Chi scrive ha in mente la stupenda
scena de La signora di Shangai (The Lady from Shanghai, Orson Welles, 1949) dove Rita Hayworth si trova faccia a faccia
con una moltitudine di specchi, ognuno dei quali riflette una immagine reale o
solo apparentemente distorta della protagonista. Quelle inquadrature, seppur
labirintiche, possono diventare un affascinante aggancio per approcciarsi alla
carriera sfaccettata e multiforme di Fabrizio
Gifuni.
Il tentativo di raccontare questo
artista è sicuramente riuscito ai curatori del volume collettaneo Fabrizio Gifuni. Lattore maratoneta
edito da Cosmo Iannone nella collana “Pagine di MoliseCinema” dedicata ai
protagonisti del cinema contemporaneo. Federico
Pommier Vincelli e Boris Sollazzo
hanno raccolto voci di studiosi, docenti universitari, critici, registi, attori
per districare un percorso in continua evoluzione. Il testo in tal senso si
correda nella sua prima e più corposa parte (suddivisa a sua volta in tre
sezioni) di saggi e riflessioni stimolanti e puntuali, che cercano di
inquadrare (in maniera prima globale e poi via via più dettagliata) la sua
carriera filmica e teatrale dalle origini fino a Esterno notte (Marco
Bellocchio, 2022).
Difficile poter raccontare,
fotografare, ritrarre Gifuni. Attore teatrale? Certo e di gran prestigio: tante
le sue interpretazioni e soprattutto riscritture (lontano dalle semplici
“riletture”, ma tanto più vicine a testi dotati di senso “oltre”), soprattutto da
Gadda e Pasolini («Quello che egli ha condotto sulla scena è stata unulteriore
battaglia, un corpo a corpo con due universi letterari e linguistici per
riattivarli nella loro veemenza polemica, nella loro rabbia contro i vizi
dellItalietta», Mariapaola Pierini,
Gadda, Pasolini e il testo che si fa
azione, p. 48), o dalle lettere di Moro (Miguel Gotor, “Finalmente mi
avete capito?” Lo studio di Fabrizio Gifuni sugli scritti di Aldo Moro dalla
prigionia, pp. 83-90), in una continua e tenace ricerca del sé teatrale,
proteso verso la continua moltiplicazione dei ruoli. Ruoli che non sono mai
semplici “personaggi in cerca dautore”, ma di autori e sempre “attori
nellattore” (in tal senso fondamentale il magistero di Orazio Costa). Un
attore mai disgiunto dal pubblico, nel tentativo di rendere atti ed esperienze
altamente sociali e formative i monologhi, gli sguardi, le parole.
Sotto questultimo aspetto va
rimarcata la vasta produzione per la trasmissione radiofonica Ad alta voce – e il conseguente studio
incessante fatto sulla componente timbrica e vocale (Pedro Armocida, La linea del
suono. Ascoltare De Gasperi e Paolo VI, pp. 65-70) – come
lettore/interprete di audiolibri per testi di grande prestigio, come per
esempio I promessi sposi. In
questottica «la performance di Gifuni è davvero impressionante, colpiscono la
sapienza con cui si infila nella sintassi misteriosa incuneata tra significato
e significante, lorganicità di un corpo scenico che si fa orchestra, la
fluidità e la precisione del gesto, la consapevolezza di una parola che mette
in guardia contro i disastri di ogni dittatura» (Sara Chiappori, La parola
verticale, p. 55).
