Cosa speravate di trovare a Londra, a Parigi, a Vienna?
Vi troverete Napoli.
C. MALAPARTE, La pelle, 1949 Premessa al viaggio e ai viaggiatori: dallinvenzione alla merce viaggiante Si parlerà qui di un termine legato alla drammaturgia che vorrei adottare o meglio ancora che fosse adottato: drammaturgia turistica. Per un aspetto turistico si riferisce alla tournée, per un altro al turismo vero e proprio o per lo meno ai suoi albori. Si capisce, dunque, fin dallenunciazione, che il termine ha due destini la cui fusione produsse e produce comportamenti, tipologie testuali, personaggi, documenti, materiali editoriali di vario tipo; e direi anche un linguaggio se non un gergo. In generale, il binomio implica il viaggiare, i viaggiatori, ed è legato sia a condizioni geopolitiche (vie di comunicazione, passaggi tra stati, condizioni di pace o di guerra, ecc.), sia a presupposti o esiti intellettuali e artistici. Per spiegare il termine drammaturgia turistica prenderò esempi e dati da un travel book di una grandtourista inglese del Settecento; da alcuni documenti di unaccademia teatrale fiorentina del tempo e da un testo teatrale coevo di un drammaturgo napoletano, Francesco Cerlone. LItalia, ben prima dellunificazione, è stata per motivi religiosi e politici mèta di pellegrini, chierici e sovrani; nonché, per motivi economici e culturali, punto di arrivo e di partenza per mercanti, banchieri, navigatori, intellettuali, artisti e altre categorie (importantissima quella dei militari di terra e di mare). Tra coloro che da sempre non potevano fare a meno di viaggiare cerano gli attori professionisti. Le compagnie italiane hanno fatto del viaggio uno degli elementi fondanti della loro “epica”. Tra successi, intenzioni ed esigenze mercantili, resistenze negli spettatori da conquistare, la rappresentazione del viaggiare con i suoi pericoli e le sue quotidiane necessità entra nella memoria collettiva di un gruppo di attori e attrici italiani tra Cinque e Seicento. Si vedano gli studi di Siro Ferrone sulla Commedia dellArte dellepoca doro: viaggio e mercatura (cristiana) si riflettono sulla drammaturgia, sul linguaggio, sulla memoria, sulla preparazione della tournée. Per i grandi successi degli italiani in Europa si pensi a Goldoni. Dellavvocato veneziano ho in mente i drammi giocosi nella loro veste londinese, con traduzioni a fronte, tra cui versioni italo-inglesi della Buona figliuola che torna a casa, in un certo senso, travestita da italiana. Sempre di Goldoni e sempre a Londra si ricordino anche i Viaggiatori ridicoli tornati in Italia che mettono in scena il lato comico della nuova società del Tour: esemplare, in questo senso, il personaggio della Marchesa viaggiante. Siamo alle smanie per il viaggio. Per questi successi, anche linguistici, ricordiamo inoltre la folta schiera di impresari, impresarie, musicisti e cantanti che si trasferiscono, viaggiano o risiedono per qualche tempo a Londra, a San Pietroburgo e, più in generale, in tutta Europa, lasciando in diversi casi segni profondi /soprattutto nella vita musicale. Per gli insuccessi si devono registrare Le querelle des bouffons, oltre una generale connotazione esotica delloggetto teatrale italiano cristallizzato nel tempo e nei generi, almeno per certi pubblici stranieri. A volte i professionisti teatrali italiani allestero sono esposti a esilо e ritorni, controlli, pregiudizi, specialmente in ambito francese. Siamo di fronte a trasferimenti di una certa consistenza di attori, cantanti, impresari, autori e musicisti che esportano sia loro stessi, sia un repertorio, una cultura e un know-how in un continente che, con lapertura della Russia ai costumi e ai mercati dellovest, ha raddoppiato la sua estensione e il suo mercato: lo stato degli zar con i nuovi palazzi, a volte dotati di teatri progettati da italiani o da loro ispirati, diviene una delle mete delle migrazioni teatrali. Tuttavia il professionista teatrale allestero resta spesso una sorta di “articolo” viaggiante che conquista nuove terre solo a metà. Anche da ciò nasce la rappresentazione del viaggio come momento significativo da ostentare, quasi fosse un gioiello: il viaggio internazionale fornisce un certificato di eccellenza. La drammaturgia italiana sei-settecentesca è, almeno in parte, intrinsecamente e necessariamente turistica: in un sistema fondato sul viaggio di interpreti e repertorio un testo operistico, ad esempio, viaggia. Il moltiplicarsi di rappresentazioni in città italiane e con crescente frequenza anche europee (con adattamenti dintonazione e di testo, quasi sempre a uso di cast e pubblico) denota il grado di “portabilità”, popolarità e successo. Il prestigio si calcola e si valuta anche in base alliter in campi eterogenei rispetto al teatro. Le grandi piazze (Venezia, Napoli, Londra, Firenze, Parigi, Vienna, San Pietroburgo, Dresda ecc.) sono gli approdi più ricercati, i collettori della merce teatrale e musicale viaggiante che nel Settecento al pari degli spettatori si sposta di capitale in capitale. Tuttavia questo non è il solo viaggio a essere compiuto o desiderato. Il percorso che dalla scena e dalla professione arriva alliconografia, ad esempio, dove la figura artistica dellinterprete si fissa nel tempo in caso di successo, significa molto per lattore e per lo storico. È un viaggio verso una memoria a-dinamica, che ha una vita più lunga della rappresentazione. Risulta altrettanto e forse più rilevante il viaggio di attori e attrici drammaturghi verso la Repubblica delle Lettere. Come liconografia, anche il testo rappresenta un punto di arrivo: quasi una stasi drammaturgicamente consuntiva di un prodotto che emancipa con la sua esistenza lo status del produttore. Limmagine fissa un gesto professionale. Il testo, in maniera diversa dalliconografia, libera linterprete dalleffimero della performance: ne tramanda il lazzo, il “frizzo” linguistico e altre peculiarità fossilizzandoli in una sapiente ambra verbale, testimonianza di un tragitto culturalmente ascendente che dalla scena tenta di giungere alla stampa, e quindi dal movimento performativo alla stasi monumentale tipografica. Intermedio napoletano: le felucche delle cantarine e il viaggio del segretario Il gergo marinaresco resta, variato, in esempi minori e distanti dal Cinque-Seicento. Si guardi a Pietro Trinchera e alla sua “commedia pe museca” LAbbate Collarone (1749, teatro della Pace di Napoli, ripresa poi col titolo Le chiajese cantarine nel 1754 al teatro Nuovo). La tematica metateatrale rappresentata dal desiderio di alcuni personaggi femminili di darsi alla professione di “cantarina” risulta centrale e per certi aspetti unica. Nella prefazione-dedica («Pietro Trinchera Autore A Li Scarfasegge») si trova una