Benché rivolto al lettore
specializzato, al curioso acculturato, il libro sa coinvolgere ogni sincero amatore
di musica e spettacolo. Sono quattordici saggi sulle tematiche fra mito e
storia, nella librettistica dellopera lirica, nei quali le comparazioni
testuali si integrano con apporti dalla messa in scena, inerenti ai molteplici
aspetti della rappresentazione.
Il volume è frutto di stimolanti seminari
italo-francesi coordinati da Camillo
Faverzani, promotore di tante indagini interdisciplinari sulla drammaturgia
e lo spettacolo musicali. La materia scelta – necessariamente riduttiva rispetto
allinsieme delle ricerche svolte nel tempo (2011-2013) – è distribuita nelle cinque
parti di un mosaico molto articolato di osservazioni, scoperte e acquisizioni
critiche. Faverzani in apertura motiva le scelte e i criteri funzionali dei
contributi proposti e nel riconoscere linteresse per “lantico”, che prevalse allinizio
del genere operistico, precisa che «non si esaurisce mai del tutto (Semiramide,
Belisario, Attila…), sopravvivendo anche in tempi in cui gli autori del teatro
per musica si orientano maggiormente verso testi percepiti come più moderni (i
Romantici) o recuperano Shakespeare» (p. VII).
Vittorio Coletti traccia litinerario dellopera italiana in
parallelo a quella francese (nei loro stretti rapporti di collaborazione e rivalità),
segnandone più le istanze formali che non quelle ideologiche: «Laria, ben
presto la forma più celebre e più acclamata dellopera, sembra trarre vantaggio
dalla natura divina dei personaggi» (p. 3), alludendo ad esempi in Lully
e Quinault. Praticare il “cantare” invece del “parlare” produceva uno shock al quale si cercava rimedio col
«mettere in scena dei personaggi così soprannaturali che si potevano esprimere
in musica anziché in prosa» (p. 5). La trattatistica e gli Annali degli eventi,
compresi lOrfeo francese di Buti
e Rossi (1647) e il gusto diffuso nella Firenze medicea, nutrono la
discussione. Essa segue gli influssi reciproci fra le civiltà confinanti nel
passaggio di quel genere spettacolare dalle corti ai teatri a pagamento; fa notare
come il Metastasio laicizzi lopera
italiana e il maturare duna «dimensione religiosa inedita», ove «il
Soprannaturale è ormai senza mito» (p. 13).
Il ruolo degli “oracoli” e dei
“messaggeri”, studiato da Elisabetta
Fava, evidenzia il gradimento della messa in scena da parte dello spettatore,
in unestetica del clou, culminante
nella ricerca dellepisodio a effetto. Ne consegue il disimpegno del musicista,
deluso per lo sforzo creativo svalutato. «Voci doltretomba e messaggeri
dellaltro mondo» (p. 16) trovano esempi in Orfeo
di Monteverdi (1607) e in La morte
di Orfeo (1619) e SantAlessio di
Stefano Landi (1632), nei quali si definiscono le tonalità vocali convenzionali
attribuibili ai cantanti. L«innesto del fantastico nel mitologico ha la sua riuscita
migliore in Dido and Æneas, di Purcell
[…] pietra miliare della scrittura operistica» (p. 19). Procedimenti simili seguono
in Gluck e Mozart, fino a Rossini di Semiramide e Mosé in Egitto
e a opere di Verdi e di Petrella.
Tre contributi risalgono alle
origini del mito. Daniel-Henri Pageaux
riflette su quello di Orfeo, svolto nei casi numerosi che lo rendono tipico e
sintomatico del gusto e delle strutture correnti. Lo studioso si concentra su
due opere di Marc-Antoine Charpentier, Orphée descendant aux enfers e La
Descente dOrphée aux enfers, nate nella cerchia di Maria di Lorena
(principessa di Guisa), animatrice musicale dellHôtel de Clisson. Linteresse per
il soggetto saccresce con la disamina di Maria
Carla Papini del seguito di opere moderne che del mito rivelano lattualità,
con Pierre Louÿs, Alberto Savinio e Salvatore Sciarrino. Ampio
è lexcursus sulle fonti letterarie
dei libretti, tra il XVII e il XX secolo, a partire da Psyché di Molière e Lully. Paola Ranzini, in Sassofoni
vs filologia, ricostruisce lo spettacolo Medea di Robert Wilson e Gavin Bryars, sorto dalle
variazioni attorno alloriginale euripideo. Rilevanti i documenti (anche
informatici) prodotti e confrontati nellavvincente contributo e poi compendiati
in Tavole sinottiche (pp. 70-71) degli
elementi testuali comparati (da Wilson a Euripide) e della messa in scena (pp.
