Dopo aver torturato e sconfitto la possanza di Mickey Rourke, Darren Aronofsky trova nellapparentemente fragile e minuta Natalie Portman un altro corpo da martoriare, mutilare e distruggere. La viscerale interpretazione dellattrice israeliana, oltre a rappresentare lelemento centrale del film, salva in extremis la smisurata ambizione del regista americano, deciso a realizzare un thriller psicologico, arricchito da conturbanti atmosfere horror. Forte del successo riscontrato alla 65° Mostra dArte Cinematografica di Venezia, dove vinse il Leone doro per The Wrestler, lo scorso settembre Aronofsky è tornato al Lido in veste di sadico torturatore dei corpi dei propri attori, senza però riscuotere lo stesso favore di critica e pubblico, facendo rimpiangere i tempi di Requiem for a Dream (2000).
Nonostante la trama sia semplice da delineare, il regista non ci risparmia inverosimili colpi di scena, resi credibili solo grazie allo straordinario processo di immedesimazione compiuto dallattrice protagonista. Fin dai primi minuti, Aronofsky conduce lo spettatore in medias res: Nina (Natalie Portman), giovane ed entusiasta ballerina dedita esclusivamente alla danza, conquista il ruolo di Odette e Odine nel Lago dei Cigni, opera destinata ad aprire la nuova stagione del New York City Ballet, guidato dal coreografo Thomas Leroy (Vincent Cassel). Superato lentusiasmo per lagognato ruolo, Nina dovrà fare i conti con il proprio perfezionismo e con il lato oscuro del suo personaggio, il cigno nero, pieno di sensualità e spregiudicatezza, caratteristiche a lei totalmente estranee. La sua travolgente ambizione la conduce a stringere una sorta di inconsapevole patto con il diavolo, identificabile, secondo Aronofsky, sia nel coreografo Leroy, che nel personaggio tchaikovskiano di Rothbart.
Vincent Cassel con Darren Aronofsky sul set
Ne Il cigno nero, la raffinatezza del palcoscenico teatrale sostituisce la crudezza del ring, ma, visti attraverso lo sguardo di Aronofsky, entrambi i luoghi diventano sede di una progressiva autodistruzione. Come quello di “The Ram”-Rourke, il corpo della Portman viene ferito, martoriato, fatto a pezzi dalle numerosissime rifrazioni degli specchi, dallo sguardo della macchina da presa, sempre vicina al volto dellattrice, per scandagliarne ogni sfumatura espressiva. Risulta difficile poter individuare uninquadratura in cui la Portman non sia presente: il suo volto e il suo corpo sono il fulcro intorno al quale ruota la cinepresa, ansiosa di registrare la fluidità e la perfezione dei suoi movimenti. La macchina a mano segue ossessivamente e da vicino il suo distintivo e speciale modo di camminare, di muoversi dentro gli spazi claustrofobici degli appartamenti, dei camerini e delle quinte del teatro.
Laspetto metalinguistico presente nel film, individuabile nellattrice chiamata a interpretare una ballerina che a sua volta veste i panni di due antitetici personaggi - il cigno bianco e il cigno nero – consente alla Portman di superare se stessa, aggiungendo alle sue precedenti interpretazioni una performance giustamente premiata con lOscar. Fin dal suo esordio, la giovane attrice ha avuto loccasione di misurarsi con figure femminili ambivalenti, caratterizzate da personalità complesse e talvolta affatto candide: sono già moltissime, troppe per essere elencate, le pellicole che vantano la presenza della giovane star. Le collaborazioni con Allen, Mann, Gitai, Lucas, Minghella, Nichols, Forman, Kar-wai si sommano alle indimenticabili interpretazioni in film di minor interesse, ma di grande successo commerciale come Léon (1994), V per Vendetta (2006) e Laltra donna del re (2008). La straordinarietà dellinterpretazione della Portman non si concretizza tanto nel bacio saffico e nelle scene di sesso con Mila Kunis (LiLy, alter ego di Nina), di cui si è spesso parlato e scritto, quanto nel sapersi donare senza riserve nelle numerose sequenze allucinatorie e autolesionistiche. «Sorprendi te stessa e sorprenderai chi ti guarda»: questo è il consiglio che il coreografo suggerisce alla sua giovane allieva. Il significato di una simile frase può essere esteso al rapporto che presumibilmente è intercorso tra il regista e lattrice.
Dopo aver fatto risplendere una stella decaduta come Mickey Rourke, Aronofsky punta sul volto sofferente e scavato della sua giovane interprete, in grado di cimentarsi in complesse coreografie senza laiuto di una controfigura, mostrandosi oltretutto capace di dar vita a una metamorfosi in diretta: la purezza e linnocenza si trasformano in angoscia e perversione. Considerando che il dualismo rappresenta la materia basilare su cui poggia il film, e ancor prima il capolavoro di Tchaijkovskij, il regista imposta tutta la fascinazione visiva della sua opera sulla presenza dello specchio. Nella sala prove, nei camerini del teatro, nei bagni e nel suo appartamento, Nina combatte con il proprio riflesso, con unimmagine speculare, che mostra a tutti gli effetti il lato nascosto e represso del suo animo. Anche se il contrasto cromatico rappresenta il fulcro tematico, ideologico e visivo del balletto stesso, il bianco e il nero sintetizzano in modo un po troppo didascalico la dicotomia tra bene e male. I due colori finiscono così per contraddistinguere anche lambiguo coreografo Thomas Leroy sia nei costumi che nella scenografia: il suo ufficio e il suo lussuoso appartamento sono arredati proprio in funzione di questo contrasto. Il nero, macchia minacciosa e indelebile, finisce per sporcare le candide piume di una giovane étoile: la Portman, donandosi incondizionatamente allo spettatore con realismo e passionalità, si svincola dalletichetta di donna-bambina, confermandosi una tra le più grandi attrici della sua generazione.
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