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Dal Levante l’astro nascente. L’Oriente e l’opera

A cura di Camillo Faverzani

Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2021, 338 pp., euro 32,00
ISBN 978-88-5543-103-3

La raccolta di saggi testimonia l’assidua ricerca dei Seminari su L’Opéra narrateur, condotti dall’Université Paris 8 e dall’École Normale Supérieure e pubblicati nella Collana “Sediziose voci. Studi sul melodramma”. I ventuno contributi nati dalla sessione 2018-2019 sono redatti dai partecipanti in un’alternanza di francese e italiano. Camillo Faverzani e Davide Nadali riferiscono sui criteri delle scelte e delle indagini (cfr. Clio, Calliope e il do di petto) che traggono spunto da un tema significativo, in un percorso che verifica la «recezione nell’opera lirica delle fonti rinascimentali, shakespeariane, romantiche e bibliche» (p. XXII).

Nella Prefazione, Nadali riflette sulla connotazione dell’Oriente studiato, quasi «un mondo che è altro rispetto all’Occidente, ma per il quale è sempre stata provata una certa attrazione (spesso derivante da una visione immaginifica, onirica ed esotica). […] La visione dell’Oriente si scontra con il realismo dell’Oriente e il processo di presentazione passa necessariamente per un complesso, talvolta quasi inconsapevole, fenomeno di rappresentazione e ricostruzione» (pp. IX-X). Il curatore espone gli obiettivi del lavoro precisando il metodo: «Privilégier l’étude des sources orientalistes dans l’opéra, sans négliger d’autres formes de mise en musique, dont la danse […] dans l’idée d’explorer la manière dont la scène musicale a su interpréter à ses propres fins bien les archétypes orientalistes que les productions littéraires s’étant penchées sur l’Orient, et de retrouver le lien entre source et écriture pour l’opéra» (p. XIII). Il confronto con i modelli letterari, che in genere conducono al “libretto”, parte da quel presupposto per indagare l’intero processo di composizione operistica, musica, drammaturgia e coreografia comprese.

L’ambito geografico-culturale mediterraneo raccoglie la casistica più ampia, mentre il complesso di Mille e una notte merita da solo tre saggi. Un unico saggio tocca alla Cina, all’India e al Giappone. Nell’ordine cronologico, soprattutto della prima parte, Pietrosanti insegue il funzionamento dell’opera al tempo in cui Venezia era «porta d’Europa verso l’Oriente» (p. 3) e la sua produzione artistica ne vivificava il mito di fondazione, tanto che la Serenissima poteva autopromuoversi come una novella Roma. Nel Ripudio d’Ottavia (1699) di Matteo Noris, su musica di Carlo Francesco Pollarolo, si auspicava la cacciata dei «Draghi dell’Ottomano» nell’apologia del «culto Sacro sola la vera Fede, e la Catolica Religione» (p. 14).

Un secolo di teatro italiano (1644-1754), percorso da Piffaut, è rappresentativo di un’epoca in cui, allo sguardo eurocentrico, soggetto al fascino e incuriosito dagli orizzonti e dai destini legati alle nuove scoperte di terre lontane, «l’Orient représente à ce titre la quête des terres et des splendeurs» (p. 35). L’arte operistica italiana appare nutrita da idee e simboli esotici. Piffaut, riallacciandosi al convegno di Napoli Le arti della scena e l’esotismo in età moderna (2006), risale alla Crusca per definire la nozione di “oriente” (p. 36). Il suo iter tocca forme e convenzioni del “dramma per musica”, elaborate da autori quali Cavalli, Zeno, Tasso, Porta, Metastasio.

Claudia Colombati studia gli orientalismi tra XVIII e XX secolo valendosi di precedenti classici, quali la Bibbia e la cultura greca, per rilevare le tendenze dei «paesi dell’Europa occidentale a guardare verso queste terre attraverso le arti e a seconda dei periodi […] in un’aura di raffinato decorativismo, di riflessioni filosofiche, di magiche esperienze» (p. 53). Il fenomeno è osservato in Germania, Russia e Francia per verificare la funzione della scenografia e dei costumi nel teatro musicale. I francesi, in particolare, denunciano la propria permeabilità alle suggestioni sorte dai contatti con le colonie d’Africa e di Cina dalle cui civiltà traggono immagini e problematiche, più che teorie e materiali musicali, con esiti protratti almeno fino all’incipiente Surrealismo.  

Molte influenze sulla fantasia di compositori e librettisti derivano dalla cultura spagnola, segnata dalla dominazione araba. Tra Francia e Italia, basati su aneddotica e narrativa iberiche, fioriscono i lavori su quel tema in numerose varianti: Les Maures d’Espagne di Pixérécourt, Gonzalve de Cordoue di Dorvo, Les Aventures du dernier Abencérage di Chauteaubriand, fino a Les Abencérages di De Jouy, con musica di Luigi Cherubini. Il gusto e la perizia di Gioachino Rossini spiccano nelle due versioni di Maometto secondo (1920 e 1922). Ma oltre la filologia, Cristina Barbato si dedica alla ricostruzione degli allestimenti recenti dell’opera (Pesaro, 1985 e Venezia, 2005), con la regia di Pier Luigi Pizzi, dando prova di esegesi esemplare dello spettacolo.  

