I bambini ci guardano

di Vincenzo Borghetti

Data di pubblicazione su web 02/02/2024

Médée

Il sipario si apre su un grande salotto contemporaneo, curato e di un'eleganza fredda, severa: le pareti sono grigie, le porte, le boiseries, gli arredi bianchi. Sul fondo, al centro, la porta che conduce alla stanza dei bambini, i protagonisti dell'opera. Le scene di Paolo Fantin rivelano l'elemento centrale della lettura che di Médée di Luigi CherubiniDamiano Michieletto (regia) in collaborazione con Mattia Palma (drammaturgia). Per la prima volta dopo le due leggendarie riprese con Maria Callas nel 1953 e nel 1961 (sempre nella traduzione italiana di Carlo Zangarini), l'opera arriva alla Scala nell'originale francese: Cherubini la compose su un libretto di François-Benoît Hoffmann nel 1797 per il Théâtre Feydeau di Parigi. Qui si rappresentavano opéra comiques, spettacoli che al canto alternavano dialoghi parlati o melologhi; i recitativi sarebbero stati aggiunti da Franz Lachner nel 1855, dato il successo che l'opera godette nei paesi di lingua tedesca già dai primissimi anni del XIX secolo.

Michieletto elimina i parlati in versi alessandrini di Hoffmann (ne restano solo dei brevi frammenti nel terzo atto, quando per Médée Cherubini ricorre al melologo, sostenendo la recitazione con l'orchestra) e li sostituisce con nuovi dialoghi in prosa (di Mattia Palma) adesso affidati ai soli figli di Médée e Jason. Sono loro che nel palazzo di Creonte osservano e raccontano della loro famiglia d'origine ormai a pezzi e di quella nuova che non sa accoglierli con affetto davvero sincero. Lo fanno come lo fanno i bambini, bisbigliando tra loro quando nessuno li vede, cercando di dare come possono un senso alla vita incomprensibile degli adulti che amano e che però sanno farsi e fargli solo del male. Le loro parole giungono al pubblico registrate (le voci sono di Timothée Nessi e Sofia Barri), come raccolte da microfoni nascosti in quella stanza al fondo della scena. I bambini che vediamo sul palco sembrano sempre felici (i bravissimi Tobia Pintor e Giada Riontino): felici di stare con la loro madre, sebbene distrutta dall'abbandono, felici degli agi e dei giochi della nuova bella casa. Ma dalle loro parole dette sussurrando, nella Médée secondo Michieletto siamo costretti a confrontarci con le loro ansie, le loro paure.


Un momento dello spettacolo
©Vito Lorusso

La loro innocenza di fronte a situazioni difficili fa tenerezza, e rende la fine della vicenda ancora più straziante: Médée li uccide mettendoli a letto con uno sciroppo dolce e letale insieme. Tutto accade dietro la porta della loro cameretta, ripreso da telecamere a circuito chiuso e mostrato su un grande schermo sulla scena a beneficio del pubblico in un bianco e nero trasandato e raggelante. Nel finale Médée non vola via su carro trainato da draghi, si accuccia sul divano. Nella lettura di Michieletto, il suo non è il gesto grandioso di un'eroina mitologica, ma il gesto disperato di una madre assassina di oggi. L'opera si chiude con Jason che alle sue spalle picchia con violenza sulla porta di quella terribile cameretta, inchiodato a quelle responsabilità di padre e sposo dalle quali cercava vigliaccamente di sottrarsi.


Un momento dello spettacolo
©Vito Lorusso

Per il ritorno dell'opera dopo settant'anni di assenza, la Scala ha puntato molto su Marina Rebeka (Médée) una delle cantanti più interessanti dell'ultimo quindicennio, capace di misurarsi sia con le difficoltà tecniche e interpretative del ruolo del titolo, sia con il ricordo lasciato da Maria Callas, il cui mito deve moltissimo proprio a quel ruolo. Rebeka ha tutte le qualità che la parte richiede: un registro ampio, la facilità nel canto di sbalzo e, soprattutto, una vocalità solidissima, che le permette di affrontare una tessitura particolarmente impegnativa, e di farlo senza per questo sacrificare il lato espressivo o attoriale che Médée richiede. Rebeka è tutta nel suo personaggio che ricrea con gli sguardi, col corpo, non meno che con la voce, come una diva del cinema.


