Da
sempre luomo si interroga
sul senso della vita, sulla morte e sul mistero che lavvolge. In alcune
comunità il dolore per la perdita di una persona cara viene accompagnato ed
esorcizzato col pianto, col canto e con la preghiera di figure femminili
vestite di nero, in modo che i singoli possano condividere la propria
disperazione con la collettività, in una vera e propria pratica sociale
descritta e affrontata soprattutto in campo antropologico (si pensi agli studi
di Alfonso Di Nola o a quelli di Ernesto De Martino). In una società sempre più
frammentata Francesco Marilungo riflette sul significato di un rito
riproponendolo in chiave fortemente attuale senza tuttavia snaturarlo. Nello
spazio del Chiostro del Museo Novecento va in scena il suo ultimo lavoro; dopo
aver presentato Party Girl al Teatro Cantiere Florida per ledizione
passata di Fabbrica Europa, il giovane coreografo supera i confini
delledificio teatrale e sceglie un luogo – fortemente evocativo – per la
messinscena di Stuporosa.
La
scenografia, benché estremamente minimale
(fatta di un pavimento bianco circondato da teli e cavi neri, da un
sintetizzatore, da microfoni e da una chitarra elettrica), risulta fin da
subito fortemente evocativa, coadiuvata dalle suggestive logge del chiostro e
dal canto salentino di Vera Di Lecce. Una nenia che rimanda a tempi e
tradizioni lontane ma che ancora vive – in qualche modo – nei meandri della
cultura italiana. In scena ci sono altre quattro donne, vestite a lutto e col
volto velato di nero; osservano la cantatrice immergere le mani e le braccia in
una fonte. Sono figure portatrici di riti ancestrali, di codici, di magia, di
purificazione: quelle “prefiche prezzolate” che ai funerali accompagnano il
trapasso piangendo, urlando un dolore proprio e altrui che oggi, sempre più
spesso, vive nel silenzio e nel buio.
Il
movimento è, come si direbbe, “catartico”. Attraverso torsioni, convulsioni e
occhi che roteano, le danzatrici portano nel tempo presente un cerimoniale che
– nonostante la predominanza del nero – trova spazio alla luce del sole. La
coreografia di Marilungo, portata in scena da Alice Raffaelli, Barbara
Novati, Roberta Racis e Francesca Linnea Ugolini, è
esasperata eppure accattivante alla vista, con gesti ampi che conducono il
pensiero altrove, suscitano curiosità, pongono domande, portano alla luce nuovi
stimoli.
Un momento dello spettacolo
© Luca Dal Pia
Notevole il lavoro sonoro: il canto e il
pianto sono registrati in presa diretta, campionati e riprodotti con
strumentazione elettronica, diventando a loro volta base per nuove melodie. La
scenografia, apparentemente quasi inesistente, si fa via via oggetto di scena:
i teli neri diventano immense gonne alle quali attaccarsi e sulle quali
piangere; una treccia di capelli lunghissima, prima quasi invisibile poiché
inerme sul pavimento, diventa una sorta di catena che lega irrimediabilmente le
protagoniste, facendole sembrare ora delle spire di un serpente ora liete
danzatrici degli antichi balli con i nastri. Sulla scena un perturbante mutuo
soccorso nel quale la ripetizione ossessiva di gesti e suoni si fa ipnotica.
Tanti i simboli e le suggestioni: il taglio
dei capelli a ricordare le proteste contro la condizione aberrante della donna
in Iran; la chitarra elettrica, icona del rock & roll, espressione di
ribellione capace di rendere i canti delle prezzolate suggestivamente
contemporanei. E infine la Pietà, immagine ricorrente nelle arti figurative,
plastiche e performative, qui evocata nel momento in cui una delle danzatrici,
parzialmente denudata, giace tra
le braccia delle compagne. Infine la svestizione dei corpi che si erge a
simbolo di liberazione ma che esprime anche la vulnerabilità: fazzoletti
bianchi e candide sottovesti rappresentano la luce dopo le tenebre mentre il
cielo sopra il chiostro si fa crepuscolare, in un contrasto forse non voluto ma
ricorrente nelle performance allaperto. Marilungo conferma di saper raccontare
luniverso femminile in maniera non
scontata: mette in scena personaggi fortemente caratterizzati, capaci di
raccontare storie anche tra le righe. I corpi femminili si fanno materia viva
da osservare, da devastare, da distruggere e tuttavia da ricostruire.
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