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Anna Maria Testaverde

Nuovi documenti sulle scenografie di Ludovico Cigoli per l'Euridice di Ottavio Rinuccini

Data di pubblicazione su web 07/07/2004
Orfeo ed Euridice

Pubblicato in «Medioevo e Rinascimento», XVII / n.s. XIV, 2003, pp. 307-321

La memoria della rappresentazione della commedia pastorale Euridice, composta da Ottavio Rinuccini su musica di Jacopo Peri e messa in scena il 6 ottobre del 1600, in occasione dei festeggiamenti tributati a Maria dei Medici, novella regina di Francia, è stata tramandata principalmente dalla descrizione di Michelangelo Buonarroti il Giovane e dalle sintetiche pagine di alcuni diaristi contemporanei. La brevità delle informazioni e soprattutto il mancato reperimento di fonti documentarie e di sicure testimonianze iconografiche, hanno fino ad oggi destinato questa rappresentazione ad una posizione secondaria rispetto agli eventi performativi compresi nel calendario festivo. Il Buonarroti la annovera infatti tra gli eventi spettacolari che furono «ordinati» da «particolari e magnanimi gentiluomini» in primis Iacopo Corsi, in concomitanza con «vari intrattenimenti che si tennero» e «magnifici spettacoli» commissionati dalla corte fiorentina.

Il tono minore e 'privato' della rappresentazione è confermato dalle affermazioni di Cesare Tinghi nei suoi Diari, allorché ricorda che, dopo una mattina di pausa nel ricco calendario dei festeggiamenti ufficiali, «la sera avendo S.A. fatto invitare buon numero di gentildonne et per dare un poco di spazo a que' principi, fece fare una commedia pastorale in musica fatta dal signore Emilio del Cavalieri [sic] su alle stanze del signor don Antonio Medici a Pitti, dove entrorno tutti questi principi e ambasciatori et durò per ispatio di due ore». Anche i legati di Modena e di Parma testimoniano la sensazione di avere assistito ad una rappresentazione ben riuscita, allestita su iniziativa di «un gentiluomo della città» ma esclusiva per un pubblico riservato («pochissimi oltre ai principi, alcune gentildonne e qualche forestiero»). Pur allestita in una delle sale del Palazzo dei Pitti, dimora privata del granduca, la messinscena di un'opera 'sperimentale d'avanguardia', sembra piuttosto essere segnalata come un atto di omaggio alla regina di Francia da parte di un privato cittadino e da alcuni dei più celebri musici del tempo. Anche il silenzio del Buonarroti sull'identità dell'artefice dei «ricchissimi e belli vestimenti apprestati», del «magnifico apparato» della «degna sala», della «nobile scena» e dei congegni meccanici progettati potrebbe suggerire una dimenticanza dovuta al tono non ufficiale dello spettacolo teatrale, non commissionato tra gli eventi pubblici e magniloquenti finanziati dalla corte stessa.

È stato dunque sempre difficile comprovare che anche questo spettacolo fosse da annoverare tra quelli progettati dall'amministrazione granducale. A differenza di altri festeggiamenti predisposti dalla corte fiorentina, per questo episodio così rilevante riservato alla regina di Francia, Maria dei Medici, mancano ad oggi sia i documenti amministrativi, che consentirebbero di stabilire le responsabilità operative, sia le testimonianze iconografiche di supporto alle descrizioni letterarie. All'interno del fondo archivistico che raccoglie l'amministrazione relativa alla Guardaroba della corte medicea, ufficio preposto alla commissione e alla realizzazione dei manufatti d'uso quotidiani e agli incarichi riguardanti l'attività artistica, è ora emersa una parte di questa documentazione amministrativa fino ad oggi non reperita. Il fatto che sia stata rinvenuta tra inserti datati al primo trentennio del '600 conferma la diffusa abitudine dell'amministrazione di corte a prelevare conti-nuamente le carte per utilizzarle nei successivi allestimenti, operando così confronti per ricavarne utili informazioni. Gran parte di questa documentazione riguarda i mandati di acquisto dei materiali, le note di retribuzione dei manifattori impiegati e le annotazioni consuntive delle spese sostenute, fino all'aprile del 1602 per l'allestimento degli arredi e degli spettacoli principalmente programmati sia nel salone dei Cinquecento nel palazzo della Signoria (dove si tenne il banchetto) sia nel palazzo dei Pitti, dove fu messa in scena appunto l'Euridice. Pertanto la contabilità reperita conferma pienamente come anche l'allestimento dell'Euridice, pur sostenuto dal Corsi, fosse in realtà entrato a fare parte degli spettacoli organizzati e finanziati direttamente dall'apparato amministrativo della corte per i festeggiamenti regali.