Un momento dello spettacolo
©Vito Lorusso

Dopo il successo delle prime due recite, vittima dell'influenza, Rebeka è stata sostituita per le recite del 20 (da Maria Pia Piscitelli) e del 23 gennaio (da Claire de Monteil). La serata del 26 segnava il suo ritorno in scena, ma un accesso di tosse le ha impedito di cantare alcune frasi finali dell'aria (“Vous voyez de vos fils; “Dei tuoi figli la madre”, nella versione italiana) del primo atto, rendendo così necessaria di nuovo la sostituzione con Claire de Monteil. De Monteil è stata un'ottima interprete, capace di far emergere il personaggio attraverso le difficoltà della scrittura di Cherubini, dominate con sicurezza e sempre con grande cura dell'emissione. Si ha l'impressione che a tratti l'attenzione alla bellezza del suono prevalga a scapito dell'accento (penso soprattutto al terzo atto, affrontato da de Monteil con molta cautela), ma è un dettaglio. Stanislas de Barbeyrac ha un ruolo ingrato, perché, come Pinkerton, Jason è uno dei personaggi più spregevoli nella storia del melodramma. L'inizio dell'opera lo ha visto meno a fuoco al cospetto della Médée di Rebeka nel grande duetto tra i due protagonisti, ma la sua è stata una serata in crescendo. Molto bene Martina Russomanno nei panni di Dircé, in un ruolo dalla tessitura impossibile. Corretta, ma non particolarmente incisiva, la Néris di Ambroisine Bré. Di fronte a voci importanti o comunque ben proiettate il Créon di Nahuel Di Pierro si è visto messo in ombra, nonostante le capacità attoriali dell'interprete. Davvero molto bene la 1ère e la 2ème femme, nell'ordine Greta Doveri (allieva dell'Accademia di perfezionamento della Scala) e Marta Gaudenzi.

Splendida la direzione di Michele Gamba. Splendida per la precisione con cui ha condotto l'Orchestra della Scala attraverso la scrittura tagliente e insieme complessa di Cherubini. Splendida per l'uso dei colori, sempre curatissimi nonostante una lettura ritmicamente incalzante. Splendida, infine, per la capacità di tenere la tensione nei momenti in cui la partitura si fa caotica e convulsa, come nel preludio al terzo atto, straordinario per la musica di Cherubini e per come Gamba l'ha saputa rendere.

Successo pieno per tutti, in particolare per De Monteuil e Gamba, in una Scala pienissima. Lascia sempre interdetti assistere al fuggi-fuggi generale dopo poche chiamate, a fronte di un esito così unanimemente positivo.

Cast & Credits

Trama



Un momento dello spettacolo messo
in scena al Teatro alla Scala di Milano
©Vito Lorusso

Cast & credits

Titolo 
Médée
Sotto titolo 
Opera in tre atti
Data rappresentazione 
26 gennaio 2024
Città rappresentazione 
Milano
Luogo rappresentazione 
Teatro alla Scala
Prima rappresentazione 
14 gennaio 2024
Libretto 
François-Benoît Hoffmann
Regia 
Damiano Michieletto
Interpreti 
Marina Rebeka/Claire de Monteil (Médée)
Stanislas de Barbeyrac (Jason)
Nauhel Di Pierro (Créon)
Martina Russomanno (Dircé)
Ambroisine Bré (Néris)
Greta Doveri (Allieva dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala) (1ère femme)
Mara Gaudenzi (2ème femme)
Tobia Pintor, Giada Riontino (Le deux fils de Jason et Médée)
Timothée Nessi, Sofia Barri (Voci registrate dei figli di Medea e Giasone)
Scenografia 
Paolo Fantin
Costumi 
Carla Teti
Coreografia 
Nuria Castejón
Luci 
Alessandro Carletti
Musiche 
Luigi Cherubini
Orchestra 
Orchestra del Teatro alla Scala
Direzione d'orchestra 
Michele Gamba
Coro 
Coro del Teatro alla Scala
Maestro del coro 
Alberto Malazzi
Note 
Drammaturgia: Mattia Palma

