drammaturgia.it
Home | Cinema | Teatro | Opera e concerti | Danza | Mostre | Varia | Televisioni | Libri | Riviste
Punto sul vivo | Segnal@zioni | Saggi | Profili-interviste | Link | Contatti

cerca in vai


Les Théâtres documentaires

A cura di Erica Magris, Béatrice Picon-Vallin

Montpellier, Deuxième époque, 2019, 464 pp., euro 29,00
ISBN 978-2-37769-060-2

Ambizione dell’opera è porsi quale censimento mondiale di un genere teatrale che compie almeno un secolo. La ricerca sui diversi aspetti dei “teatri documentari”, coordinata, con esiti interdisciplinari e sguardo europeo, da Béatrice Picon-Vallin – maestra della storiografia teatrale novecentesca – e da una sua collaboratrice dell’ultima generazione, l’italiana Erica Magris, riguarda un fenomeno che ha promosso sia l’informazione storica e scientifica mediante l’arte teatrale, sia l’innovazione della stessa drammaturgia, alimentandola con documenti e protagonisti primari. Il panorama, che comprende vari continenti geografici e culturali – dall’Europa mutata nel secolo appena inaugurato alle Americhe e a un Oriente dalla rilevanza crescente – si articola in sezioni tematiche orientate da riferimenti cronologici.

Ai saggi specialistici su temi ed eventi s’accostano focus su documenti di valore storico. I casi più recenti o d’attualità – Teatro di narrazione, Verbatim, Groupov, Rimini Protokoll – sono confrontati col passato per valutare l’evoluzione del fenomeno. Viene dapprima individuata la nozione di “documento”, non soltanto quale fonte della “verità” storica, ma in quanto oggetto e/o motivo attorno al quale le forme rappresentative si sono manifestate successivamente. Così del documento si ripropongono alcune definizioni consolidate, come quelle espresse in Jacques Le Goff, Document/Monument (trad. francese della voce italiana dell’Enciclopedia Einaudi, 1978) e in Marc Bloch, Apologie pour l’histoire, 1949 (cfr. Paris, Colin, 1997, pp. 57-62). 

Picon-Vallin introduce la problematica con Le théâtre face à un monde en mutation: à propos des théâtres dits «documentaires». Nel riconoscere la “porosità” progressiva delle frontiere fra le arti e le scienze, auspica un necessario spazio di riflessione, compositivo e creativo, che ponga a distanza prospettica i fatti e le notizie – oggi come non mai tanto labili ed effimeri – prima d’ogni elaborazione storica ed (eventualmente) artistica. Nell’ambito operativo, osserva: «Le protocole traditionnel qui préside à l’écriture du reportage d’investigation et à la recherche en sciences humaines est devenu la base du travail du théâtre de groupe qui pratique la création collective. […] Dans ce processus sont convoqués témoins et/ou experts» (p. 13). L’ispirazione a “storie vere” tende ad attribuirsi maggiore autenticità, mentre proprio la via documentaria si presenta come alternativa per una drammaturgia più aperta alle prospettive del dibattito ideologico. Forme di teatro politico (con pretese funzioni riformatrici delle democrazie, p. 45) e di teatro civile – partite da esperienze primonovecentesche – si ravvisano in proposte italiane odierne. Autori come Marco Paolini o Roberto Saviano sono ritenuti esemplari nella ricerca della verità-in-scena. La citazione di La beauté et l’Enfer, di Saviano è correlata a Le dernier Caravansérail (2003), dedicato ai migranti, del Théâtre du Soleil e ad altre creazioni in debito con la sensibilità di Erwin Piscator e di Peter Weiss, autore della memorabile Istruttoria (1965). Ricorrono momenti coerenti nel dare voce ai bisogni degli ultimi della società, in drammatizzazioni di situazioni di particolare sofferenza collettiva. Come osserva Ivan Jablonka, «le théâtre documentaire est alors un processus de recherche collectif qui implique encore plus fortement le spectateur» (p. 42). Le conclusioni s’avvalgono dei contributi di alcune opere di Sergueï Tretiakov, Bruno Tackels e Milo Rau che, nella loro varietà, individuano presenze di fatto extra-teatrali, come quella del gruppo Port B di Tokyo (p. 52).  

Nel Novecento s’incrociano casi personali e tragedie collettive, in proposte multiformi e «autodocumentaires» (p. 72).

In Cinemas documentaires: le réel au pluriel, Martin Goutte si occupa degli elementi fondanti del documentario cinematografico: attraverso definizioni di caratteri e funzioni, fa emergere il contrasto tra finzione e realtà declinate al plurale. Più recenti vengono considerate le interferenze e le sovrapposizioni fra cinema e televisione le quali, contemporaneamente, «affichent tantôt leur concurrence et tantôt leur complémentarité» (p. 74) nelle conseguenze relative alla novità di Internet. Così Laurence Allard, in Le webdocumentaire, indaga (con terminologia inglese specialistica) le potenzialità della Rete, suscettibili di favorire un importante scambio soprattutto fra gli utenti: «Cette alimentation du Web en contenus expressifs issus de l’activité relationelle des internautes peut être également définie au plan socio-économique comme relevant du croudsourcing, c’est-à-dire l’alimentation du Web en contenus par les internautes eux-mêmes» (p. 81).