Un rescritto granducale conferma che la 'macchina operativa' era stata avviata alla metà del mese di maggio, quando la Depositeria Generale, la cassa dello stato, nella figura del suo depositario Vincenzo dei Medici, aveva iniziato l' erogazione delle somme necessarie per le «diverse e molte ochorenze che necessariamente ricercano spesa di qualche sostanzia». La volontà del granduca di allestire i preparativi dei festeggiamenti per anticipare la partenza di Maria dei Medici, si rivela dalla rapidità con la quale nel mese di maggio fu dato avvio a consistenti «lavori (...) nel palazzo de Pitti per le nozze della regina». I mandati e i conti dei manifattori attestano lavori di ristrutturazione e di arredo temporaneo sia ai tre portoni di accesso al palazzo, sia al cortile, sia negli appartamenti granducali, sia nella sala attualmente denominata 'delle nicchie' e che al tempo veniva variabilmente indicata come 'sala delle figure' o 'salone delle statue'. Questo ambiente, ubicato in posizione centrale al piano nobile del palazzo, era contiguo agli appartamenti della famiglia e li divideva dagli ambienti riservati agli ospiti forestieri. Recenti studi hanno stabilito che questo ampio salone svolgeva un ruolo determinante nella storia dell'etichetta della famiglia poiché era solitamente riservato per accogliere gli ospiti, ospitava banchetti ufficiali e, in caso di esequie, vi si esponevano i corpi dei granduchi. I mandati di pagamento oggi reperiti riguardano essenzialmente gli interventi eseguiti da legnaioli i quali 'ingabbiarono' per protezione le «figure di marmo nelle nicchie», protessero con sportelli le vetrate delle finestre, rinforzarono con arpioni il baldacchino granducale e provvidero a predisporre fregi decorativi (gocciole, viticcioni, mensole) predisposti - recita il documento - «secondo il disegno di Gherardo Mechini» (allora architetto iscritto al Ruolo della corte). Forse in questo ambiente o in qualche altro attiguo, denominato dai documenti «salone della Duchessa di Bracciano», il 9 giugno, «con commissione di Madama Serenissima» fu realizzato un palco «per recitare una commedia del s.re Jacopo Corsi». Non sappiamo se il progetto sia mai stato condotto a termine, ma le commissioni terminano agli inizi del mese di luglio, quando si inizia invece a «dare principio di lavorare alla commedia da farsi nel salone nuovo del consiglio sopra gli Uffizi e si atende a tirare inanzi secondo il comandamento dell'Illustrissimo ed Eccellentissimo signor don Giovanni».

Il rinvio della partenza da Firenze di Maria e il conseguente slittamento dei festeggiamenti all'autunno successivo rende plausibile l'ipotesi che la citata commedia di Jacopo Corsi, da tenersi presumibilmente nei mesi estivi, potrebbe essere stata proprio l'Euridice, opera che fu poi nuovamente ripresa e inserita nei festeggiamenti programmati nel successivo mese di ottobre. Una serie di inediti documenti, redatti al termine dei festeggiamenti autunnali, in cui sono stilate le richieste di saldo delle opere sceniche eseguite, ci restituisce definitivamente il nome dell'autore delle scene e delle macchine realizzate per l'Euridice: il pittore Ludovico Cardi detto il Cigoli. Il 14 ottobre 1600 Cigoli indirizzava al Granduca una lunga e dettagliata richiesta di pagamento per le opere eseguite per l'allestimento dell'Euridice:

Il serenissimo Gran Duca de' dare a me Ludovicho Ciardi detto il Cigoli questo dì 14 ottobre per le apiè cose descritte et tutto è servito per la sciena de' Pitti, servite alle feste della Regina, il qual conto è dato a braccia quadre fuori dell' arme e dei 6 alberi tutti distornati et detti tre pezzi di travate che ricorrono tra l'una e l'altra trave (...).