Trama

Atto primo
La scena è in Corinto. Dircé, figlia di Créon re di Corinto, attende con ansia le sue nozze con Jason, impaurita dal pensiero di Médée, la precedente moglie che l'Argonauta intende ripudiare. Le ancelle la consolano ("Quoi, lorsque tout s'empresse"). La fanciulla teme la vendetta della maga di Colchide e implora quindi il dio d'amore d'infonderle forza per affrontare il confronto con la feroce rivale. Entrano in scena Créon, Jason e gli Argonauti: il re rassicura l'eroe sulla sorte dei figli che ha avuto da Médée, e Jason lo ringrazia. Il re e sua figlia assistono allora al corteo degli Argonauti, che portano in trionfo il vello d'oro conquistato in Colchide. A quel nome, tuttavia, si accresce l'angoscia di Dircé, subito consolata dal promesso sposo e dal padre, che invoca gli dèi perché proteggano la giovane coppia ("Dieux et déesses tutélaires"). Il capo delle guardie però avverte in quel punto che una donna misteriosa si aggira per il palazzo: costei avanza in scena e si rivela per Médée, giunta a rivendicare i diritti dei figli di fronte allo sposo fedifrago e a maledire le sue nuove nozze. Le si oppone Créon, che minaccia la maga e si ritira. Rimasta sola con Jason, Médée cerca di toccare il cuore di lui col pensiero dei figli ("Vous voyez de vos fils la mère infortunée"), ma invano. Ella allora maledice Jason e annuncia vendetta: entrambi maledicono il vello, che è costato così tanta infelicità ("Perfides ennemis... O fatale toison").

Atto secondo
In un'ala del palazzo di Créon, Médée medita vendetta. Néris, la sua ancella, cerca invano di persuaderla a lasciare Corinto e a salvarsi dall'ira popolare. Entra Créon col suo seguito e intima a Médée di lasciare la città. Costei ottiene tuttavia, con le sue preghiere, di trattenersi ancora per un giorno ("Ah, du moins à Médée accordez un asyle"). Néris cerca allora di consolare Médée, e le promette di starle sempre al fianco (aria con fagotto obbligato "Ah, nos peines seront communes"). Uscita dal suo abbattimento, la maga comincia a individuare l'obiettivo della sua vendetta: saranno i figli suoi e di Jason. È proprio l'eroe che allora si avanza e a lui Médée si finge addolorata per l'imminente separazione dalle sue creature. I due rievocano i giorni felici del loro amore (duetto "Chers enfants, il faut donc que je vous abandonne"). Partito Jason, Médée ordina all'ancella di recare a Dircé in dono di nozze il manto e la corona che ella stessa ebbe un giorno da Apollo. Il re e la corte entrano nel tempio di Giunone per un rito e i loro canti si fondono in grandioso contrasto alle violente minacce di Médée, che infine si allontana con in mano una torcia fiammeggiante.

Atto terzo
Su una montagna presso la reggia di Corinto, Médée invoca gli dèi perché le diano la forza di compiere la sua vendetta sui figli. Néris però le conduce i piccoli, e la madre, vinta dalla compassione e dall'amore, lascia cadere il pugnale. No, la sua vendetta avrà altri per strumento, e Médée rivela a Néris che i doni nuziali inviati a Dircé erano avvelenati ("Du trouble affreux qui me dévore"). Néris conduce allora i bimbi nel tempio, ma improvvisamente si riaccende in Médée la smania di ucciderli ("O Tysiphone, implacable déesse"). Dal tempio giungono voci sinistre: Créon e Dircé sono morti avvelenati dai doni della maga. Jason accorre per arrestare Médée, ma questa, raccolto il pugnale, fugge nel tempio e consuma il suo orrendo delitto anche contro i figli. È Néris a dare il tremendo annuncio a Jason: esce dal tempio e a stento riesce a comunicare la ferale notizia. Médée, circondata dalle Eumenidi (le Furie), esce dal tempio; ha ancora in mano la lama insanguinata e si presenta allo sposo giustificando il proprio gesto con la sua giusta vendetta. Le sue maledizioni si arrestano soltanto quando intorno a lei si levano le fiamme, che poi circondano il tempio e l'intera scena, nel terrore generale.