Le parole e le azioni di un padre

di Marco Pistoia

Data di pubblicazione su web 24/10/2024

Il tempo che ci vuole

«Scusa, ma quello è Mario Monicelli o Luigi Comencini?». Capitava spesso che i due grandi registi fossero fisiognomicamente scambiati. Oggi, dopo la visione di questo gran bel film, potremmo declinare quella domanda con «Scusa, ma quello è Comencini o Fabrizio Gifuni?». Alla quale domanda proveremo a rispondere più avanti.

E se Le parole di mio padre (2001) è titolo di un altro film di Francesca Comencini, ispirato a La coscienza di Zeno (Svevo, 1923), il tempo che ci vuole può essere quello per crescere (con il padre), essere sedotti e spaventati dalla vita e dalle storie e dalle immagini (il pescecane delle illustrazioni di Pinocchio), un po’ disadattati a scuola ma un po’ anche nel magnifico set de Le avventure di Pinocchio (Luigi Comencini, 1972), che al contempo ammalia Francesca bambina e che Francesca regista ricostruisce con filologica acribia. Ma anche il tempo che ci vuole per «fallire, fallire ancora, fallire meglio» (Luigi/Gifuni citando Beckett), subire la ferita della tossicodipendenza e poi uscire “dal ventre della balena”, per dirla alla Orwell, grazie a un padre esemplare, e scoprirsi a ventitré anni regista già assai valente con l’opera prima (Pianoforte, 1984). Ma, infine, anche il tempo per pensare (sognare, forse?), scrivere, girare un film (questo di cui parliamo) ancora più profondamente e coraggiosamente autobiografico di quello d’esordio.


Una scena del film

Ecco, la ferita: il trauma che Jean Genet, parlando di Alberto Giacometti (artista molto amato da Gifuni), individua quale origine della creazione artistica, come a proprio modo propose un grande critico letterario quale Edmund Wilson ne La ferita e l’arco (a partire dal sofocleo Filottete). Ma la ferita di Francesca donna ha fatto sì che Francesca regista sembri baciata dalla grazia (che scorre dai rami paterni), quella qualità che Elsa Morante sotto la fondamentale influenza di Simone Weil teneva in massima virtù. La grazia, ad esempio, con la quale racconta Francesca bambina (lode a Anna Mangiocavallo, e se son rose fioriranno), la sua infanzia, vocazione e prime esperienze (ricordate il magnifico Luigi Comencini sul giovane Casanova del 1969?), una grazia e una tenerezza che ci hanno fatto pensare (oltre che al papà) a un regista quale Claude Sautet.  

Il tempo che ci vuole vive di dicotomie, come quelle che riguardano Francesca e che sembrano emanate dall’organizzazione degli spazi, tra certe solarità degli esterni e le tenebrosità degli interni (e i conseguenti giochi tra pieni e vuoti o semivuoti di luci e ombre dovute al magistero di Luca Bigazzi). La casa romana (in particolare) sembra evocare invece spazi del cinema di Bellocchio (segnatamente in Salto nel vuoto, 1980, e in Fai bei sogni, 2016, dove il bambino è affascinato e insieme turbato dalla visione, con l’amata madre, del Belfagor televisivo). Una casa romana un po’ labirintica quanto essenziale (e ancor più tale è quella parigina), nella quale il fulcro è l’ampio studio-biblioteca di Luigi, luogo del cuore dove Francesca sembra rifugiarsi, confortata da un padre che è stato anche un intellettuale – nonché notevole e coraggioso conservatore di pellicole, in particolare del cinema muto italiano.  


Una scena del film

Scorrono – nell’impeccabile montaggio di Francesca Calvelli e Stefano Mariotti – talune scene di alcune pellicole, a partire dal Pinocchio (1911) di Giulio Antamoro (del quale si mostra anche qualche brano di Un intrigo a corte, 1913). E anche questi sono flussi di memoria, intermittenze del cuore (Svevo docet). Perfino più pregnante e intensa è la scena del racconto che Luigi fa alla figlia, ora giovane donna, della propria fascinazione per L’Atlantide di Pabst (Die Herrin von Atlantis, 1932). Qui Gifuni ricorda certi stilemi particolarmente connotanti di Nino Manfredi. Ma la commozione sale per una frase tutto sommato “banale” che Luigi dice a Francesca sul di lei set: «Certo, che bel mestiere che è il nostro!». La fonte dell’emozione è lui, Fabrizio Gifuni, con quella voce e quel sorriso pieno di grazia. E poi il finale, il volo di un angelo (Luigi) accompagnato da una figlia a nuova vita restituita.  

Nel cielo sopra Napoli volano, ma più che al Wenders quasi eponimo e al più accostabile modello cinematografico di Miracolo a Milano (1951) di De Sica, si potrebbe pensare allo Chagall di Oltre la città (1918), tanto più che Luigi e Francesca hanno una posa assai simile a quella della coppia del quadro. Volano sopra Napoli: perché? Pensiamo alla bellissima opera prima di Luigi Comencini, Proibito rubare (1948, con un grande Adolfo Celi), storia, piena di grazia e di pietas, di un prete e degli scugnizzi dei quali si prende cura. Come se l’opera prima del padre si unisse alla più recente della figlia.  


Una scena del film

Ma prima di concludere è necessario tessere le lodi di Romana Maggiora Vergano (Francesca), che ha ventisei anni e qualità in crescita, ora più solare e ora più tenebrosa, intaccata nella propria bellezza – e non certo solo grazie a trucco e parrucco – ricca di sfumature, nuances sia espressive sia vocali, come solo un’attrice già di rango può saper essere. E tiene testa a un “pescecane” di attore, che è e non è Comencini – perché è la sua quintessenza (uno e centomila). Con loro e con tutta ma proprio tutta la troupe Francesca Comencini ha realizzato un film che ha anche il merito di non calare mai di ritmo e tensioni emotive, un concerto per pianoforte e orchestra di pressoché piena compiutezza.  



Il tempo che ci vuole

Cast & Credits



La locandina del film



Cast & credits

Titolo 
Il tempo che ci vuole
Origine 
Italia, Francia
Anno 
2024
Durata 
110 min.
Evento 
81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia
Colore 
Regia 
Francesca Comencini
Interpreti 
Fabrizio Gifuni (Luigi)
Romana Maggiora Vergano (Francesca)
Anna Magniocavallo (Francesca bambina)
Luca Donini (Clemente)
Produttori 
Simone Gattoni, Marco Bellocchio, Beppe Caschetto, Bruno Benetti, Sylvie Pialat
Produzione 
Kavac Film, IBC Movie, OneArt, Les films du Worso, DueA Film, Minerva Pictures, Rai Cinema con il contributo del Ministero della Cultura, con il sostegno di Eurimages, con il sostegno di Roma Lazio Film Commission
Distribuzione 
01 Distribution
Scenografia 
Francesca Comencini
Costumi 
Daria Calvelli
Sceneggiatura 
Francesca Comencini
Montaggio 
Francesca Calvelli, Stefano Mariotti
Fotografia 
Luca Bigazzi
Musiche 
Fabio Massimo Capogrosso