Viste
su una cartina, le frontiere sono i confini che delimitano gli Stati. Sono
linee contenitive, protettive; caratterizzano la forma di un territorio e ne
determinano i limiti. Eppure quei limiti non sono così netti: i territori di
frontiera sono zone marginali, spesso più vicini a ciò che cè fuori rispetto a
ciò che cè allinterno; sono luoghi capaci di assumere caratteristiche
proprie, peculiari, uniche. La popolazione dei Sámi, ormai stanziale nel
territorio che conosciamo come Lapponia, collocato tra la Finlandia, la
Norvegia e la Svezia, resiste al passare del tempo, allavanzamento
tecnologico, alla globalizzazione, vivendo con tenacia il proprio aspro
territorio ai confini del mondo. Elle Sofe Sara, Sámi essa stessa,
racconta la storia della propria comunità attraverso il linguaggio coreografico
e il canto tipico yoik.
Vástádus eana - The answer is land, presentato a Firenze nellambito
della XXX edizione di Fabbrica Europa, va in scena negli ampi spazi del Teatro
del Maggio Musicale Fiorentino, prima allaperto, nel chiostro, poi nella sala
interna che è dotata – rispetto ai luoghi più canonici della danza
contemporanea, e non a caso – di unacustica che si rivela fondamentale alla
messinscena. Sette donne in costumi che richiamano gli abiti tradizionali fanno
il loro ingresso a tempo di marcia, impugnando megafoni. Si muovono in cerchio,
cercando lo sguardo complice del pubblico posizionato in piedi lungo il limite
del cortile; intraprendono movimenti circolari delle braccia, girano su se
stesse, intonano un canto amplificato. Sembra di assistere a una protesta di
chi resiste allinvasione, allomologazione, ai modelli, salvaguardando la
propria etica, le proprie abitudini e le proprie radicate tradizioni. 
Un momento dello spettacolo © Antero Hein
Seguendo
le performer, gli spettatori entrano in teatro producendo un cicaleccio poco
ortodosso che stride col sapore rituale dellevento. La luce è de-saturata; le
poltrone, gli abiti e la pelle dei presenti assumono un color seppia che
rimanda ad altri tempi ma anche alla mancanza di luce tipica dei Poli in alcune
stagioni. La scenografia consiste di un albero ricoperto di stoffa – che
sovrasta un lato del palco in prossimità del proscenio – e di lembi di tessuto
che pendono dallalto a richiamare i tendaggi nomadi ma anche le fronde di
foreste quasi incontaminate. I costumi sono apparentemente austeri ma si
rivelano morbidi per danzare e richiamano, insieme allilluminazione,
latmosfera di Women Talking -
Il diritto di scegliere,
il film di Sarah Polley che ha gettato luce sulla storia di
violenza sulle donne della piccola comunità Manitoba della Bolivia.
Quando
le luci si alzano le Sámi e il loro habitat si rivelano tuttavia ricchi di
colore e di calore. Il rosso – fino a questo momento praticamente invisibile –
emerge sui copricapi tipici e sui nastri di raso intrecciati tra i capelli
delle cantanti-danzatrici. Nella sonorità e nel ritmo il canto nordico Sámi si
presta a diversi riferimenti: richiama alcune strofe socio-politicamente
impegnate del cantautore Mannarino, certe melodie di Enya, le
nenie medio-orientali ma anche del nostro Sud, costruite sui passi di tante
popolazioni, sulle migrazioni, sul meticciato, eppure così legate alla terra
arida, a suo modo inospitale come quella dellestremo nord. Quello yoik è
un canto straniante, prima bisbigliato poi urlato a squarciagola, è una ninna
nanna, una preghiera, un canto individuale e insieme universale, tanto che spesso
si fa fatica a comprendere chi sta cantando. Lo yoik contrasta col
silenzio; è la voce disperata di chi, come in una Pietà, crolla sulle
proprie gambe e viene accolto da qualcuno. È in quel silenzio che prende vita
la danza, prima sottoforma di pose statuarie e di sguardi di sfida, poi caratterizzata
da movimenti vigorosi. 
Un momento dello spettacolo © Antero Hein
Il
moto di protesta messo in scena – simboleggiato non solo dai megafoni ma anche
dallatto di alzare i pugni al cielo e dal canto – è tutto femminile, tra
seduzione e gridi di battaglia, tra rigore e morbidezza. È una guerra
combattuta senza armi ma solo con la voce (proprio come nel succitato Women
Talking); il tempo di marcia cambia continuamente, la paura si fa coraggio,
come nel momento in cui le danzatrici corrono senza freni fino ad arrivare al
limite della fossa orchestrale. Le donne Sámi sanno cadere e rialzarsi, sanno
aiutare le compagne in difficoltà con solidarietà fraterna, sanno unirsi in
catene, trattenersi (proteggendosi) e spingersi avanti a vicenda (facendosi
forza).
Ispirandosi
a una poesia incisa sullopera Kiss From the Border, posta nella valle
del fiume Deanu tra Finlandia e Norvegia, Elle Sofe Sara prova a raccontare il
legame inspiegabile con una terra inospitale, un po come recentemente ha fatto
il regista danese Nikolaj Arcel in Bastarden (2023): «Land is the question, the answer is land». Alla fine le protagoniste
scendono nuovamente nel pubblico, dirigendosi verso altri orizzonti ma sempre
verso un ideale nord. Mentre cala il buio, il loro canto sfuma in lontananza.
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