La relazione del pittore testimonia inequivocabilmente la paternità della messinscena della celebre opera. D'altra parte già il nipote Giovanbattista Cardi, suo biografo, aveva attribuito al congiunto l'esecuzione delle scenografie per una delle opere teatrali allestite in occasione dei festeggiamenti del 1600:

Sopraggiungendo le nozze della regina di Francia fece la scena, la qualcosa fu così stimata o di tutte o di parte alcuna volta servendosene, il tempo e gli uomini l'han disfatta e condotta alla fine; nella qual occasione inventò tutti gli abiti e le maschere di personaggi che nella commedia si rappresentavano, i quali ancor che molti, tutti diligentemente disegnati e coloriti con acquarelli, sì per la vaghezza loro, come per la varietà delle capricciose invenzioni piacquero a chiunque li vide.

Alcuni decenni dopo, anche Filippo Baldinucci confermava l'intervento del Cigoli:

(...) nella qual occasione ebbe egli a dare ogni sua opera per la costruzione delle tanto meravigliose scene per la commedia che allora in Firenze fu rappresentata, ma non solo ebbe egli ad impegnarsi nell'inventare gli abiti di tutti i personaggi di quella, che furono tanti in numero e fra di loro tanto diversi, e con tale proprietà, novità e bizzarria adattati alle parti, che fu cosa da stupire, onde è che quanti da lui disegnati in carte con penna e acquarelli coloriti ne venner mai alle mani degli intelligenti del disegno, furono e sono al presente, come preziose gioie tenuti e conservati. È ben vero che non toccò già mai simil sorte alle bellissime sue prospettive, conciossiaché quelle quando in una, quando in altra parte, a fine che la memoria si smarrisse d'un sì bel tutto, furono dal morso dell'invidia, prima che dal tempo, lacerate e distrutte.

Poiché i biografi non avevano citato il titolo dell'opera di cui egli era stato l'artefice scenico, la storiografia si è sempre mantenuta dubbiosa circa la possibilità di un suo consistente intervento in qualche rappresentazione teatrale. Soltanto Cesare Molinari, già nel 1961, pur senza apportare alcuna testimonianza documentaria, aveva suggerito il nome del Cigoli come scenografo dell'Euridice, quasi come fosse una 'prova generale' di quegli incarichi spettacolari che nel 1608 per le nozze di Cosimo II, lo avrebbero visto indiscusso successore dell'architetto Buontalenti. Ma ancora alla responsabilità di quest'ultimo, lo studioso Nagler continuava poi ad attribuire la messinscena dell'Euridice. Anna Matteoli e Miles Chapel, studiosi del Cigoli, hanno sempre formulato perplessità circa l'esecuzione del Cigoli di opere significative per questi festeggiamenti, pur citando una brevissima nota di pagamento al pittore per l' esecuzione di due «aovati dipinti per 2 carrozze di lor Altezze». Le fonti documentarie ora reperite ci rivelano un inedito 'retroscena' di cui tacciono sia il Buonarroti che altri diaristi. A conclusione della richiesta di saldo delle spese sostenute dal Cigoli nell' esecuzione delle scenografie, vi è apposta una richiesta di risarcimento. Il pittore infatti chiedeva un indennizzo pari a scudi 25 per i danni ricevuti nell'essere stato costretto a intervenire sul progetto scenico a causa di un ordine del granduca Ferdinando, il quale aveva fatto spostare l'allestimento dell'Euridice in un sala diversa da quella per la quale era stata già preparata e che presentava le caratteristiche di essere più ampia ma con il soffitto più basso:

Et per danno riceuto della risolutione fatta da Sua Altezza del locare la sciena in altro salone più basso et più largo che per dove era fatta, il che ridurla proporzionata al detto luogho e di spesa e di tempo pretendo scudi 25.