Attore cinematografico? Ancor più,
totalmente malleabile, multiforme e allo stesso tempo riconoscibilissimo, con
la sua allure (sicuramente paragonabile a quella gassmaniana; Marco Pistoia, Il senso in più dellintelligenza, p. 115), il suo stile dai mille
stili (ma «se si vuole individuare un archetipo che gli si avvicini si può
trovare nella scuola inglese, in cui chi è ai margini per battute e pose trova
poi il modo di essere centrale nel racconto, grazie allautore ma anche alla
propria grammatica espressiva», Boris Sollazzo,
Diversamente protagonista. Il metodo
Gifuni, p. 27), capace di passare, con estrema dovizia e cura del personaggio,
da ruoli altamente drammatici ad altri più vicini alla commedia. Da un lato la
Storia dallaltro le storie: in tutto questo sicuramente si riconosce una delle
qualità di Gifuni, tra biografismo estremo ma sempre nella tensione
spettatoriale (il suo Moro, il suo Fava sono anche i nostri Moro, i nostri
Fava) e quotidianità sentita e analitica, dove emerge la capacità di farsi voce
di una generazione di giovani in bilico, pronti a mettersi in discussione, tra
contrasti di reminiscenza antonioniana e riflessi di impegno civile petriano, in
unaura attoriale salvifica, civile e sociale di balázsiana memoria. Emerge
quello che viene definito «il senso in più dellintelligenza. […] lacume,
sistematico e quasi sciamanico, nellaffrontare questa o quella scrittura,
questa o quella parte e, dunque, questo o quel personaggio con un atteggiamento
che volta per volta risulti essere il più appropriato per ciascuna occasione»
(Pistoia, Il senso in più dellintelligenza, cit., pp. 109-110). E poi attore televisivo
sicuramente, dimostrando la capacità di trasformazione e trasmigrazione da un
mezzo allaltro con fruttuosa e talentosa capacità.
Il suo operato rivaluta, seppur in parte, il concetto divistico di Edgar Morin, ribaltandolo o anzi dandogli luce nuova. Nel caso di Gifuni, sicuramente tra i più umani degli attori della sua generazione,il superumano travalica il suo originale significato: sfondare il concetto dellinterpret(abil)e è tra le capacità “divistiche” di Gifuni, a metà tra i suoi due dichiarati (in diverse interviste) modelli (Mastroianni e Volonté), oltrepassando il muro della riconoscibilità (gli specchi) ma senza alterarne la figura, il talento, la poliedricità
A corredare il libro anche un ricco
collage di interviste a registi, ma soprattutto amici, che ne raccontano la
vita sul set, il rapporto con la macchina da presa, con il legno del
palcoscenico: Marco Bellocchio
(«Nessun altro attore era arrivato alle vette del Moro di Fabrizio, proprio per
la lunga e complessa elaborazione storica oltre a quella attoriale», Raffaele Rivieccio, Tra Moro e Volonté, p. 138), Francesco Bruni («Fabrizio è una specie
di attore-autore: un attore in grado di discutere con lautore del suo
personaggio», Joana Fresu De Azevedo,
Leleganza nella commedia, p. 153), Marco Tullio Giordana («Gifuni
nellincarnare i suoi personaggi si preoccupa anche dei movimenti, della
postura, del modo con cui il suo corpo occupa lo spazio e interagisce con gli
altri», Ilaria Ravarino, Dentro lirrisolto della storia italiana,
p. 133), Gianluca Tavarelli, Daniele Vicari.
Chiudono il volume (oltre a una
filmografia, teatrografia e breve nota biografica) unintervista a quattro mani
a Gifuni in cui lartista fa una somma della sua carriera, tra incontri e
lezioni di recitazione: «Ho sempre cercato di lavorare sulle mie fragilità, sui
miei punti dinciampo, sulle debolezze, soprattutto quando lavoravo a
personaggi che poi sono diventati eroi dopo morti, santificati per una sorta di
senso di colpa collettivo. Ho la necessità di riportarli a una dimensione
umana, che contenga sempre gli errori, gli sbagli, le piccolezze che ognuno di
noi si porta dentro» (F. Pommier
Vincelli, B. Sollazzo, La bellezza
e la ferita, p. 173). Infine, preziosa e delicata, la postfazione di Sonia Bergamasco, che unisce la sua voce a quella degli altri in un omaggio appassionato nel ricordo degli esordi teatrali in comune
Ecco perché il tentativo citato
allinizio appare limitante: Gifuni sfugge, si insinua nelle nostre retine ma
soprattutto nei nostri cuori di spettatori multitasking con stile sobrio e
raffinato, defilandosi ma attaccando con violenza, con stile, studio,
competenza; suscitando emozioni di difficile catalogazione, ma sicuramente
profonde, autentiche, sincere e appassionate. Un volume di pregio che regala
mille ritratti di un artista nellunico modo possibile: a più voci, più
sguardi, più riflessi
di Pietro Ammaturo
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