Il breve ma opportuno volume intitolato Dalla
sala al palcoscenico: il linguaggio gestuale della danza classica (2022) –
edito da Kinetès –, ha il merito di colmare, nonostante lincompletezza
dichiarata dalla stessa autrice, un vuoto: rara o inesistente è infatti la
bibliografia dedicata alla tecnica della danza classica e, in generale, alla
danza come linguaggio.
Destinato sia agli addetti ai lavori sia (soprattutto)
ai “profani”, il testo di Virginia Marchesano ha lo scopo di diffondere
conoscenze sulla danza classica attraverso luso delle parole. Spesso il
pubblico fruisce il balletto come mera rappresentazione estetica: difficilmente
riesce a cogliere i significati profondi che la coreografia si propone di
veicolare. Come ogni forma artistica, la danza è comunicazione, codice
linguistico dotato di norme specifiche. In particolare, essa è un linguaggio
“non verbale” in quanto si esprime attraverso il corpo: ogni gesto,
espressione, postura e posizione nello spazio ha un preciso significato. Per
aprire un canale di comunicazione tra emittente (danzatore o coreografo) e
ricevente (spettatore) è necessario sia adottare un linguaggio condiviso sia
«saper ascoltare» (p. 18).
Lautrice – danzatrice, insegnante di danza e
docente di tecnica della danza classica presso il liceo coreutico “E. Pascal”
di Pompei – fa tesoro del suo sfaccettato bagaglio culturale per tracciare un
percorso multilineare. Dalla danza al palcoscenico sfiora la prossemica,
la cinesica, le teorie della comunicazione, i beni culturali, le scienze dello
spettacolo, la musica e le discipline coreutiche.
Il volume si articola in quattro sezioni. La
prima parte consiste in un excursus
storico in cui ha largo spazio la vicenda dellAcadémie Royale de Danse, istituita a Parigi nel 1661 per volere
di Luigi XIV, alias Re Sole che, in prima persona, si era dedicato
allesercizio della danza. Nellambito dellAcadémie si discute per codificare universalmente la disciplina
coreutica e i principi stabiliti – col contributo fondamentale di Pierre
Beauchamps – riguardano le cinque posizioni dei piedi (basate sullen
dehors) e delle braccia, i movimenti sulle punte, i salti, la corretta postura.
Gli esiti di tale codificazione, diffusi tuttoggi in lingua rigorosamente
francese, vengono fissati nel secolo successivo allinterno delle pagine dei
trattati.
Già nel Cinquecento, nellambito della
riscoperta umanistica dellantico e in unepoca caratterizzata dalla tendenza a
sistematizzare le più diverse discipline, la danza ha un ruolo centrale anche
nella formazione del buon cortigiano. Baldassarre da Castiglione, nel
suo Il Cortegiano (1528), parla in particolare di “sprezzatura” o della
capacità di non «mostrare lo sforzo di controllarsi» (p. 32). Lidea di
“classicismo” – da cui deriva la definizione di “danza classica” – è tuttavia
viziata dalla visione settecentesca di Johann Joachim Winckelmann, che
definisce il “classico” come «nobile semplicità e quieta grandezza» (p. 30), in
parte fraintendendo la vera essenza dellantico.
Se la danza ha origini arcaiche, frutto del
ventesimo secolo sono invece larte coreutica come la conosciamo oggi e le sue
potenzialità comunicative: «Il legame tra uno stato emotivo interno e la sua
traduzione esterna in termini di movimento è lelemento cruciale su cui si è
innescata la rivoluzione coreutica del Novecento, a partire dalle riflessioni
di François Delsarte» (p. 23). Nel “secolo breve” la danza perde
qualsiasi legame col «vuoto artificio» (p. 23).
La
seconda parte del volume tratta di movimento e linguaggio gestuale. Il primo corrisponde
al «tragitto compiuto nello
spazio dal corpo oppure da una parte di esso» (p. 39) e nasce da uno stimolo o
da unintenzione. Come insegna Alwin Nikolais, il movimento è un outcome:
effetto di una causa. Esistono tuttavia anche movimenti invisibili – come
quello di tendere gli addominali – ma altrettanto importanti per un danzatore. Come
il movimento, anche il gesto ha uno scopo e un significato che devono essere
veicolati con consapevolezza dal danzatore.
La terza parte è dedicata invece agli spazi della
danza: la sala delle prove e il palcoscenico. La sala è luogo di lezione e di
esercizio, in cui si svolgono attività quotidiane accompagnate da precisi
rituali: vestirsi e acconciarsi i capelli secondo i canoni, seguire alcune
norme disciplinari come la puntualità, il prendere posto educatamente nel
proprio spazio, il rispetto per linsegnante. Delle riflessioni sugli oggetti
presenti in sala – come la sbarra, lorologio, il pianoforte – è particolarmente
interessante quella sullo specchio. Si tratta di un elemento utile in sede di
esercitazione, funzionale allauto-osservazione e dunque alla possibilità del
danzatore di migliorarsi, ma assente nellaltro spazio del ballerino, quello
del palcoscenico, dove lo specchio viene sostituito dal pubblico, nonché da un
«buco nero» (p. 54).
Nella quarta parte vengono infine approfonditi
alcuni aspetti tecnici inerenti alla danza classica, in particolare gli
esercizi alla sbarra, i passi fondamentali, le posizioni di piedi, braccia e
testa, la direzione dello sguardo. Lanalisi pone laccento sullaplomb,
lequilibrio, che «conferisce al corpo quel senso di stabilità, compostezza e
armonia» (p. 86) nonché sul respiro, «veicolo di ricognizione interna» che,
come insegnano lo yoga e la mindfulness, «favorisce una piena
consapevolezza del proprio corpo e del proprio sé» (p. 86). Se secondo un certo
immaginario comune lallenamento di danza corrisponde alla messa in crisi del
corpo e della mente – si pensi ad alcuni classici della cinematografia come Scarpette
rosse (1948) o Il cigno nero (2010) –,
Marchesano propone una visione più ampia, prediligendo una formazione
consapevole e a tutto tondo. Gli approfondimenti sui fondamenti della danza
classica sono accompagnati da disegni schematici: supporto essenziale alla
piena comprensione delle teorizzazioni enunciate.
Dalla sala al palcoscenico è
un contributo dai tratti esplicitamente manualistici, un lavoro «aperto, in
divenire» (p. 133), che richiederebbe un respiro più ampio nello spaziare tra
le diverse epoche, al fine di evitare i rischi dellanacronismo. Tuttavia il testo
– in linea con gli obiettivi di partenza – si rivela uno strumento inedito sia
a livello didattico sia al fine della divulgazione scientifica, gettando nuova
luce su una disciplina che molti conoscono ma che pochi comprendono a pieno
nelle sue effettive, talvolta impercettibili sfumature.
di Benedetta Colasanti
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