Il tono perentorio del Cigoli rivela il suo disappunto per questo 'incidente' che lo costrinse a ridisegnare la scenografia che, come rivela una nota di spese consuntive, scritta il 18 settembre del 1601, fu ampliata nelle dimensioni rispetto a quella prevista nella sala alla quale era destinata; il pagamento riguarda in proposito «dua triangoli di tela dipinti che insieme fanno un quadro di braccia 1/2 per ogni verso» che servirono per «riquadrare la facciata dinanzi della scienza rasente il palco del salone grande dalle stanze de' forestieri dove s'è recitata». La piena accettazione della richiesta di danno presentata dal Cigoli fu confermata dalla perizia di quattro artisti (Alessandro Portelli, Bernardino Poccetti, Alessandro Allori detto il Bronzino e Luca Rauti) chiamati a giudicare la richiesta. Questa nuova inedita fonte archivistica ci spiega che la scena era stata trasferita dal primo piano del palazzo al piano superiore (che sappiamo essere stata più bassa e più ampia):

Nota come questo dì sudetto s'è saldo il conto di Ludovico Cardi Cigoli pittore di lavori fatti nella sciena de' Pitti per le nozze regie, quali lavori si sono fatti stimare e partitamente capo per capo come appare nel sudetto calcolo (...) dette somme sono senza la portata del danno ricevuto da detto pittore per haver mutato la sciena dalla sala da basso alla sala da alto de' Pitti che s'ebbe a crescere et variare (...) per il suo danno scudi 25, oltre all'ardimento delle sudette scene (...).

La sala 'alta de' Pitti' è quella definita dai cronisti 'del sig. Don Antonio', un ambiente non certamente ampio e forse con il tetto ribassato che l'ambasciatore Giulio Tiene descrive come «una saletta nella parte di sopra del palazzo a Pitti». Ancora oggi attorno all'esatta ubicazione di questo ambiente gli studiosi forniscono diversificate interpretazioni, per la polivalente terminologia con cui le fonti contemporanee e posteriori la indicano e per le ristrutturazioni architettoniche che hanno reso incerta la sua identificazione. Recenti studi sono comunque propensi a identificare questa sala (definita anche 'sala delle commedie') in un ambiente posto al secondo piano, negli appartamenti di Maria dei Medici, passati poi, dopo la sua partenza per la Francia, al fratellastro Don Antonio. Il salone, al tempo perfettamente corrispondente con il sottostante Salone dei Forestieri oggi Sala Bianca, faceva parte dell ' attuale 'Quartiere di Inverno' (attualmente suddiviso in salone da ballo, sala da pranzo e sala delle guardie). È supponibile che lo spostamento dell'allestimento della messinscena da una sala al piano primo sia da attribuirsi proprio alla stagione in cui furono spostati i festeggiamenti: il salone al primo piano, presso gli appartamenti dei forestieri, era più adeguata alla stagione estiva, mentre la sala di Don Antonio era più confortevole per il mese di autunno. Le informazioni scenotecniche estrapolate dai documenti contabili della Guardaroba consentono ora di operare un confronto con la Descrizione del Buonarroti. Secondo le pagine del relatore, il palcoscenico era incorniciato da un arcoscenico fiancheggiato da due nicchie contenenti le allegorie della Poesia e della Pittura: «Il magnifico apparato in degna sala, dopo le cortine fra l'aspetto d'un grand'arco, e di due nicchie da fianchi suoi, entro le quali la poesia e la Pittura, con bell'avviso dello inventore». Il prospetto scenico viene così descritto nella nota di richiesta, formulata dal Cigoli, per scudi 130:

braccia 228 1/6 Tutta la facciata (fuori dell'arme et i tre pezzi che sono tra le travate) cioè due telai degli angoli nei quali è finto i festoni et aria con alquanto di rovina. I duoi pezzi di centina nei quali è finto in panno di lacha fine et tocha d'oro. Et sotto i due pilastri con due femmine, l'una rappresentando la Poesia e nell'altra la Pittura e Perspettiva et sotto a ciascuna un bassorilievo et pilastri nel muro per finimento della sciena a Lire 1,4 il braccio (...).

