Un bel concerto

di Vincenzo Borghetti

Data di pubblicazione su web 15/07/2024

Turandot

Non avete letto male: la nuova produzione di Turandot alla Scala è una messinscena dell'opera, non un'esecuzione in forma di concerto. Ed è pure una produzione costosa e complessa, come lo sono in genere quelle di Davide Livermore (regia), che fa ampio ricorso a proiezioni, masse di figuranti e delle modernissime dotazioni tecniche che il teatro milanese può garantirgli (scene di Eleonora Peronetti, Paolo Gep Cucco, Davide Livermore; luci di Antonio Castro; video di D-Wok). Il tutto però si risolve in un affastellamento di idee ed elementi disparati la cui utilità al racconto scenico della vicenda è pari a nulla. Avrei voluto scrivere “all'interpretazione scenica della vicenda”, ma l'esito è talmente lontano da un lavoro interpretativo che ho optato per la prima soluzione.

La scena si apre su una strada malfamata di una città cinese degli anni Trenta, che ricorda molto la Saigon dei film sul Vietnam, tutta insegne al neon, bordelli e tipi loschi. I costumi (Mariana Fracasso) però sono misti, un po' orientali come da tradizione, un po' novecenteschi (anni Trenta, per l'appunto), un po' indecifrabili. Indecifrabile è soprattutto perché siano così. Turandot ha ogni tanto il suo doppio. Almeno così sembra: il fatto è che anche la sua presenza è inghiottita dal marasma circostante e perde il senso che immagino dovesse avere nel disegno registico. Nonostante il dispendio di energie sceniche, creative, produttive, si assiste a un allestimento fatto dei soliti movimenti da cantanti lirici attorniati da tante masse e tanta azione.


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

Una novità tuttavia c'è stata, una di quelle di cui volentieri ci si vorrebbe dimenticare. Nel secondo atto, nel punto in cui la morte impedì a Puccini di completare la sua opera, lo spettacolo si ferma, tutti vengono in proscenio, il pubblico accende lumini distribuiti durante l'intervallo, mentre sul palco si proietta un ritratto fotografico del compositore accompagnato dalle parole che Toscanini pronunciò alla prima dell'opera nel 1926: qui l'autore è morto, o qualcosa di simile. Silenzio generale. E tanto imbarazzo, per una caduta di stile da nazionalismo di provincia che si vorrebbe veder sparire dovunque, in particolar modo nei teatri d'opera che si dicono “grandi”: per commemorare Puccini non bastava allestire le sue opere, e magari farlo bene? Mi chiedo di chi sia stata l'idea, chi l'abbia avallata o magari imposta, chi non l'abbia scartata dopo averla vista in scena (avranno pure fatto delle prove).


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

Incidenti a parte, si è trattato di un gran bel concerto. Soprattutto per i cantanti. Anna Netrebko è una Turandot sorprendente. Sorprendente se si pensa che Netrebko ha esordito come soprano leggero, passando poi al repertorio lirico in tutte le sue gradazioni fino ad approdare con Turandot a quello iper-drammatico, il tutto senza danni per la voce. Sorprendente quindi anche per la freschezza vocale con cui la cantante arriva al ruolo, e riesce a dominarlo senza timori: gli acuti sono sicuri e mai sforzati, così come gravi e centri sono rotondi e sonori. E poi c'è il suo uso magico del fraseggio, delle sfumature, che la fanno recitare anche da ferma, o nel mezzo di uno spettacolo a cui si smette presto di prestare attenzione.


Un momento dello spettacolo
© Brescia e Amisano

Rosa Feola è la Liù dei sogni che diventa realtà; l'interprete che ha l'amore nella voce e nella musicalità, controllata e appassionata come siamo abituati a sentirla, ma stavolta persino con una carica emotiva in più. Yusif Eyvazov ha tutta l'irruenza vocale che il ruolo di Calaf richiede: il tenore, come il suo personaggio, letteralmente non ha paura di nulla, e si getta negli acuti e nelle tessiture difficili del ruolo con una spavalderia impressionante, avendo nel frattempo anche maturato buone capacità interpretative. Molto, molto bene il Timur di Vitalij Kowaljow, così come Sung-Hwan Damien Park (Ping), Chuan Wang (Pang), Jinxou Xihou (Pong). Gradito ritorno quello di Raul Gimenez come Altoum. Una menzione speciale va al basso Adriano Gramigni, un ottimo Mandarino. Buona la direzione di Michele Gamba, anche se stavolta è sembrata più di routine che in altre occasioni (il Rigoletto del 2022, o Médée del gennaio scorso).

Grande successo in un teatro gremito. Ovazioni con lancio di fiori per Netrebko e Feola.

Turandot

Cast & Credits



Un momento dello spettacolo messo
in scena al Teatro alla Scala di Milano
© Brescia e Amisano

Cast & credits

Titolo 
Turandot
Sotto titolo 
Opera in 3 atti e 5 quadri
Città rappresentazione 
Milano
Luogo rappresentazione 
Teatro alla Scala
Titolo originale 
Turandot
Regia 
Davide Livermore
Interpreti 
Anna Netrebko (La principessa Turandot)
Raúl Giménez (L'imperatore Altoum)
Vitalij Kowaljow (Timur)
Yusif Eyvazov (Il Principe Ignoto (Calaf) (25, 28 giu., 4, 6 lug.))
Brian Jagde (Il Principe Ignoto (Calaf) (9, 12 e 15 lug.))
Rosa Feola (Liù)
Sung-Hwan Damien Park (Ping)
Chuan Wang (Pang)
Jinxu Xiahou (Pong)
Adriano Gramigni (Un Mandarino)
Silvia Spruzzola (Prima ancella (25 e 28 giu.; 4 e 9 lug.))
Flavia Scarlatti (Prima ancella (6, 12 e 15 lug.))
Vittoria Vimercati (Seconda ancella (25, 28 giu.; 4, 6 e 9 lug.))
Marzia Castellini (Seconda ancella (12 e 15 lug.))
Haiyang Guo (Il principe di Persia)
Scenografia 
Eleonora Peronetti, Paolo Gep Cucco, Davide Livermore
Costumi 
Mariana Fracasso
Luci 
Antonio Castro
Direzione d'orchestra 
Michele Gamba