scientifico completo dei suoi disegni al R.I.B.A., il corpusesaustivo dei rilievi delle sue architetture), vien stravolta, rendendofunzionali i suoi esiti alle mode transitoriamente in voga presso un indefinito“grande pubblico”.   

Si alludeva, dunque, più indietro, a unastraordinaria accoppiata inedita di ritratti che costituivano, a nostro avviso,i gioielli della mostra: l’uno appartenente a una privata collezione di Mosca(un olio su tela di cm 73,5 x 62,9: recante l’iscrizione «Andrea Palladiu[s]») (fig.7); l’altro anche di proprietà particolare (un olio su tavola di cm 22,8 x 16,8e alla sua volta con iscrizione «Andreas Palladius architectus») (fig. 8).Orbene, il curatore che – sulle tracce fissate da Silvia Cavinato con la suabella tesi di laurea discussa all’Università Ca’ Foscari nell’anno accademico2007-2008 essendone relatore Sergio Marinelli – correttamente identifica iprecedenti di collezione del primo a partire dalla presenza della “Rotonda”palladiana alla sua riproduzione a stampa di Giovanni Ciani su disegno diGiovanni Orsino Bellio, per la monografia del Magrini (1845), ma ne lasciasfocato il legame con la tela ora in villa Valmarana ai Nani di Vicenza, di cuidianzi s’è detto. La ritiene infatti eseguita sul finir del Settecento dal modestoFrancesco Boldrini, pur con estrema cautela, insinuando che essa riproduca –con l’aggiunta del cartiglio abusivamente introdotto con variazioninell’iscrizione dagli incisori – la pittura oggi a Mosca che, forse per rendereomaggio al Vasari il quale aveva narrato di un ritratto di Palladio eseguito daOrlando Flacco (e di cui si son perse le tracce), vien accreditata a unimprobabile ambito di quest’ultimo (pp. 36-38; cat. 24), con cui però poco onulla ha da spartire, mettendo viceversa in gioco proprio una responsabilitàesecutiva di Giambattista Maganza. Con egual approssimazione, poi, vienliquidato il secondo numero della sullodata accoppiata, visto che appareesibito (pp. 41-41; cat. 28) quale possibile copia tarda del dipinto dall’Indiaeseguito per il «bellissimo museo» con i «veri ritratti dei principi e de glihuomini più segnalati nelle scienze e nelle arti liberali di tutti i tempi» dicui scrive Cristoforo Sorte nelle sue Osservazioni nella pittura (1580),da Bernardino India, ed è invece uno dei pochi originali sopravvissuti,databile tra il momento in cui il pittore era impegnato nella decorazione afresco di villa Poiana – del quale piace render qui nota una spettacolaretestimonianza grafica già nella Collezione René Huyghe di Parigi ed esposta poialle Adelson Galleries in The Mark Hotel a New York dal 26 gennaio al 12febbraio 1999 (fig. 9) – equello (ante 1570) dell’applicazione a realizzar le immagini di figuraper I Quattro Libri.  

Sbrigativi, e inesplicabili, son poi la liquidazione(p. 42) del ritrattino inserito da Giannantonio Fasolo in un affresco di villaCaldogno a Caldogno e il disinteresse per l’apparizione del volto di Palladionel bronzo che conclude in basso a sinistra la sequenza dei profeti,rappresentati con i connotati di personaggi contemporanei e con un proprioautoritratto, dal Sansovino nella cancellata d’accesso alla sacristia della basilicadi San Marco, che ha non più che una striminzita scheda (cat. 35), eludendol’invito ad approfondire adombrato dalla compianta Raffaella Piva nel suo capitaleprofilo della ritrattistica palladiana del 1980, appena menzionato, mentre vientaciuto del tutto il saggio specifico, ed esaustivo, di B. Boucher, IlSansovino e i Procuratori di San Marco, in «Ateneo Veneto», n.s., XXIV,1986, in particolare pp. 69-71.  

E tanto basti, con la giunta, peraltro, dellaconstatazione dell’affollamento, in mostra, del ridondante contributo dellaplastica ottocentesca in obbedienza fedele ai tratti della vera imago apparsanel 1741, e del rammarico per la dimenticanza della copia, incisa da VivantDenon, di un altro ritratto di Palladio, sinora non reperito, e che è sorprendentementeinserita, come con squisita cortesia mi segnala Giulio Zavatta, nella serie diquarantacinque acqueforti intitolata Ritratti dei più celebri pittoridipinti da loro stessi, esistenti nella Galleria di Firenze, stampata a Parigi“chez N.C. Aubourg” e ivi distribuita dallo stesso editore presso l’“HotelBullion, rue J.J. Rousseau” (e si veda in The Illustrated Bartsch VivantDenon Etchings, nn. 212-257) (fig. 10).   

Ci sia concesso di concludere con una postillache vorrebbe valere una sommessa raccomandazione. Quando occorresse confrontarfisionomie per constatarne o respingerne un’eventuale identità, non si scomodila Polizia scientifica che ha ben altre gatte da pelare (e lo sa farencomiabilmente), ma si ricorra a chi un simile impegno esercita ex professoattraverso l’estrazione dei punti di repere, per una valutazionecomparativa, dal volto di soggetti dipinti rivolgendosi alla cortese disponibilitàdell’Associazione italiana per l’Informatica e il Calcolo automatico,presieduta da Giuseppe Mastronardi ch’è assoluta autorità in materia: magari invista di una risposta scientifica risolutiva alla domanda – che, per la staturadei protagonisti è la più inquietante tra quante possano concernerel’iconografia palladiana – se i tratti del personaggio rappresentato da ElGreco nel quadro oggi nei Reali Musei di Copenaghen, sono davvero quelli delsommo architetto padovano.

© drammaturgia.it - redazione@drammaturgia.it

 

multimedia Fig. 1

multimedia Fig. 10

multimedia Fig. 2

multimedia Fig. 3

multimedia Fig. 4

multimedia Fig. 5

multimedia Fig. 6

multimedia Fig. 7

multimedia Fig. 8

multimedia Fig. 9

 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013