Secondo Faverzani, gli orientalismi d’Occidente trovano l’intonazione tipica in L’Esule di Granata, “melodramma serio” di Felice Romani per la musica di Giacomo Meyerbeer. Le fonti, principalmente letterarie, sono reperibili nella vicenda storica e romanzata della caduta di Granada. La nascita e il decorso tormentato dell’opera vengono seguiti in un’analisi drammaturgica comprendente sia la “poesia” (il libretto), sia la partitura (Tabella, p. 122) nelle loro interdipendenze funzionali. Risultano così le convenzioni e gli esperimenti praticati e lo sfruttamento dei brani scartati per opere successive. La stessa capitale araba è luogo d’azione anche per Zoraida in Granata di Gaetano Donizetti, che il saggio di Cento mostra connotato dagli inserti orientaleggianti e dalle turqueries. Sulla via dell’affermazione, da Venezia e Mantova a Roma e Napoli, «l’attenzione di Donizetti verso il Sol Levante, l’esotismo in musica» (p. 135) prosegue con Zoraida (1822, teatro Argentina, Roma) e con Alina regina di Golconda, rappresentato a Genova nel 1828. L’interscambio abituale fra brani di partiture diverse è documentato nel Paria (1829), ambientato in India, e in Le Duc d’Albe, che con i suoi elementi esotici eccentrici (si svolge in Belgio), restò incompiuta. Meglio riuscirà La Favorita (1840, Opéra di Parigi), frutto appunto di recupero di musiche scartate in precedenza. Adattamenti e compromessi di gusto e falsi storici segnala ancora in Dom Sébastien, roi du Portugal (1843), su libretto di Eugène Scribe e completo di balletto da grand opéra.

Come fa notare Asaro, dopo l’uscita dei Turkish Tales (1816), il poema The Corsair di Lord Byron implica la sovrapposizione inevitabile fra l’autore e il suo eroe. Come soggetto di balletto-pantomima, ha successo alla Scala di Milano nel 1826 e poi va in scena come opera a Roma nel 1831. Con libretto di Jules-Henry Vernoy de St.-Georges, su musica di Adolphe Adam e coreografia di Joseph Mazilier (1856), l’opera iniziava una nuova carriera lungo incessanti rifacimenti: «Au delà des changements apportés à la musique et à la corégraphie, le changement le plus important est dramaturgique» (p. 152). Le tavole comparative di diverse edizioni dimostrano l’usura e la degenerazione dell’originale. D’Angelo disserta sulla drammaturgia di La falce di Arrigo Boito per la musica di Alfredo Catalani, con un metodo di ricerca aggiornato agli studi più probanti sull’autore.

Nel repertorio dell’Opéra parigina indaga Auzolle, che accerta la presenza di Jacques Rouché, figura eminente nel primo Novecento teatrale, attorno alla creazione di Kerkeb, danseuse berbère di Marcel Samuel-Rousseau (1940-1941): è l’emergenza dell’aspetto erotico, liberatorio per la donna, protagonista danzatrice (p. 185). Meritoria l’informazione inedita di Maule sulla divulgazione dell’orientalismo operistico presso i giovani, promossa dall’Unione Europea.

Le creazioni operistiche tratte da Le Mille e una notte sono riassunte da Cailliez in una tavola cronologica (1800-1891), seguita da un’analisi statistica del corpus individuato. L’analisi strutturale e tematica scende alla strumentazione e all’orchestrazione presso i vari compositori. Il periodo registra il gradimento crescente del genere comique nel repertorio. Minarini riferisce sull’excursus determinato dalla diffusione del libro in traduzione francese di Antoine Galland (1704). La fiaba di Shéhérazade ispira opere musicali apprezzate specialmente nel loro sviluppo novecentesco. Morski individua e commenta i motivi ricorrenti nelle tante composizioni, musicali e ballettistiche, fino a Le chant du rossignol che Stravinskij riprende dalla favolistica russa.

Per la Cina, Galigani sceglie Tamerlano a protagonista e lo segue nei molteplici aspetti assunti in drammi e opere musicali, da Tamburlaine the Great di Marlowe e Tamerlane di Rowe, al Gran Tamerlano di Giulio Cesare Corradi per musica di Marc’Antonio Ziani. Dopo la tragedia di Nicholas (o Jacques) Pradon (1676), Tamerlano riappare nel libretto del conte Piovene e si sposa con partiture culminanti in quella di Georg F. Hændel (1724). L’India, rappresentata da Sakuntala, è collocata da Meneghello in clima novecentesco. Le citazioni di Artaud, Brecht, Brook e Grotowski si applicano alle tante forme che ha assunto il personaggio, fino all’opera omonima di Franco Alfano del 1921.

Le metamorfosi di Butterfly (personaggio e opera) guidano Domenichelli alla scoperta della cifra emblematica attribuita al Giappone dalla creatività europea. I saggi restanti garantiscono alta qualità informativa nel mosaico che vanno a integrare. L’indirizzo impresso dal curatore e condiviso dai collaboratori si apprezza nell’interdisciplinarità delle comparazioni e nella pazienza ricostruttiva dei fenomeni che implicano le componenti dell’opera-spettacolo. Un valore aggiunto per gli studiosi, i musicisti e i teatranti, ai quali il libro offre sintesi preziosa degli effetti dell’immaginario orientalista sul teatro musicale europeo. Voce assente in appendice, un’importante Bibliografia risulta dalle note e dalle citazioni, ricche di aggiornamenti e di sfumata sensibilità nel circoscrivere un mondo artistico variegato nei princìpi che lo informano e nella sostanza dei dati che lo misurano.


di Gianni Poli


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