sorta di spaccato della condizione sociale di certe cantanti: «chi spostata da la necessetate, chi da larbascia, e chi da la desperazione so arredotte a fare le Ccantarinole; sciorte lloro!». Sembrano donne che per miseria si sono ridotte a fare le prostitute. In realtà si presenta la professione teatrale (sebbene irrisa dallo stesso Trinchera in altri luoghi della sua drammaturgia seguendo un topos di lunga durata) come lunico modo per emanciparsi da una condizione disperata e inferiore. Il librettista e notaio napoletano ricerca la protezione di Don Giuseppe De Rossi conte di Cajazzo. Infatti, «essennose puosto a proteggere lo Mpressario, a forziore ave da proteggere le Ccantarinole, che so le ffiglie soje». Da parte loro le cantarine-cantanti: sotta a sto lauro starranno secure da chille lampe, e truone, che pe lo spisso pigliano a conzummare, a tarrafenare [rovinare], e a persequetare sto ceto de Vertolose; pocca avenno trovata la vena delloro, e lo nido de la bertute, starranno franche da le persecuzione, da le murmurazione, e da lassaute ncoppa a la bella onestate lloro, e sarranno le primme, che pe la via deritta de la vertute arrevaranno a li Ciele, e se ne tornaranno vecchie a la Cetate lloro, carreche de denare, gioje, e bbestite; e li brave, e le sbattute de mano, che avarranno, vennerranno rechiammate da la veretate, e non da li genee triste de li Ncappatielle [innnamoratelli] strutte, che trovannose saglio a denare, mettono lo triunfo de no bravo, o de na sbattuta de mano, e a sto muodo credeno de guadagnà la posta. La raccomandazione pedagogico-moralistica (e in parte etico-programmatica) sottolinea le qualità necessarie alle «virtuose» per cui gli applausi che riceveranno, dopo la loro carriera allestero, nasceranno dalla verità del talento e non da innamorati giovincelli che cercano di approfittarsi di loro. Alla raccomandazione si accompagna lavvertimento benevolo (e la critica sociale) nei confronti delle ritornate da «Calicutta» o «Trabisonna», ed è interessante, appunto, che nella prefazione del 1749 compaia una metafora marinaresca elaborata e significativa: Non sarrà la glorea de Chiaja, nvederese fra poco tiempo tre povere Marenaresse de chelle cchiù scordate, che se ponno trovare dinto a chille vasce, scarpesare li meglio Triate de la Talia, e de lAuropa tutta, e acquestanno lo nomme dallarte, o da lo luoco, sentire dire la Pescarina è gghiuta pe primma donna a Calicutta, la Marinella a Finibusterra, e la Chiajese a Trabisonna, lo vanto de Chiaja sarrà, ca se parte sta falluca securissema pe ddinto a sto mare de pericole, ca vene guedata da lo temmone de no Segnore accossì Granne, che basta dicere, Casa RUSSO, pe fa mpalledire, jancheare, e tremmare a chi la sente. Nelle scene finali (III 10-12 e 13, «scena utema») fa il suo ingresso sul palco una «falluca» su cui simbarcano musici, impresario e cantanti al suono de «lo minnetto [minuetto] de lo Sassone», cioè il compositore Johann Adolf Hasse marito della grande cantante Faustina Bordoni. La compagnia lascia Napoli per dirigersi verso mercati operistici stranieri e favolosi. Ma il viaggio, la ricerca di un successo migratorio sono anche il segnale, pur nellironia dello stile, di una saturazione del circuito cittadino che cominciava a vedere lemigrazione sistematica delle professionalità teatrali, soprattutto musicali, da Napoli. Si legge nelle didascalie del III atto del libretto: «Abbate Collarone, e Adamo Afferre, musece violine, e cuorne de caccia dinto a na falluca, che benono nterra sonanno lo minnetto de lo Sassone, e li stisse, e po sbarcano schitto Abbate Collarone, e Adamo». E ancora: «Titta, D. Vicenzicco, e po comparve la falluca con tutte le gente che partono». La metafora della barca è presente pure nella dedica della commedia per musica Don Paduano sempre di Trinchera ma firmata da «La Compagnia»: Na Varca scassata senza rimme, e senza Vele che pe mmiracolo a nfi a mo nè ghiuta de chiatto a lo Mantracchio, o sè scassata nfaccio a no scuoglio, mettimmo sotta a la protezione de Ussillostrissema, sciorte soja! ca trovarrà li rimme, e le bele, che le mancano, e biento favorevole la guedarrà, portannole a lo puorto che addesia, ntanto accettanno sta piccola afferta ncotrassigno da lanema nuoste, comma no canisto de nuce, e nucelle, passe, e fiche secche che se soleno realare de sto tiempo de Natale. Sebbene ci troviamo in una città di mare, bisogna guardare anche al gergo marinaresco che i pionieri secenteschi della Commedia dellArte usavano nei loro scritti. Non posso dire se una tale terminologia sia passata, propagata da attori e compagnie itineranti, nelluso letterario-teatrale napoletano. Trinchera è molto attento nel riprendere metafore alimentari (la commedia come una combinazione di pietanze o frutta) di derivazione umanistico-rinascimentale. Si può dunque ricorrere alle dinamiche organizzative che generarono quelle metafore per spiegare queste e, al contempo, osservare una vita teatrale napoletana in parte ancora chiusa e autosufficiente che si apre al viaggio come segno distintivo, anche se ironico, di una professione: Calicutta, Trabisonna, Finibusterra sono nomi fantastico-reali citati nellAbbate Collarone. Se i pionieri della cosiddetta Commedia dellArte ricorrevano al vocabolario dei corsari o della marineria tout court come «preciso riferimento a un dato organizzativo mutuato dalla vita di corsa», a Napoli lattività teatrale, con le sue difficoltà e tempeste, inizia e finisce in larga parte nella città; la “corsa” da una corte allaltra si trasforma nel girovagare fra i teatri cittadini (ma anche tra cappelle musicali aristocratiche o reali), nel mettervi radici diventandone il drammaturgo o il cantante di riferimento. La ricerca di lettere patenti per la riuscita del viaggio diviene laffidarsi a un protettore che con la sua autorità e il suo prestigio vegli su teatro, impresario, autore e compagnia mettendoli al riparo dai rovesci di un potere incombente che poteva decretarne lallontanamento dalla capitale, sòrta di stato teatrale; nonostante Napoli sia il polo di attrazione principale, le compagnie viaggiavano allinterno del regno con relativa frequenza. Infatti, le formazioni partenopee, con cast variati dopo le prime in città, davano nuova vita a Palermo o a Messina o in altri centri a commedie per musica già collaudate. Trinchera si contraddistingue anche per un esemplare caso di drammaturgia turistica sulla direttrice Napoli-Firenze. Nella sua ultima commedia, Notà Pettolone (pubblicata in due edizioni: Napoli 1738 e 1748, questultima con minime ma significative revisioni), il notaio-drammaturgo elogia, sorprendentemente, la famiglia Medici: MASTALESIO Casa MEDICI è stata sempe galante, e generosa.