Le notevoli tracce dell’impiego del documentario sulla scena novecentesca sono affrontate in La technique de la citation dans “Les derniers jours de l’humanité” de Karl Kraus di Gerald Stieg e in Montage et authenticité dans le théâtre documentaire de Peter Weiss di Jean-Louis Besson. L’Istruttoria di Weiss, rappresentata a Milano nel 1967 con la regia di Virgilio Puecher, si apprezza nella precisa ricostruzione di Magris. L’evento, definito un documentaire total, è valorizzato ricorrendo alla strutturazione delle informazioni e dell’analisi secondo il modello ormai affermato delle Voies de la création théâtrale, pubblicate in Francia dal CNRS.

Nella sezione più corposa del volume, Kristina Matvienko esamina l’opera e gli influssi di un protagonista russo in Sergueï Tretiakov (1892-1939) et le théâtre documentaire en Russie: Techniques, idées, découvertes. Ancora Magris riferisce sul Théâtre documentaire britannique, de Joan Littlewood au Verbatim: traditions, fracture, résonances: i suoi compendi degli spettacoli compongono un quadro abbastanza esaustivo attorno a US (1966) di Peter Brook, famoso intervento-spettacolo di denuncia sulla guerra del Vietnam, cui s’affianca il testo programmatico del creatore, US par la Royal Shakespeare Company (pp. 197-198).

Alle origini del Verbatin Theatre sono dedicati alcuni documenti specifici (a cura di Derek Paget, pp. 170 ss.) relativi una particolare modalità che ha condizionato (anche nell’ignoranza in materia che permane in Italia) parte delle generazioni degli anni Settanta. I paragrafi che ne esplicitano intenti e procedure, fanno percepire al lettore la compresenza di originalità e di ricalco, di cui quel genere si nutre, riproducendosi e rinnovandosi continuamente.

Su quella durevole “eccentricità” ritornano numerosi contributi. La situazione negli USA è illustrata dal saggio di Marie Pecorari (Déclin et chute du didactisme: évolution du théâtre documentaire américain), nel quale si scopre un programma teatrale statale sovvenzionato (anni Trenta) in cui l’aspetto “documentario” è connotato con l’attributo “fattuale” (factuel). Si scoprono poi – fra saggi e focus specifici – altri aspetti di tale tendenza: in Romania, con Visages et voix sur le scènes roumaines di Mirella Patureau; in Colombia, con Théâtre documentaire en Colombie di Bruno Tackels; e in Grecia, con Un Théâtre de vérité face à une Hydre de Lerne: le combat du théâtre documentaire en Grèce di Athéna-Hélène Stourna.

La sezione À la recherche des formes raccoglie episodi singolari e realizzazioni di gruppo particolarmente significative. Nella rievocazione di Olga - Un regard. Essai de théâtre documentaire, risulta un po’ misteriosa, persino ostica, la gestazione di una pièce sull’olocausto, tratta da un film e rappresentata alla Comédie de Genève nel 2012. Picon-Vallin ritorna sul lavoro del Théâtre du Soleil (vedi il suo Le Théâtre du Soleil. Les premières cinquante années, 2014) per Le dernier Caravansérail, «laboratoire d’une écriture scénique documentaire», lasciandosi guidare dall’intenzione creativa di Ariane Mnouchkine scelta ad esergo: «Comment faire pour que le théâtre soit non seulement à la hauteur d’une simple photo, mais dépasse la simple photo!» (p. 286). Lungo fasi di intuizione e fantasia, corroborate da ricerche minuziose sul campo, lo studio giunge a confermare come nell’immaginazione i documenti sul soggetto della migrazione diventino, animati dall’attore, epopea poetica (p. 301).

Éliane Beaufils interpreta le performances dei Rimini Protokoll, gruppo tedesco distintosi per l’uso (anche provocatorio) del materiale drammaturgico e degli attori, presunti agenti nell’immediatezza della loro condizione e ruolo quotidiani (Les laboratoires sociothéâtraux de Rimini Protokoll). Si avverte il pericolo di certe soluzioni pseudo-naturaliste al limite della citazione dell’ovvietà e della pura imitazione di ciò che viene mostrato in quanto oggetto di critica. Per quegli artisti soltanto una parte della realtà ci viene rivelata e, a causa dei limiti sia della vita sia della scena, «la dimension performative qui consiste à nous faire éprouver en partie ce dont il convient de se méfier est ici essentielle» (p. 308).

Il gruppo BERLIN, fondato ad Anversa nel 2003 e noto per il vasto ciclo Horror Vacui iniziato nel 2009, offre a Aude Clément l’occasione di cogliere motivi significativi del metodo della ricerca e dei risultati mediante un’Intervista a uno dei fondatori, Baert Baele, dal quale si apprendono le tecniche compositive della formazione (p. 322). Queste esperienze possono rapportarsi alla vicenda del gruppo italiano Motus, descritto da Magris in sintesi come «un court-circuit autoréflexif technologique entre mythe et document» (p. 328). Inoltre, si stagliano altri ritratti di personaggi sorprendenti, come quello di Walid Raad, artista libano-americano. L’inserto fotografico riattualizza visivamente molti degli spettacoli nominati e/o discussi. 

L’ultima sezione, Oralité et performance documentaires, testimonia la varietà e la complementarità delle tante esperienze approfondite o soltanto suggerite, in una campionatura necessariamente incompleta.

Una sorta di postfazione provvisoria, La fin des années dix di Picon-Vallin, conclude – con spunti aperti al futuro – sugli effetti delle ricerche che la Storia continuerà puntualmente a esigere.


di Gianni Poli


La copertina

cast indice del volume


 



 
Firenze University Press
tel. (+39) 055 2757700 - fax (+39) 055 2757712
Via Cittadella 7 - 50144 Firenze

web:  http://www.fupress.com
email:info@fupress.com
© Firenze University Press 2013