Le figure allegoriche erano in realtà pitture in chiaro scuro eseguite su «dua pilastri di legname e tela dipinti (...) alti l'uno braccia otto, larghi tre». Sopra l'arco scenico, secondo le note del Cigoli, dominava un'arme di circa m.3,5 in altezza, incorniciata dalle figure di alcuni putti:

Pezzi l. E più l'arme sopra la sciena nella quale v'è l'arme della Regina, con putti maggiori del naturale messa d'oro fine et campi et tocha d'oro, alta braccia 7 et largha braccia 5 in circha, et di tanto deve dare scudi 35.

L'arme, dopo l'uso sul palcoscenico, fu trasferita al piano sottostante di Palazzo Pitti, su un ballatoio delle scale che portavano agli appartamenti del granduca. L'imponente stemma, non descritto dal Buonarroti, può ora essere messo a confronto con un noto disegno acquerellato del Cigoli, diversamente posto in relazione con l'allestimento del Salone dei Cinquecento per il banchetto. Il palcoscenico era inoltre provvisto di un sipario in tela verde: «una tenda di tela verde, servì per turare la scena dinanzi, lunga braccia ventidue, larga sedici». Le misure del sipario (m.8 di larghezza per m.11 in altezza) e quella delle le figure allegoriche laterali (altezza pari a m.4 per un' ampiezza di m.1,5) suggeriscono le probabili dimensioni del palcoscenico allestito nella sala di Don Antonio. All' interno, una tela dipinta, larga circa m.7, simulava il cielo della scena: «una tela senza telai dipinta a aria, servita per il cielo della sciena, lunga braccia diciassette, largha braccia tredici 1/2». Significativi dettagli riguardano la prima scenografia. Secondo il Buonarroti, mostrava «selve vaghissime, e rilevate e dipinte, accomodatevi con un bel disegno, e per li lumi ben dispostivi, piene di una luce come di giorno». Questa scenografia, apprendiamo dalle note di spesa, fu realizzata con «quattordici telai dipinti sulla tela a boscaglia che fanno le (ali) della sciena da due bande, altezza maggiore braccia sette, la minore braccia cinque, larghe braccia l'una in circa » (ovvero con 14 pezzi di telai dipinti a boscaglia, di misura degradante (da m.3,5 a 2,5) secondo la disposizione all'interno dell'impianto prospettico. Oltre alla dislocazione di tele dipinte in prospettiva, la scena era occupata da telai che simulavano massi di pietra di diversa dimensione, realizzati tutti con tocca d'oro e d'argento. Anche il parapetto del palcoscenico fu rivestito da un ampio telaio (pari a circa m.5,5 di ampiezza) dipinto 'a massi lunghi'.

Per questa scenografia il Cigoli si fece però pagare separatamente sia la realizzazione della grandiosa arme che l'esecuzione di sei «alberi di cartapesta dipinti a frutti e foglie lunghi braccia 7 (m.3,5) (...) i quali si movano di sul palcho» (ad indicare forse un sistema di facile trasporto e mobilità sulla scena). Grazie alle informazioni archivistiche riguardanti l'operato del pittore, è ora possibile attribuire al Cigoli e alla scenografia boschereccia dell'Euridice due disegni conservati al Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi (figg. 1 - 2). Essi rappresentano una veduta fluviale con la nave di Caronte in primo piano. Sullo sfondo lo scorcio di città sembra alludere idealmente ai monumenti identificatori di Firenze (anzi potrei presupporre una veduta di Firenze dall'Arno in un punto che si chiama le Gualchiere). Soltanto nel 1988, in occasione di una mostra a Detroit, A.M. Petrioli Tofani ha presupposto che questi due disegni, che presentano la medesima iconografia in due formati diversi, fossero disegni del Cigoli per la prima scenografia dell'Euridice. La studiosa, riflettendo sulla diversità del formato, esclude che questi bozzetti siano due versioni della scenografia realizzata, affermando che essi ebbero probabilmente «destinazioni di ogni tipo ad eccezione di quella teatrale». Sostiene quindi «la difficoltà ad argomentare su una loro precisa funzione», ma ipotizza che «in ogni caso non dovette essere tanto collegata con la fase di allestimento dello spettacolo, quanto piuttosto con una riproduzione a posteriori del medesimo, forse in vista di una qualche pubblicazione a stampa». Anche lo studioso Chapel riflette sulle due diverse versioni grafiche, ritenendo prioritaria la veduta contenuta nel disegno di formato orizzontale (Fig. 2) e successivamente «ripresa nel 59P dove è stata compressa e incorniciata da motivi di rocce e alberi».