DONNERCOLE E no sole che luce, e scarfa a tutte (III 27). Ma il dato, pur unico nella drammaturgia di Trinchera, si dirige verso ben altro. La commedia si apre, infatti, con unelaborata battuta che cita la Mandragola di Machiavelli (proibita ma circolante come tutta lopera del segretario, ammiratissima da Goldoni): NOTÀ PETTOLONE Nicolaggine non ti partire una pidata da la Curia, mentre vado per insino addove lo Caso e oglio a stipulare due albarani, videlicet, uno collo Saracaro, e un altro colli Marinari per lalici saliti. Come dite? Se viene qualcheduno? Lei faccia, e sfaccia tutto quello che li pare e piace, date sodisfazione a tutti, perché noi vi diamo tutta la nostra Regia autorità, vices, e voces, piglia parole, e si opus sit stenni, quello, che puoi stennere, io vado. Come dite? Se ti chiamano sopra? Tu non le porgere aurecchia, che lavano loro, che lo gettano e polizzano loro insolitum; perché io avennoti veduta capace, anzi capacissima, tho pigliata per lo mio ajuto, e non già per serva. Nicolaggine non uscire fuori, sà? tu sei Zitella, questa è una malissima platea, tu sai quello che ti voglio dire. Eh Nicolaggine, Nicolaggine, avisa questo vostro ben servire, a che grado vi ascennerà un giorno (I 1). Il testo criptico è per certi aspetti destinato a pochi (non tutti potevano riconoscere lincipit di una commedia censurata seppur letta e famosa) e dunque anche a un potenziale pubblico fiorentino o a lettori colti e un po spregiudicati. È un caso di drammaturgia turistica in quanto Trinchera era in contatto con i principi dOttajano Medici nel cui feudo si domicilia per la concessione del privilegium notarile del 1726. Il principe di riferimento della famiglia si reca a Firenze proprio dopo la scomparsa del granduca Gian Gastone (1737) per avanzare pretese sulleredità degli ultimi Medici. Probabilmente lautore napoletano fornisce un testo teatrale con tratti di fiorentinità illustre per laristocratico viandante e “pretendente”. Si legge nelle carte dellArchivio di stato di Firenze, tra le corrispondenze dei residenti toscani a Napoli, quanto segue: Martedi mattina il Signor Principe di Ottaiano Medici, dopo aver preso il congedo di sua Maestà, che li ha permesso la dimora di mesi cinque fuori dal Regno, prese la diligenza delle poste, per la Corte di Firenze, ad oggetto di poter ottenere dopo la morte della Signora Elettrice qualche porzione de beni allodiali di quellestinta Famiglia Medici, già che pretende esserne Ramo. Anche una gazzetta riporta la notizia del viaggio del principe napoletano: Firenze 8 Febraro. Comparve quà da Napoli preceduto da Corrieri, e con grandioso Equipaggio il Sig. Principe dOttajano Medici smontato presso il Sig. Cavaliere Migliorucci, stata poi molta nobiltà a visitare S. Ecc., la quale si conferì poi alla visita della Serenissima Elettrice, del Sig. Principe di Craon. Linserto dalla Mandragola (e altre sue caratteristiche) poteva ben adattarsi a un testo da viaggio che i principi si portavano nel loro baule per linteressata trasferta toscana. La citazione, seguita da battuta criptica, rivela inoltre il desiderio del drammaturgo napoletano, ma anche dei suoi protettori, forse segreti, di confrontarsi con un grande capolavoro (proibito) del Rinascimento, mettendo sullo stesso piano drammaturgia dialettale napoletana e drammaturgia comica in fiorentino del Cinquecento. Per non dire che la neonata dinastia regnante di Napoli avrebbe potuto essere quella granducale, se Carlo di Borbone non avesse declinato lofferta del trono toscano. Un interessante oggetto da viaggio, se la mia ipotesi è valida. Il testo di Trinchera attesta comunque una conoscenza e una circolazione degli scritti di Machiavelli ben al di là del bando dellIndex libri proibitorum. Resta difficile da stabilire come sia arrivata al notaio napoletano La Mandragola, forse nelledizione pirata secentesca detta della “testina” o attraverso le biblioteche dei giurisdizionalisti parailluministi o degli afrancesados (o entrambi). Gli scambi drammaturgici e culturali sulla direttrice Napoli-Roma-Firenze risultano ancora territorio in parte da esplorare e di singolare interesse; si pensi ad alcuni testi di Carlo Sigismondo Capece per la corte toscana. Pubblico viaggiante e Grand Tour Un cambiamento tra vecchio e nuovo spettacolo si ha proprio con il Grand Tour. Se nel teatro e nella professione attorica di tradizione tutto viaggiava, nel XVIII secolo gli spettatori viaggiavano molto più che nei secoli passati, grazie anche a migliori vie di comunicazione. Per certi touristi il viaggio diventa emblema di successo, di appartenenza a un club privilegiato che attesta il compimento di un iter distintivo, come per gli attori. Pure in questo caso, il viaggio produce una letteratura a sua volta viaggiante: i travel books, records degli albori di unepica moderna. Un altro grande protagonista di questo mondo schiavo del viaggio e del movimento è ledificio teatrale, un collettore, almeno in ambiti caratteristici e diffusi del panorama italiano ed europeo, di vari movimenti. Il teatro è lo spazio in cui la compagnia approda, dove approda il testo (a meno che non ci siano un poeta e un musicista appositamente scritturati), dove giunge il pubblico, a volte in parte viaggiante come gli attori. Per non dire della drammaturgia dello spazio e della relazione teatrale attore-spettatore. Un crescente numero di viaggiatori europei e in particolare inglesi inizia a sciamare sullItalia. Benedetto da Bacon e dal suo Of Travel del 1625 ma anche dai molti capitali. I touristi guardano a un paese in decadenza, poco costoso, di grande bellezza, dal clima e dai costumi meno rigidi rispetto a certi rigori protestanti o nordici e, soprattutto, con un patrimonio artistico e un prestigio culturale impareggiabili. Senza dimenticare che la Chiesa cattolica e il papato tanto fascino esercitavano sui viaggiatori protestanti (e anglicani in particolare). Per quanto riguarda Goldoni, le memorie teatrali di questo nuovo sentire viaggiante si evidenziano in testi come La ritornata di Londra (1756) sulle arie da grande ritornata di una cantante, ma anche Il viaggiatore ridicolo (1760). Segnalo inoltre drammi comici per musica come Il giramondo (varie intonazioni, autore