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Yannis Kokkos

Scènes

A cura di Catherine Trehilou-Balaudé

Arles, Actes-Sud, 2020, 336 pp., euro 39,00
ISBN 978-2-330-13656-7

In occasione della mostra Scènes de Yannis Kokkos al Centre national du costume de scène et de la scénographie (Moulins, 28 novembre 2020-25 aprile 2021), l’artista di origine greca ha fatto uscire alle stampe la sua autobiografia. Quasi in forma di journal, la vita di Yannis Kokkos è raccolta in un bel volume di grande formato, riccamente illustrato, con l’esauriente, impressionante rassegna in immagini di un’opera immensa, sviluppata in cinquantacinque anni e tutt’ora in corso. La corresponsabile dell’esposizione, Catherine Trehilou-Balaudé, cura la Cronologia degli spettacoli, preceduta dall’analisi, Obscures clartés, del lavoro del regista, scenografo e costumista – dai primi disegni all’opera interpretata in palcoscenico – nell’intento di raggiungere un pubblico nuovo e allargato. La grafica è luminosa e raffinata, d’ampia impaginazione, nella quale il tratto immediato dell’artista gareggia con la resa scenica dei suoi spettacoli, oggettivata nelle fotografie di scena, nei bozzetti degli allestimenti e dei costumi. Una galleria suggestiva e sorprendente anche per chi abbia avuto la fortuna di assistere alle realizzazioni dal vivo.

Annoto alcune date e tappe di una carriera intensa e luminosa. Nato ad Atene nel 1944, Kokkos segue la scuola di Belle Arti e coglie le prime mozioni espressive dalla vita di quartiere e da letture eterogenee, facilitate dal gusto francofilo della madre. L’ascolto del teatro radiofonico e qualche spettacolo a Epidauro lo aprono a quella nozione di théâtre, rêve éveillé che sarà la sua “divisa”. Dal 1963 frequenta a Strasburgo la scuola del Centre Dramatique de l’Est, poi Théâtre National de Strasbourg. A causa della dittatura, non rientra in patria e dal 1967 si stabilisce a Parigi.

In quegli anni esordisce professionalmente come scenografo e costumista di svariati spettacoli, da Marivaux a Paisisello, da Labiche a Hugo. Naturali e consentanei gli incontri artistici, orientativi della sua sensibilità pronta e della sua intelligenza inventiva: quelli con Patrice Chéreau, Antoine Bourseiller, Pierre Debauche e con il traduttore Pierre Leyris che lo introduce a Shakespeare e a Eliot. Preziosa l’amicizia con Hubert Gignoux; decisiva quella con Antoine Vitez, per un sodalizio durato vent’anni, con trenta allestimenti, da Le Précepteur di Lenz (1970) a La Vie de Galilée (Vita di Galileo) di Brecht (1990). È il periodo dei gloriosi “années Chaillot”: il teatro sede del TNP di Vilar ritrova fecondità artistica negli eventi esemplari di Faust (1981), Tombeau pour cinq cent mille soldats, Hamlet, Falsch, Le Prince travesti, La Mouette, Ubu Roi, Lucrèce Borgia, L’Échange e Le Soulier de satin (1987).

La formula del sodalizio creativo di lunga durata si ripete nella collaborazione con Jacques Lassalle, subentrato come direttore alla Comédie-Française, con il quale aveva già lavorato per À la renverse di Vinaver (1980), La locandiera di Goldoni (1981), Lohengrin di Wagner (1982), Lear di Reimann (1982), Les Estivants di Gorki (1983) e Le Tartuffe di Molière (1984). Con l’amico Lasalle condivide quell’amore per il cinema che nel giovane Yannis era nato assistendo ai capolavori di Fellini, Bergman, Antonioni, rimeditati ad Atene «en temps de crise» (p. 77). Kokkos si addestra così alla responsabilità completa degli allestimenti, assunta con la sua prima regia teatrale, La Princesse blanche di Rilke (1987), e con la sua prima regia lirica, Boris Godunov di Musorgskij, diretta a Bologna (1989), momenti clou della sua fortuna internazionale.