Alla luce della documentazione ora reperita, ed essendo a conoscenza delle due differenti versioni fornite dal Cigoli per la prima scena dell'Euridice, possiamo ipotizzare una diversa soluzione: il confronto tra le informazioni archivistiche, la Descrizione del Buonarroti e i predetti disegni suggeriscono che la prima versione della scenografia sia quella contenuta nel disegno segnato 59P (Fig. 1), adeguata alle dimensioni del salone posto al primo piano di palazzo Pitti, mentre il progetto definitivo, realizzato per la sala di Don Antonio, sia quello della versione contenuta nel disegno 60P. Questa soluzione grafica sembra maggiormente rispondere all'affermazione del Cigoli che si lamentava di avere mutato la scenografia 'aumentandola' dimensionalmente (aggiungendovi forse il disegno di quegli alberi che dilatano orizzontalmente l'incorniciatura rupestre del disegno precedente) per meglio adeguarla al palcoscenico inserito in un salone 'basso e largo' (Fig. 2). Altre infomazioni riguardano la preparazione della seconda scenografia raffigurante una scena infernale. Il Buonarroti ricorda che al cambio della scena boschereccia

dovendosi poscia veder 10 inferno (...) in orridi massi si scorsero e spaventevoli, che parean veri, sovra de' quali sfrondati li sterpi e livide l'erbe apparivano. E là più ad entro per la rottura d'una gran rupe, la città di Dite ardere vi si conobbe, vibrando lingue di fiamme per le aperture delle sue torri, l'aere d'intorno avvampandosi d'un colore come di rame.

Questa scenografia fu realizzata con «tele dipinte a massi che fanno la muta dell'Inferno sopra le case e boscaglia, lunghe le più alte braccia 7 e le più basse cinque, lunghe l'una braccia due con lor telai nelle teste e pulegge da tirarle in giù e in su sino su le finestre». Il cambio tra la prima e la seconda scenografia fu consentito dall'impiego di quindici carrucole piccole e una grande «per tirare le mute dell'Inferno». Sotto il palcoscenico fu predisposto invece «un fuso da verricello d'abeto lungo braccia nove con più ruote, fermi e sei manichetti da girare, servite sotto il palco alla muta della scena». Anche per questa scenografia Anna Maria Petrioli Tofani ha attribuito, con largo margine di certezza, un disegno che fu messo in vendita a Firenze nel 1987 in un'asta di Sotheby's. L'utilizzo della sala di Don Antonio e delle scenografie impiegate per l'Euridice durò però oltre questa prima e celebre rappresentazione del 1600. Il continuo uso delle scenografie del Cigoli ne decretò un rapido deterioramento, come anche ricordava il nipote del pittore nella sua Biografia ( «di tutte o di parte alcuna volta servendosene, il tempo e gli uomini l'han disfatta e condotta alla fine»). Una prima replica dell'opera è citata da Cesare Tinghi nei suoi Diari il 5 dicembre del 1602 «avendo S.A. fatto ordinare una pastorale, montorno su nella sala detta del signor don Antonio (..) et fu detta commedia fatta e cantata in musica, guidata da Giulio Caccini romano musico di S.A.S nominata la Euridice del signore Ottavio Rinuccini, et durò due ore». Nel settembre del 1604 un mandato granducale dava ordine per «fare una scena sopra la prospettiva della commedia dell'Euridice nel palazzo de' Pitti». La ridipintura della scenografia fu eseguita dallo stesso Cigoli e da Giulio Parigi, come si rileva dalla «note di spese per fare una sciena da commedia sopra la scena a boscaglie dell' Euridice nel palazo de' Pitti per detto di messer Lodovico Cigoli e messer Giulio Parigi pittori».

Fu dunque lo stesso Ludovico Cigoli il responsabile del danneggiamento delle scenografie eseguite per l'Euridice, decretando in tal modo la sparizione dalla memoria storica di questo suo celebre intervento scenico.


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