del testo incerto, a volte intitolato I viaggiatori, in cui alcuni dei personaggi portano gli stessi nomi de Il giramondo, incluso il personaggio eponimo) e i numerosi esempi di libretti con e su personaggi francesi, inglesi, tedeschi, olandesi, spagnoli: innamorati, ridicoli, saggi, patetici, comici, viaggiatori veri oppure millantatori. Si pensi inoltre agli antichi, costanti e frequenti inserti di lingue straniere più o meno storpiate, ridicolizzate o usate in maniera seria ed esotica. Di interesse anche il dramma giocoso La francese a Malghera dellabate Pietro Chiari, andato in scena per la prima volta al San Cassiano a Venezia (1764), in cui si produsse la prima buffa Serafina Penni specializzata interprete goldoniana; a partire dal 1764 il dramma fu riproposto in vari teatri italiani. A Firenze è da segnalare La virtuosa tornata da Parigi, commedia rappresentata al «nuovo teatro di Porta rossa nel carnevale dellanno 1762» di cui fu autore Giovanni Giorgio Frilli che negli anni Cinquanta era stato scritturato come attore di prosa dalla compagnia del Cocomero come risulta da alcuni conti degli accademici Infuocati proprietari del teatro. Oltre a Goldoni altri drammaturghi si riferiscono al viaggio e ai viaggiatori nel panorama delle opere comiche per musica. Tra queste, in ambito napoletano quasi coevo a Glamanti inglesi di Cerlone di cui parleremo, I viaggiatori, commedia per musica di Pasquale Mililotti (1720/1730-post 1782) rappresentata ai Fiorentini nel 1775. Un degno esempio di aggiornamento pasticciato relativo al viaggio e al viaggiare in cui recitarono-cantarono due membri della celebre famiglia di buffi napoletani Casaccia, Antonio e Giuseppe. Ancora di interesse per la diffusione del soggetto, e con tipici inserti di lingue straniere, I viaggiatori felici di autore sconosciuto: opera buffa andata in scena al San Samuele di Venezia nel 1780 e in vari teatri italiani ed europei (inclusa Lisbona) almeno fino al 1794. Le smanie per il Grand Tour, i prestiti dalla drammaturgia e dalla letteratura forestiere entrano come soggetti delle macchine drammaturgiche dando vita nel corso del Settecento a una serie di tipi e testi. Nei teatri stranieri le opere italiane iniziano a rappresentare anche un ricordo turistico “esotico” con conseguente ostentazione di conoscenze linguistiche. In breve: gruppi di interpreti e testi viaggiano in varia maniera o si ispirano al viaggio mentre gruppi di spettatori viaggiano a loro volta lasciando spesso testi “viaggianti”. Nellambito della maggiore circolazione di informazioni circa i cantanti, e dunque nel contesto di un nuovo pubblico viaggiante internazionale che a sua volta segue la merce teatrale viaggiante, è emblematica una lettera del 1758 di Winckelmann che conferma una nuova tendenza nella ricezione: «[A Firenze] la sera vado allOpera. Mi pare di essere a Dresda essendo qui una Pilaia che canta». I nomi dei cantanti italiani non solo riempiono le corrispondenze (esemplare quella tra Horace Mann, ambasciatore a Firenze, e Horace Walpole), ma cominciano ad apparire consistentemente nei travel books di viaggiatori e viaggiatrici, nelle storie della musica e dei costumi e nei vari accounts compilati in larga parte da inglesi. Iniziano anche le pubblicazioni specializzate che danno conto degli albori di una critica teatrale e della migrazione quasi dilagante delle compagnie italiane in Europa. LIndice de teatrali spettacoli (1764-1823) elenca attori, attrici e cantanti (spesso riportandone i ruoli), con relativo repertorio, in Europa, da nord a sud, dalla Russia al Portogallo. Sempre Winckelmann in unaltra lettera ritrae in maniera efficace questo crocevia internazionale di cantanti e viaggiatori: scrive entusiasticamente di lady Walpole, parente del corrispondente di Mann, oltre che gran dama dei grandtouristi a Firenze. Si veda la lettera a Gian Lodovico Bianconi da Firenze (fine settembre 1758): «I Virtuosi di S. M. il nostro Padrone, la Pilaja e Lenzi e sua moglie sono applauditi a Firenze allultimo segno […]. Mylady Walpole che sta a Firenze li adora». Si consideri adesso un caso esemplare. I protagonisti sono una lady inglese viaggiatrice settecentesca di media cultura, conoscitrice del bel mondo (o che tale pretendeva di essere) e autrice di un travel book di qualche valore e diffusione; un commediografo napoletano prolifico e di successo; un teatro fiorentino che era unimportante sala per il genere comico in prosa e in musica; una città in cui la comunità inglese aveva un peso notevole. E dunque: lady Anna Miller Riggs (1741-1781) e il suo Letters from Italy pubblicato in due edizioni da editore londinese; il napoletano Francesco Cerlone e la sua commedia in tre atti Glamanti inglesi andata in scena al teatro del Cocomero. Sfondo imprescindibile Firenze e la sua comunità internazionale in particolare inglese. A questo punto si tenga a mente un celebre episodio del passato. Quando Isabella Andreini ebbe la non casuale fortuna di rappresentare nel 1589 a Firenze la sua Pazzia davanti a Cristina di Lorena sposa di Ferdinando I de Medici, per lusingare la principessa la grande attrice interpose, nel suo virtuosistico “delirio” performativo, delle canzonette alla maniera francese. Pubblico francese, canzonetta francese. Si potrebbe facilmente aggiungere: pubblico inglese, canzonetta inglese, e si potrebbe andare avanti, con qualche difficoltà per alcune lingue. Non avremo canzonette francesi nellesempio di Cerlone, bensì marinai e unironica dialettica marinara, appunto, tra Francia e Inghilterra rappresentata, con intento e innesto turistico (e sottile polemica sui potentati dei mari), davanti agli spettatori abbastanza cosmopoliti del teatro del Cocomero. Ci troveremo di fronte a un pubblico “committente” indiretto che coincide con un gruppo relativamente piccolo ma influente: gli inglesi in Toscana. Lintersecarsi di spettatori, drammaturgia e teatro si rivela qui un esempio interessante e utile sia per meglio comprendere la stagione teatrale fiorentina 1770-1771, sia per valutare espressioni drammaturgiche successive. Firenze e lambasciatore Firenze, come si sa, era molto visitata dagli inglesi già nel Settecento, anzi proprio in quel secolo si stabiliscono le basi