76-78) delle diverse soluzioni estetiche. «Con Medea, Wilson […] non propone
una lettura del mito che ne sveli i sensi inediti […]. Preferisce concentrarsi
sulle parole della tragedia euripidea considerandole alla stregua di materia […].
Lazione, la musica stessa sono subordinati alla partitura visiva» (p. 79).
Mostrare LIdomeneo di W. A. Mozart nella sua ambiguità è lo scopo di Annie Paradis, che mentre valorizza la
musica nel mito, racconta e spiega la nascita di una maturità artistica eccelsa,
lungo «una traversata simbolicamente efficace nel senso che, dopo aver
riavvicinato padre e figlio […] li separa definitivamente» (pp. 94-95). Lopera
seria Ciro in Babilonia di Rossini è
ritenuta da Cristina Barbato una composizione
mediatrice tra il sacro e loriente. La sua analisi delle caratteristiche
dellopera segue il filo di un tema biblico dal fondamento storico, fino a rievocare
la rappresentazione recente dellopera, attualizzata dalla regia di Davide
Livermore nel genere dun «film delle origini» (p. 107). Davide Nadali illustra Nabucco riferendosi alle scoperte
archeologiche dellepoca e riproponendo le problematiche dellambientazione della
“prima” verdiana rispetto a quelle delle realizzazioni successive.
Laccurata ricerca di Fabiano Pietrosanti sullevoluzione del
personaggio di Nerone conduce alle rappresentazioni veneziane secentesche
dellopera, con documenti di cronaca sul teatro a pagamento funzionante in
città. Preceduti da Lincoronazione di
Poppea di Monteverdi e Busenello (1643), molti titoli sono rievocati,
tra i quali Il Nerone di Corradi
(1678) e Nerone fatto Cesare (1692) e
Il ripudio dOttavia (1699) di Matteo Noris. Di ciascuno
emergono le costanti strutturali e tematiche nel contesto delle pratiche autoriali
autocelebrative e dei modi di frequentazione del pubblico. Una Tavola con le “funzioni” dei personaggi
nelle varianti degli spettacoli (pp. 134-138) integra dati e testimonianze
importanti per la storia “materiale” del genere.
Come i personaggi dellantica
Roma si caratterizzino nei libretti di Metastasio
(esemplare La clemenza di Tito, 1734)
mostra lo studio di Stefano Magni, che
li indica come «nostri modelli culturali, in relazione con lalterità barbara»
(p. 140). È puntuale la disamina dello stile del poeta che in tanti testi pedagogici
e ludici, ispirati dallArcadia, celebra la grandezza europea negli eroi romani
e ottiene la fama mediante la loro messa in musica.
Jérôme Chaty segue due autori a cavallo fra due secoli, poeti
teatrali alla Fenice, Antonio S. Sografi e Gaetano Rossi, abili promotori
delle loro opere presso i gusti mutevoli degli spettatori. Le “alterazioni”
esaminate sono le varianti drammaturgiche introdotte via via per rinnovare un
soggetto e renderlo più gradito e capace di «stupire, rallegrare e istruire il
pubblico» (p. 155). Infatti, «i riti misteriosi, le predizioni, i responsi che
sappiamo aver avuto una certa importanza presso gli antichi romani, occupano
pure un posto interessante in Sografi e centrale in Rossi» (p. 157), quali espedienti
per rimpolpare una trama scarna.
Una Cronologia estesa sintetizza
la trattazione. Camillo Faverzani
analizza LOracolo sannita (1805) di Domenico
Del Tufo e Nicola Antonio Zingarelli, nelle analogie rilevabili con Les Mariages samnites di Jean François Marmontel. Bella lanalisi della partitura che, comparata a
quella del francese, fornisce una base importante di valutazione critica. Decisamente
antiaccademico il saggio di Antonio
Meneghello, rievocativo della creazione parigina di Le Martyre de Saint-Sébastien di DAnnunzio e Debussy
(1911), unazione scenica poetica, fomentata da un testo immaginifico su un
santo “canonizzato” nella Legenda aurea
di Jacopo da Varagine. Lo si analizza nelle cinque “mansioni” (le mansions dei misteri medievali),
saltando dal testo originale (e dalla sua traduzione italiana) alla
registrazione discografica di unesecuzione diretta da Inghelbrecht, che
suscita una ammirazione speciale per il quadro La corte dei gigli: «È secondo noi uno dei passi più perfetti del
poeta e forse di tutto il teatro occidentale» (p. 189). Seguono accattivanti
parafrasi dellinvenzione dannunziana, un po letta, un po immaginata in
spettacolo; infine, sintetizzata nella formula «Corpo, suono e parola divina»
(p. 198).
di Gianni Poli
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