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Frontiere

di Benedetta Colasanti
  Vástádus eana - The answer is land
Data di pubblicazione su web 23/09/2023  

Viste su una cartina, le frontiere sono i confini che delimitano gli Stati. Sono linee contenitive, protettive; caratterizzano la forma di un territorio e ne determinano i limiti. Eppure quei limiti non sono così netti: i territori di frontiera sono zone marginali, spesso più vicini a ciò che c’è fuori rispetto a ciò che c’è all’interno; sono luoghi capaci di assumere caratteristiche proprie, peculiari, uniche. La popolazione dei Sámi, ormai stanziale nel territorio che conosciamo come Lapponia, collocato tra la Finlandia, la Norvegia e la Svezia, resiste al passare del tempo, all’avanzamento tecnologico, alla globalizzazione, vivendo con tenacia il proprio aspro territorio ai confini del mondo. Elle Sofe Sara, Sámi essa stessa, racconta la storia della propria comunità attraverso il linguaggio coreografico e il canto tipico yoik.

Vástádus eana - The answer is land, presentato a Firenze nell’ambito della XXX edizione di Fabbrica Europa, va in scena negli ampi spazi del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, prima all’aperto, nel chiostro, poi nella sala interna che è dotata – rispetto ai luoghi più canonici della danza contemporanea, e non a caso – di un’acustica che si rivela fondamentale alla messinscena. Sette donne in costumi che richiamano gli abiti tradizionali fanno il loro ingresso a tempo di marcia, impugnando megafoni. Si muovono in cerchio, cercando lo sguardo complice del pubblico posizionato in piedi lungo il limite del cortile; intraprendono movimenti circolari delle braccia, girano su se stesse, intonano un canto amplificato. Sembra di assistere a una protesta di chi resiste all’invasione, all’omologazione, ai modelli, salvaguardando la propria etica, le proprie abitudini e le proprie radicate tradizioni.

Un momento dello spettacolo © Antero Hein
Un momento dello spettacolo 
© Antero Hein

Seguendo le performer, gli spettatori entrano in teatro producendo un cicaleccio poco ortodosso che stride col sapore rituale dell’evento. La luce è de-saturata; le poltrone, gli abiti e la pelle dei presenti assumono un color seppia che rimanda ad altri tempi ma anche alla mancanza di luce tipica dei Poli in alcune stagioni. La scenografia consiste di un albero ricoperto di stoffa – che sovrasta un lato del palco in prossimità del proscenio – e di lembi di tessuto che pendono dall’alto a richiamare i tendaggi nomadi ma anche le fronde di foreste quasi incontaminate. I costumi sono apparentemente austeri ma si rivelano morbidi per danzare e richiamano, insieme all’illuminazione, l’atmosfera di Women Talking - Il diritto di scegliere, il film di Sarah Polley che ha gettato luce sulla storia di violenza sulle donne della piccola comunità Manitoba della Bolivia.

Quando le luci si alzano le Sámi e il loro habitat si rivelano tuttavia ricchi di colore e di calore. Il rosso – fino a questo momento praticamente invisibile – emerge sui copricapi tipici e sui nastri di raso intrecciati tra i capelli delle cantanti-danzatrici. Nella sonorità e nel ritmo il canto nordico Sámi si presta a diversi riferimenti: richiama alcune strofe socio-politicamente impegnate del cantautore Mannarino, certe melodie di Enya, le nenie medio-orientali ma anche del nostro Sud, costruite sui passi di tante popolazioni, sulle migrazioni, sul meticciato, eppure così legate alla terra arida, a suo modo inospitale come quella dell’estremo nord. Quello yoik è un canto straniante, prima bisbigliato poi urlato a squarciagola, è una ninna nanna, una preghiera, un canto individuale e insieme universale, tanto che spesso si fa fatica a comprendere chi sta cantando. Lo yoik contrasta col silenzio; è la voce disperata di chi, come in una Pietà, crolla sulle proprie gambe e viene accolto da qualcuno. È in quel silenzio che prende vita la danza, prima sottoforma di pose statuarie e di sguardi di sfida, poi caratterizzata da movimenti vigorosi.

Un momento dello spettacolo © Antero Hein
Un momento dello spettacolo 
© Antero Hein

Il moto di protesta messo in scena – simboleggiato non solo dai megafoni ma anche dall’atto di alzare i pugni al cielo e dal canto – è tutto femminile, tra seduzione e gridi di battaglia, tra rigore e morbidezza. È una guerra combattuta senza armi ma solo con la voce (proprio come nel succitato Women Talking); il tempo di marcia cambia continuamente, la paura si fa coraggio, come nel momento in cui le danzatrici corrono senza freni fino ad arrivare al limite della fossa orchestrale. Le donne Sámi sanno cadere e rialzarsi, sanno aiutare le compagne in difficoltà con solidarietà fraterna, sanno unirsi in catene, trattenersi (proteggendosi) e spingersi avanti a vicenda (facendosi forza).

Ispirandosi a una poesia incisa sull’opera Kiss From the Border, posta nella valle del fiume Deanu tra Finlandia e Norvegia, Elle Sofe Sara prova a raccontare il legame inspiegabile con una terra inospitale, un po’ come recentemente ha fatto il regista danese Nikolaj Arcel in Bastarden (2023): «Land is the question, the answer is land». Alla fine le protagoniste scendono nuovamente nel pubblico, dirigendosi verso altri orizzonti ma sempre verso un ideale nord. Mentre cala il buio, il loro canto sfuma in lontananza.



Vástádus eana - The answer is land
cast cast & credits
 


© Antero Hein

© Antero Hein

Spettacolo visto a Fabbrica Europa (Teatro del Maggio Musicale Fiorentino) il 14 settembre 2023



 
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