per la comunità che poi verrà detta degli “anglobeceri”. Lord Cowper, uno dei più ricchi e in vista, teneva regolari serate musicali di vario tipo a villa I Visi e proteggeva, insieme ad altri, Giovanni Morelli: eccellente buffo che ebbe buoni risultati proprio a Londra. Non solo. Pietro Pertici, attivo nellopera comica e nella prosa e campione del teatro del Cocomero, ricerca viatici importanti alla tournée londinese. Li cerca insieme alla moglie Caterina Brogi detta la Tincanera, a Filippo Laschi e a sua moglie Caterina Querzoli, attraverso lambasciatore Horace Mann che fu emissario di Sua Maestà a Firenze per molta parte del Settecento. Mann menziona spesso il grande Pertici – «il più bravo Attore del mondo» a dire di Goldoni – nelle sue lettere come «the buffo man»; ne analizza anche la recitazione irridendo le sue interpretazioni nelle tragedie e parla delle opere buffe nel Little Theatre (il Cocomero, così conosciuto tra gli inglesi a Firenze) come di «burlette». Termine fiorentino la cui presenza nel Settecento operistico comico londinese testimonia la migrazione di una parola del pubblico viaggiante e dei professionisti migranti. Un piccolo successo epico-linguistico in un territorio straniero. Dellambasciatore Mann resta traccia, anche in anni precedenti la visita dei coniugi Miller, in alcuni conti per i palchi del teatro del Cocomero: A dì primo luglio 1763
Dal Sig. Men [Mann] per fitto di Palco di nostra Accademia vendutoli per detto prezzo per la passata primavera. Anna Miller Riggs cercava una conferma al proprio ruolo sociale che il patrimonio borghese le permetteva di sostenere. Il viaggio in Italia e lattestazione del suo reale svolgimento erano parte essenziale di questo processo. Anna Miller Riggs col marito (che nel 1778 fu creato baronetto irlandese) se ne venne in Italia passando per la Francia, anche per contenere le spese durante la costruzione della sua villa a Bath che poi ospiterà un salon letterario. La lady con ambizioni di patronage di gare poetiche pensò di pubblicare un volume piuttosto dettagliato canonicamente intitolato Letters from Italy. Forse confidando nelle vendite editoriali che avrebbero in parte coperto i costi del viaggio. Il Little Theatre che con la Pergola, per un periodo del Settecento, occupava gran parte del mercato teatrale cittadino, era specializzato nelle opere buffe (e poi anche in commedie e tragedie) ed era frequentato già da diverso tempo da stranieri e viaggiatori. Negli anni della Miller Riggs al Cocomero tra gli affittuari dei palchetti si registrano alcuni bei nomi dellaristocrazia fiorentina: a Lamberto Frescobaldi va il palco 41, a Luca Torrigiani il 45, a Cosimo DeglAlessandri il 46 e cosi` via. Non diversa era la situazione precedente come attestano i conti del 1730-1731: [palco] 36, e 37 venduto a i Forestieri
Residente dInghilterra per il palco di n. 24 e 25
1 e 2 al Sig. Inviato di Francia
n. 7 al Sig. Marchese Tempi
n. 32, e 33 al Sig. Panciatichi
dal Sig. Inviato Cesareo per valuta del Palco di n. 27 e appalti dovuti al medesimo. Walpole scrivendo a Mann circa il libro della Miller Riggs non risparmia frecciate alla “patronessa” che, a suo dire, non scrive correttamente una sola parola in italiano: I have just met your name in a printed book, in which your politeness is celebrated. It is called Letters from Italy by an Englishwoman. This is Mrs Miller, whom perhaps you recollect. Ten years ago I knew her and her husband, the faithful companion of her travels, at Bath, near which they have a small house and garden in a beautiful spot called Bath Easton. They were mighty civil simple people, living near her mother Mrs Riggs, a rough kind of English humourist. They ran out of their fortune, and all went to France to repair it. In France her mother was left with the grandchildren, while the fond pair resorted to Italy. Thence they returned, her head turned with France and bouts-rimés, his with virtu [sic]. They have instituted a poetic academy at Bath Easton, give out subjects and distribute prizes, publish prize verses, and make themselves completely ridiculous; which is a pity, as they are good-natured well-meaning people. The poor Arcadian patroness does not spell one word of French or Italian right through her three volumes of travels. Mann risponde al lontano parente e amico in termini ancor meno lusinghieri per la “Arcadian patroness”: I have but a slender remembrance of the lady who has recorded me in her works. I certainly did not do much to deserve such an honour, as I do not recollect them. Such travelling searches of a reputation often boast of civilities from the minister which they interpret as a homage paid to their merit. I must therefore rank Mrs Miller in that class. Ma nonostante loro parlassero male di lei, lei parla molto bene di lui, e così facendo ci fornisce, tra verità e autopromozione, anche uno spaccato della vita della bella società fiorentina e viaggiante: There are few private assemblies; before Sir Horace Mann came here there was not any; but he has been of great use in teaching them how to live: his table is elegant, and his polite manners please everybody. Continua la lady, descrivendo la vita e il sentire della comunità anglosassone a Firenze: «This city is in high favour with young Englishmen; who are perfectly at their ease during their residence here». Tra touristi stranieri e intrecci massonico-editoriali Firenze ritrova un suo ruolo grazie alla cultura “viaggiante” e alla Libera muratoria. La lady, il drammaturgo e i marinai Scrive la Miller Riggs a inizio gennaio 1771 da Firenze: There is but one theatre open at present; the performers are wretched and their plays, if possible, worse; though it is ungrateful to criticize as the piece is always in honour of the English. A crew of English sailors are introduced on the scene, who ridicule, and in the end beat some French characters, which are much outréed. The theatre is convenient, but nothing remarkable; it is called Little Theatre, to distinguish it from another, where they say operas at another season are finely performed. La gentildonna inglese data unaltra lettera del suo travel book da Siena e dintorni 30 dicembre 1770. Nella «Gazzetta Toscana», tuttavia, tra i