Lou Reed. Il lato selvaggio della vita
A cura di Paolo Russo
Firenze, Edizioni Clichy, 2014, 124 pp., euro 7,90
ISBN 978-88-6799-146-4
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1942-2013
sono gli estremi della vita di Lou Reed, artista statunitense del rock e leader storico
dei Velvet Underground,
lanciato verso il successo da Andy Warhol a partire dal 1966, ma
definitivamente affermatosi nel 1972, dopo lincontro con David Bowie (e si veda la recensione al film Heart of a dog).
Al di là della produzione musicale, il suo profilo è quello di un vero e
proprio attore-cantante, capace di costruire – con la sua musica e i suoi
legami con altri musicisti – un personaggio incisivo anche sul piano teatrale.
In questo modo ha fortemente segnato il panorama dello spettacolo internazionale
del tardo Novecento. È quanto si comprende leggendo questo agile libretto
scritto e composto da Paolo Russo, giornalista e critico musicale.
Lopera è corredata da una svelta biografia (pp. 9-18), da una galleria di
ritratti fotografici, da una ricca antologia di citazioni autobiografiche di
Reed (pp. 51-113) e da unintervista in cui lautore del libro confessa il suo
personale culto per lartista e performer: «queste povere righe […] sono solo
la mia dichiarazione damore per un granduomo» (così nellintroduzione Al
lettore intitolata Il lato selvaggio della vita, pp.
19-48).
Ma a dispetto dellumiltà dichiarata, questo libro ha il merito di
ricalcare con parole giustamente leggere il profilo di un mito del nostro
tempo, trasferendo nel bianco e nero pacato della scrittura lustione emotiva
di una musica incisiva e la provocazione di un artista esplosivo: un
“mattatore” si sarebbe detto nel teatro recitato dei tempi eroici. Si sa che la
creazione del “personaggio” è elemento costitutivo di qualunque carriera
spettacolare e a tale metodo Lou Reed si è istintivamente ispirato, facendo un
tuttuno della musica e della vita, della sua immagine reale e di quella “costruita”.
Quanto luna scolori nellaltra è difficile dire: il libro di Russo arriva a
farcelo capire servendosi soprattutto della tecnica del reportage (si veda
lintervista menzionata) e con varie sfumature di racconto. Come è giusto che
avvenga in presenza di un personaggio molto spesso “in maschera” davanti a se
stesso e davanti agli altri. E si tratta di una maschera che la musica talvolta
potenzia e talvolta – quando si arresta e lascia il posto alla fatica – svela
in tutta la sua umanità: come succedeva per intervalla insaniae al
Dorian Gray di Oscar Wilde. Ma per la storia della musica e dello spettacolo è
quellinsania che vive oggi e sopravviverà. Lou Reed, da questo
punto di vista, è davvero linterprete del «lato selvaggio della vita».
di Siro Ferrone
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