Quasi dieci minuti di applausi allautrice, presente in sala,
mentre i titoli di coda scorrevano sulle note di Turning Time Around del recentemente scomparso Lou Reed che le fu compagno e marito. Parliamo di Laurie Anderson, prodotto genuino della
New York underground degli anni 70, figura
a metà strada tra la visual artist e
la poetessa urbana, tra la popstar televisiva
e la compositrice colta e sperimentale, che, dopo essersi cimentata con ogni
tipo di medium, si presenta a Venezia con il suo primo, atteso lungometraggio.
Heart
of a dog è un prodotto che avrebbe forse trovato una più facile
collocazione al MoMA o al Guggenheim. Artista
poliedrica e multimediale, Anderson ha toccato il cinema solo tangenzialmente con
la partecipazione a Così lontano così
vicino di Wim Wenders (1993). Il
suo percorso si colloca nellambito delle sperimentazioni della seconda metà
del Novecento, da Brian Eno a Robert Wilson, da John Cage a William S.
Burroughs, da Philip Glass al
gruppo Fluxus.
Unimmagine del film Sfruttando la sua fama di compositrice e artista, Anderson ha
proposto un oggetto strano e affascinante, una commistione di forme e contenuti
eterogenei. Il tutto non per annunciare il proprio Adieu Au Langage e costruire lennesimo
giocattolo autoriflessivo e autodistruggente, bensì (e qui viene fuori tutta la
caratura dellartista pop) per
analizzare e trascendere la realtà con un linguaggio al contempo sperimentale e
popolare, personale e universale.
Heart
of a Dog è una sorta di requiem per Lolabelle, rat-terrier cui lautrice era molto affezionata.
Accompagnato dalla costante voce over
della protagonista, il film combina e sovrappone immagini
statiche e dinamiche, disegni e filmati in 8mm miscelati in un registro che spazia
dal cinema privato a quello sperimentale, dalla performance musicale al videodiary.
La pellicola è la prova empirica che il cinema può e
deve tornare a fare appello a soluzioni stilistiche e poetiche elaborate in
contesti underground, nelle scuole
darte, nelle abitazioni private. È curioso che, a due anni dalla scomparsa di Lou Reed, Laurie Anderson abbia deciso di omaggiarlo
con un videorequiem sulla morte della
bestiola. «Lou è parte integrante di tutto, il suo spirito è molto presente»,
ha affermato lartista in conferenza stampa: «con lui abbiamo discusso molto
della forza e di come si possa mettere energia nelle cose semplici». Il leader storico dei Velvet Underground compare solo in un paio di scene, una manciata
di frames che probabilmente molti non
hanno neanche notato.
Unimmagine del film È più che comprensibile che lautrice abbia voluto evitare di
mettere in risalto la figura del musicista, col rischio che unopera così personale
e sofferta fosse ridotta a un semplice rockumentary.
In questo senso, la citazione che il film fa di Paul Foster Wallace («ogni storia di amore è una storia di fantasmi»)
entra in connessione con quelle parole, struggenti e intrise di gioia, scritte
da Laurie dopo la morte del marito: «ero
riuscita a camminare con lui fino alla fine del mondo. La vita – così bella,
dolorosa e spettacolare – non può dare qualcosa più di questo. E la morte?
Penso che lo scopo della morte sia la realizzazione lamore».
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