viaggiatori stranieri annunciati a Firenze nel dicembre-gennaio 1770-1771 il nome dei Miller Riggs non compare: forse la lady si dà un certo tono, come notava il pettegolo ambasciatore Mann. Ma dal medesimo foglio veniamo a sapere di quale commedia fu spettatrice: Nella sera del dì 26 [dicembre], furono aperti alle pubbliche rappresentanze quattro teatri di questa città. In quello di via della Pergola fu messo in scena il dramma intitolato Tigrane Poesia del celebre Apostolo Zeno ove fanno le prime parti i più volte nominati soggetti Sig. Carlo Niccolini, e la Sig. Giovanna Carmignani, ed il Sig. Salvator Casetti tenore che vi cantano tutti con applauso. I balli sono dinvenzione del Sig. De Terrades […]. In quello di via del Cocomero, fu recitata la commedia intitolata Gli Amanti Inglesi, intramezzata da due Balli di diversa invenzione. Nel Teatro di Via Santa Maria non poco incontrò la tragedia intitolata Osmano; e finalmente in quello sulla piazza vecchia di Santa Maria Novella fu rappresentata la commedia intitolata LInglese in Italia. Il fatto che lady Anna si lamenti che non tutti i teatri – in particolare la Pergola – siano aperti, non combacia né con quanto riferisce la gazzetta, né con le disposizioni del governo lorenese in materia di spettacoli e apertura delle varie sale. Evidentemente la Miller Riggs non era riuscita ad andare dove avrebbe voluto e, a mio avviso, non volle lasciarne memoria nel suo mediocre carnet. Probabilmente era sia reticente che maldestra. Linglese in Italia, andato in scena alla piazza Vecchia, è un testo particolare. Ha una duplice natura: di commedia e di opera buffa. Nel 1769, al Formagliari di Bologna, era stato rappresentato Linglese in Ialia opera buffa che, seguendo lasse Bologna-Firenze, avrebbe ben potuto approdare in Toscana in maniera studiata ad hoc per il turismo locale. A un altro Inglese in Italia, commedia, accenna il «Giornale dei teatri di Venezia»: Martedì 8 novembre 1796
Al Teatro SantAngelo. LInglese in Italia, commedia di poeta anonimo, mai più rappresentata, secondo linvito dei comici, ma prodotta già altre volte sulle venete scene. Riassumendo: questo titolo ha due vite parallele e una certa diffusione nel centro-nord, almeno tra Firenze, Bologna e Venezia, sia in prosa che in musica. Il testo fiorentino potrebbe essere di Andrea Patriarchi, drammaturgo attivo nella Firenze lorenese che dopo averlo composto per il teatro della Piazza Vecchia (1771) lavrebbe fatto rappresentare al teatro di Santa Maria (1779). La commedia Glamanti inglesi di Francesco Cerlone è anchessa importante, ben più dellesile operina che si muove in ambiti teatrali diversi. Il testo sembra pensato per soddisfare un pubblico variegato – compreso quello internazionale e di passaggio – e indirizzato a palati diversamente drammaturgici data una certa ipertrofia creativa che caratterizza lopera del commediografo-librettista napoletano. Ancora. Nelle carte degli accademici Infuocati del teatro del Cocomero si conserva un promemoria del console Ferdinando Orsi, redatto proprio nel 1771, che invita i proprietari a fornirsi di un poeta capace di scrivere commedie in quantità: Scrive Orsi: La scarsità di scrittori Comici e il piccolo numero di buone Commedie che si hanno sarà sempre fatale al felice proseguimento dellImpresa Comica del Teatro di Via del Cocomero, molto più ora che il Signore Avvocato Goldoni ha desistito di scrivere. E ancora: Che determini un assegnamento fisso per servire ad un Autore Comico che dia un numero annuale di Commedie e di traduzioni dal Francese, e ciò perché il Teatro possa variare le sue Rappresentanze, e non annoi sempre con listesse. È evidente che gli Infuocati erano a caccia sul mercato di testi di qualche successo come lo erano da anni anche di attori e cantanti. Iniziava la colonizzazione drammaturgica francese dell Italia, nonostante le Pamele e il pubblico inglese. Anche grazie al tour comincia una dialettica di mercato. Goldoni e Cerlone, che si erano avvicinati a Richardson, vengono via via soppiantati con leccezione romantica di Shakespeare & c. da uninvasione della drammaturgia francese. A questaltezza storica sembra che lexport teatrale italiano si diriga ovunque, con predilezione dei toscani per Londra grazie allo speciale rapporto Firenze-Inghilterra sostenuto dalla comunità viaggiante. Il canale dellimport drammaturgico, invece, appare ancora fluido ma già spostato sulla Francia. Uno scrittore prolifico come Cerlone (orbitante a modo suo intorno Goldoni) era adatto alla drammaturgia turistica. Di lui si ricordano anche Gli inglesi in America o sia il Selvaggio (Napoli 1779), nonché Li napolitani in America: titoli che insieme ad altri denotano unintelligente fantasia mirata a nuovi panorami, nuovi pubblici, nuovi continenti. Tutte novità calate, però, in un contesto e in una tradizione drammaturgici conservativi e stratificati. Cerlone si forma e afferma nellambiente napoletano che, dalla metà del XVIII secolo, anche per concorrenza e saturazione del circuito cittadino, vede una proliferazione variegata di soggetti e di ruoli nellopera buffa e nella prosa, trame sempre più esasperate e mescidanza di stili, comico, sentimentale, esotico, da Commedia dellArte, con o senza forestieri (e così via). Ecco i personaggi de Glamanti inglesi: 1. Conte Duglas uomo serio e rigoroso
2. Federico
3. Rosalba creduta figlia del conte di Duglas, che poi si scopre figlia del conte di Warvich
4. Lucilla nipote del Conte Duglas
5. Conte Sexse uomo prudente, e morigerato, amante di Lucilla
6. Milord Belfort destinato sposo di Rosabella
7. Conte Warvich creduto estinto
8. Capitano di un vascello
9. Lisetta cameriera di casa
10. Cavaliere Ernold cieco, fratello del conte Duglas
11. Don Saverio Pacca suo custode
12. Paggio
[…] Draganut rais celebre corsaro, che non parla
azione si finge in una Villa di Londra
Comparse
Di sgherri con Belfort
Di servi del Conte
Di Marinai e Soldati inglesi
Di Soldati Barbari, e Ciurme