Nel frattempo le stagioni “francesi” toccano l’acme con Le Soulier de satin di Claudel al Festival d’Avignon, dove Kokkos affronta quel monumento teatrale riconoscendo, con Vitez, che «pour représenter ce “théâtre-monde” il n’était possible de le faire qu’en utilisant la simplicité archetypale d’un plateau de bois. […] Une petite scène de quelques mètres carrés devenait Le Théâtre» (p. 68). L’impegno è difficilmente descrivibile: «J’ai du mal à définir mon travail par les mots. Il me semble toujours omettre ce qui m’importe le plus» (p. 83), anche nel motivare la scelta strenua del passaggio alla mise en scène, considerata «une dramaturgie appliquée à l’espace et au jeu, basée sur l’élucidation du sens, la clarté de la narration» (p. 83). Kokkos nutre la propria idea teatrale con l’immersione nelle immagini dell’inconscio, vagliate e concretate nel disegno, animatore di spazio e ritmo dell’azione: «C’est le dessin qui est à l’origine de mes spectacles» (p. 83). Di Vitez accoglie la libertà del «faire théâtre de tout», avendo partecipato ai suoi primi adattamenti di opere non nate per la scena: «Tout est possible quand il y a une necessité, une évidence que j’appellerai “credibilité poétique”. Comme la peinture abstraite» (p. 84).

Di ogni evento Kokkos prefigura il significato e mostra i modi e gli strumenti per conseguirlo. Usa una lingua sobria nel narrare quello che la scena già esprime nei segni e nelle proporzioni dei tratti rari e decisi dell’abbozzo. «Cette séparation d’un espace de jeu et d’un espace imaginaire est une option qui me tente toujours» (p. 56), precisa, riandando al dispositivo unico per i tre spettacoli del 1981 a Chaillot, sollecitato soprattutto da Tombeau di Pierre Guyotat. Attinge ai ricordi per rivivere momenti di intimità con i compagni d’avventura, in uno scambio istantaneo e profondo, sapiente nel contrarre un patto creativo spontaneo, reciproco dono di scoperta e di sorpresa. Perciò la memoria dei partners diventa tesoro condivisibile. La concentrazione dei mesi di preparazione e di prove lascia, nell’evidenza documentaria dello spettacolo compiuto, una stupefacente chiarezza: l’evento appare nella sua realtà comunicata e goduta, ormai decantata nella memoria, come sublimata e indelebile.

Per i teatranti e i critici italiani è forse meno nota l’attività di Kokkos nel teatro musicale. Nell’illustrarla con speciale partecipazione emotiva l’autore rievoca molteplici allestimenti italiani e scaligeri: Pelléas et Mélisande di Debussy (1986), Ifigenia in Aulide di Gluck (2002), Il vascello fantasma di Wagner (2004), Assassinio nella cattedrale di Pizzetti (2009), Medea di Cherubini (2007), La Femme sans ombre di Strauss (2010). In Outis di Luciano Berio (1999) la musica promotrice di immagini gli appare prioritaria per la riuscita dello spettacolo.

La studiosa Odette Aslan ha sua volta valutato poesia e tecnica nell’autore sedotto dal bianco, calligrafo dello spazio: «Kokkos offre à Vitez un réalisme enchanté» (Metteurs en scène et scénographes du XXe siècle, Lausanne, L’âge d’homme, 2014, p. 217). Pertanto la percezione del reale si unisce, in una metamorfosi fantastica, alla novità scenica, ogni volta miracolosa, eppure attesa perché calcolata. L’artista constata: «Le théâtre transfigure les formes les plus aléatoires en instants d’éternité» (p. 114). Nella crescente attenzione alle implicazioni estetiche e funzionali della scenografia, in Francia se ne è posta in discussione la stessa nozione, nella nuova definizione di scénologie: in una formulazione più recente, «l’étude scientifique de la scénographie, de la scène, de la logique scénique au théâtre, à l’opéra, en danse, au cinéma, à la television» (M. Freydefont in 40 ans de scénographie, a cura di L. Boucris, Montpellier, l’Entretemps, 2010).

Partecipe di una intelligenza critica in progress delle arti della scena, il libro di Kokkos s’inserisce in quel moto avviato da tempo con una sensibilità nuova ben radicata in una lunga tradizione, problematica ma luminosa. La stessa curatrice Trehilou-Balaudé, del resto, riprende in Obscures clartés quei medesimi motivi per illustrare i criteri della mostra di Moulins e le peculiarità dell’arte esposta. Oltre agli oggetti concreti, si esalta di Kokkos il ruolo del disegno, «le lieu de l’invention simultanée de l’espace et de la présence humaine […]. Son dessin a tout d’un acte dramaturgique. Il contient en germe la mise en scène, tout en possedant une valeur esthétique certain» (p. 283). Chiude il libro la citata Chronologie completa degli spettacoli (più di duecento titoli).



di Gianni Poli


La copertina

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