Mutazioni di scene: Gabinetto con bussole laterali. Giardino con appartamento in prospetto. Spiaggia di mare. A fianco delle comparse dei marinai inglesi non sono presenti characters francesi. La commedia è un intrico comico-esotico-sentimentale con tanto di parti buffe: in napoletano per il servo Saverio Pacca e con alcune battute in dialetto per la servetta. Ci sono addirittura scene degne della Commedia dellArte con il servo ficcanaso preso a bastonate dal padrone (I 12), oppure a colpi di pistola (II 4). Come in altre commedie di Cerlone una scena è una indicazione didascalica che recita: «Lisetta [la servetta], e Paggio, che fanno una scena buffa» (III 2), aprendo così il testo alle caratteristiche performative e testuali della commedia improvvisa, e lasciando spazio agli interpreti per unazione-lazzo da coppia comica. Da notare che nel tomo VIII delledizione 1826 delle commedie di Cerlone tale scena buffa lascia il posto a una interamente distesa tra Elisetta (Lisetta), Paggio e il cavalier Ernold. Si tratta di un fatto editorialmente e drammaturgicamente interessante. Ledizione del 1826 è postuma e viene da chiedersi se quella del 1789 (forse anchessa consuntiva e postuma) fosse assemblata con materiali performativi, che includevano una componente improvvisa, desunti dalla recita. Il testo ci informa inoltre sul passaggio dei testi dalla scena alla stampa , nonché su come la componente improvvisa fosse essenziale in certa drammaturgia premeditata. Lautore, inoltre, inserisce battute con riferimenti tipicamente britannici al tè. Volendo trovare conferme al racconto della lady è da notare una lunga didascalia di III 3: Sapre la gran Scena, e comparisce vastissima spiaggia di Mare tempestoso, e la nave ove sta Federico a tiro con una Galeotta Turca; sopra di quella si vedrà Draganut Rais e gran ciurma di Barbari con armi alla mano, e sopra quella di Federico, Capitano, D. Saverio e seguito di soldati Inglesi, tutti egualmente armati, e si vede cominciare il fuoco, e lo sparo dei cannoni […]. Nel testo non cè alcun riferimento a «A crew of English sailors are introduced on the scene who ridicule, and in the end beat some French characters». Non penso che Miller Riggs, moglie di un militare, abbia confuso i corsari turchi con characters francesi. Forse si riferiva a uno dei balli? Oppure, visto che nella sua lettera pare indicare una pratica consueta, allude a inserti che venivano aggiunti di routine alle commedie? Il testo, tuttavia, riporta in altra versione la scena che la lady descrive. Ritengo che gli accademici del Cocomero, e il loro impresario Giuseppe Compstoff, abbiano optato per una soluzione diversa dalla commedia di Cerlone che, di per sé, già vuole gratificare in maniera drammaturgicamente esotica (e un po maldestra nello spelling) un pubblico inglese o internazionale o locale affascinato da terre lontane. Un pubblico che cominciava a essere un centro dinteresse dellindustria turistica emergente che coinvolgeva anche il teatro e lopera italiana. Si pensi alle “piazze” di Venezia, Milano, Bologna, Firenze drammaturgicamente e linguisticamente piuttosto avanzate. Ma anche a Roma, senza donne in scena. Nonché, ovviamente, a Napoli drammaturgicamente molto creativa anche se conservatrice. Tutte città che nei loro teatri già vedevano molti forestieri e tra questi numerosi inglesi. A partire dalla stagione 1770 Compstoff pagava un fitto di centodieci scudi, con un incremento del 6 per cento circa rispetto a Giovanni Rossi il precedente «impresario per le commedie» che ne pagava centoquattro. Mentre la gestione anteriore prevedeva cento scudi «di fitto pel teatro, quandesso era dovuto». Nel teatro della piazza Vecchia e dellInglese in Italia, nella stagione 1767-1768 erano andati in scena Il medico olandese di Goldoni (la prima è del 1756, con una forte presenza di europei) e la farsa Il francese sposo in Italia. In concomitanza con Glamanti inglesi del Cocomero vi fu LInglese in Italia. Il mercato fiorentino nel 1770-1771 cercava di attirare i turisti (segnatamente inglesi, parrebbe) con pezzi di repertorio che potessero lusingare tale piccola e ricca élite di spettatori. Una drammaturgia turistica che è anche la cifra di unepoca in cui il teatro comico, musicale o in prosa, iniziava a rispecchiare le curiosità della società viaggiante. Affermava lady Anna: «this city is in high favour with young Englishmen; who are perfectly at their ease during their residence here». Sembra che, almeno per il carnevale di quella stagione, i due teatri fiorentini fossero in competizione “turistica”. Conclusione Siamo di fronte al primo testimone della drammaturgia turistica? Forse no. Penso, ad esempio, alle opere barocche che dal centro-nord arrivavano a Napoli alle quali per gli spettatori locali si aggiungeva il ruolo di vecchia. Sebbene il pubblico in questi casi non viaggiasse, viaggiava però il testo che, pensato per altra koinè drammaturgica, doveva essere aggiornato per soddisfare i gusti e le abitudini della piazza di destinazione. Si tratta di esempi non moderni, turisticamente parlando. Il caso fiorentino del Settecento e la moda touristica nei libretti (sempre più itineranti) che coinvolgeva Cerlone, il teatro del Cocomero e una lady hanno un qualche valore (per il futuro) alla luce di un più attuale rapporto tra pubblico e offerta, tra spettatori e drammaturgia. Il viaggio diventerà di massa, ma gli albori settecenteschi del turismo moderno lasciano una traccia distinguibile di una drammaturgia turistica in commedie e libretti dellepoca così come nei vari accounts dei grandtouristi destinati o meno al grande pubblico: anchessi legati a stilemi, obblighi, pregiudizi. Nel caso della lady, del drammaturgo e dei marinai abbiamo un testo e unoccasione spettacolare nei quali aggiustamenti ad hoc al testo dorigine vengono fatti per gratificare una audience straniera. O perlomeno così percepisce una dama di quella comunità. Lesempio è particolarmente significativo quando si consideri la diffusione del travel book in cui è registrata la serata. Una drammaturgia turistica che si riproporrà due secoli dopo con i viaggiatori ingenui o pittoreschi dei filmettini italiani prima, durante e dopo il boom economico, anchessi testimoni di una vivace stagione postbellica che rappresentava lItalia come una cartolina pittoresca. Una drammaturgia turistica cinematografica che con cast cosmopoliti (che ricordano le locandine librettistiche del Sette-Ottocento) e inserti drammaturgici internazionali sia nella trama, sia nella scelta delle locations intendeva soddisfare almeno due o tre diversi tipi di pubblico. Ma si pensi anche ai film “inglesi” dellagente 007: film turistici per eccellenza con momenti pensati per lusingare i mercati internazionali. Ritratto eccellente di un nuovo Tour è La dolce vita di Fellini (1960). Unopera affollata di lingue straniere (spesso sussurrate), di viaggiatori più americani che inglesi, oramai. Nico, alla domanda rivoltale da Marcello («di dove sei?») risponde stralunata: «Eschimese». Allora, di nuovo tutte le strade portano a Roma! Nuovi touristi, talvolta con il piglio coloniale dei vincitori, ma pur sempre eredi, aggiornati consumisticamente e nellera del jet set, di quel viaggio che da Of Travel di Bacon arriva fino a Henry James e oltre. Daltro canto il film si apre con una sequenza che riassume antichità italiche, religione cattolica, passioni sportive e modernità tecnologica: con la statua del Cristo appesa a un elicottero, un acquedotto romano sullo sfondo (uno di quelli che tanta parte hanno avuto nella pittura dei paesaggisti-vedutisti maggiori o minori cari al nuovo turismo settecentesco) e campetto di calcio. Si potrebbe quasi dire che la cifra del film di Fellini sia antichità, cattolicità, modernità. Nella stagione di ipertrofia produttiva del cinema italiano, per certi aspetti simile alla fortunata produzione comico-musicale del Settecento, il dato esotico, il viaggio in parte anche avventuroso, gli stranieri più o meno ridicoli, seri, autorevoli, gli inserti in lingue originali o storpiate, spesso con situazioni comiche conseguenti, possono dirsi elementi drammaturgici. Luoghi comuni per gli attori e gli sceneggiatori, che hanno una genesi nel teatro del passato. Interpreti provenienti da una lunga tradizione scenica, anche famigliare, hanno trasferito dalla scena al film alcune modalità performative (e improvvisative) legate alla figura dello straniero. Valga da esempio il travestimento di Totò e Nino Taranto nelle vesti di finti ambasciatori africani (del Catonga) in Totò truffa del 1961 (regia di Camillo Mastrocinque): pare di essere davanti a una scenetta improvvisata cerloniana da teatro buffo del Settecento con aspetti da Grand Tour esemplificati nellambientazione. Viene da chiedersi come i buffi (dopera e/o commedia) del teatro del XVIII secolo recitavano certi personaggi esotici. Forse in attori come Totò o Nino Taranto e in scenette come quella citata cè la risposta trasmessa da unantica filiera di tradizioni teatrali. Più di recente una certa drammaturgia turistica riaffiora nella smania esotico-erotica a buon mercato, di grande successo popolare, dei vari Vacanze, Natali ecc. Film che rispecchiano lera del viaggiare low cost per milioni di persone che prima potevano solo sognare il bel mondo della café society: una comunità di happy few tesa a ostentare in un mondo democratico uno status privilegiato. Tuttavia il destinatario di queste pellicole di massa non è un pubblico internazionale e viaggiante. I fruitori sono spettatori nazionali sollecitati a viaggi virtuali o a portata di tasca da una comicità semplice fatta di erotismo-esotismo. Forse, anche Rossellini in Paisà ha dato un suo contributo a una sorta di drammaturgia turistica che diviene memoria del dopoguerra con i suoi cappellani alleati (i turisti stupiti loro malgrado) e le fughe vasariane così epiche ma anche turisticamente liberatorie e salvifiche in una città del Grand Tour come Firenze. Oltre ai soldati (afro)americani per cui da Li Napolitani in America di Cerlone pare di passare a Li Americane a Nnapule. Unanalisi distinta meriterebbero alcuni film di varie nazionalità (non di rado co-produzioni internazionali) di varia ambientazione militare: dal secondo dopoguerra alla Guerra Fredda. Non si possono qui trattare anche se hanno qualcosa in comune (marinai e navi da guerra) con la drammaturgia turistica di Cerlone di cui parla la Miller Riggs. La definirei una drammaturgia turistico-bellica con sfumature coloniali. Cui si aggiunge limposizione della lingua e della cultura dei vincitori anche se il doppiaggio diminuisce sensibilmente tale dato, nonostante gli inserti di varie lingue o non tradotti o sottotitolati. Un discorso a parte potrebbe riguardare film non italiani come Vacanze romane e suoi emuli. O le pellicole che vedono circolare, da una parte allaltra dellAtlantico, le immagini di Roma oppure unidea generica di antico a buon mercato; o quelle con città, monumenti e località del Tour come Napoli o Venezia. Si pensi a It Started in Naples, con Clark Gable, Sophia Loren e Vittorio De Sica (1960), regia di Melville Shavelson, oppure a Summertime (1955) con Katherine Hepburn e Rossano Brazzi in una Venezia turistica. La lista potrebbe allungarsi con riferimento a un gusto per le varietà dialettali, così come avveniva in certo teatro del passato. Si considerino anche i film di gusto coloniale: da Le miniere del Re Salomone a Indiana Jones. Questultimo ha uno dei suoi tratti distintivi nelle animazioni secondo lo stile dei vecchi film di avventura che visualizzavano sul mappamondo il percorso dei protagonisti. Forse il Giro del Mondo in Ottanta giorni (1956) con David Niven, Cantinflas e Shirley MacLaine (regia di Michael Anderson) resta ancora la drammaturgia turistica filmica per eccellenza. Il mezzo cinematografico potenzia con limmagine in movimento e leffetto speciale panoramico (con trame e inserti di lingue e personaggi esotici della drammaturgia teatrale e operistica) i suoi mille plots esotici o “stranieri”. Rossellini intendeva chiudere in un certo senso il cerchio con Viaggio in Italia del 1954. Lulteriore e definitiva discesa agli inferi (vulcanici) fa riemergere, previo passaggio nelle sale dellArcheologico di Napoli, miti e memorie del passato. Davanti al pubblico e al personaggio di Katherine Joyce (Ingrid Bergman) si sovrappongono memorie classiche come quelle che, blandamente, pretendevano di assaporare le gentildonne e i gentiluomini che facendo il Tour in un secolo ottimista discorrevano tra loro – con fiduciosa, ingenua e inconsapevole curiosità – delle rovine seducenti di una grande e ferita antiquitas.
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