«Eppure
un sorriso io lho regalato», recita un verso di Un malato di cuore di Fabrizio
De André, brano contenuto nellindimenticabile e struggente album Non al
denaro non allamore né al cielo (1971). La frase citata compare anche in
uno dei numerosissimi appunti di Massimo Troisi, che non solo richiama la
propria patologia cardiaca – in comune con il protagonista della canzone – ma viene
utilizzata anche a mo di poetico commiato. Altro riferimento musicale alla
cardiopatia che ha accompagnato Troisi per tutta la sua breve vita lo si
ritrova, inoltre, anche nella canzone ‘O ssaje comme fa ‘o core, scritta
da lui stesso e musicata da Pino Daniele, altro artista affetto dal medesimo
male. A coadiuvare Mario Martone nella composizione di questo affresco
su pellicola Anna Pavignano, ex compagna di Troisi ma soprattutto co-sceneggiatrice
di tutti i film da lui diretti, ad eccezione di Non ci resta che piangere (1984),
scritto invece con Roberto Benigni e Giuseppe Bertolucci.
Una scena del film
Presentato
in anteprima nella sezione Berlinale Speciale del 73° Festival Internazionale
del Cinema di Berlino, Laggiù qualcuno mi ama – titolo che ammicca al
film di Robert Wise Lassù qualcuno mi ama (Somebody Up There
Likes Me, 1956) – intende ripercorrere la parabola umana e professionale
dellartista, dagli esordi fino alla sua ultima fatica, Il postino (1994),
diretto da Michael Radford (che valse a Troisi la nomination allOscar
come Miglior attore protagonista e per la Migliore sceneggiatura non originale).
Lintento di Martone, posto in essere sin dalle prime immagini, è quello di
rileggere la sua poetica attraverso memorie inedite, filmati, testimonianze nonché
con accostamenti e parallelismi, come quelli con François Truffaut e con
il “suo” Antoine Doinel, personaggio immaginario interpretato da Jean-Pierre
Léaud in ben cinque titoli, da Les Quatre Cents Coups (1959) a Lamour
en fuite (1978). Un ideale leitmotiv fra i due cineasti su diversi
aspetti: dalle questioni più propriamente tecniche, come il montaggio
discontinuo, i fuori campo e i fermo immagine, alla natura stessa dei
personaggi – interpretati rispettivamente da Troisi e Léaud –, ognuno a proprio
modo inetto, fragile, incapace di stare al mondo e di reggere il ritmo imposto
dal mondo femminile, costellato di figure indipendenti che dettano risolute le
proprie regole. Questo secondo punto, secondo Martone, è centrale in tutta la
filmografia di Troisi, in quanto il sentimento amoroso risulta essere qualcosa
che i suoi personaggi rincorrono con una sorta di “prudente” costanza, i cui risultati
più o meno soddisfacenti rispecchiano la vita di ogni giorno, permettendo così
agli spettatori una più coerente immedesimazione.
Una scena del film
Per
affrontare una serie di letture eterogenee e composite, Martone parte dalla
formazione di Troisi, in particolar modo dalle esperienze teatrali in circuiti
alternativi – il cosiddetto teatro off – fino alle prima prove televisive con
il trio chiamato La Smorfia (insieme a Lello Arena ed Enzo Decaro).
Già dagli esordi lattore sembra ricalcare, a detta del regista, le orme
lasciate dai vari Antonio Petito e Eduardo Scarpetta, dai
fratelli Eduardo e Peppino De Filippo e Totò, accantonando
invero una certa cultura populista e paternalista in favore di una più tangibile
declinazione popolare, sulla scia del rinnovamento teatrale degli anni Settanta:
dalla Postavanguardia Teatrale alle prove partenopee di Enzo Moscato, Annibale
Ruccello, fino alla compagnia teatrale Falso Movimento (fondata nel 1977
proprio da Martone), la quale confluirà nel 1987 in Teatri Uniti, insieme a Toni
Servillo e Antonio Neiwiller. La parte centrale del documentario –
attraverso il montaggio a cura del sodale e imprescindibile Jacopo Quadri
– interseca voci e volti di figure che hanno condiviso con Troisi parte del
proprio percorso: da Roberto Perpignani a Paolo Sorrentino, da Michael
Radford a Goffredo Fofi, da Ficarra e Picone a Francesco
Piccolo, fino alla redazione della rivista cinematografica «Sentieri
selvaggi». Menzione a parte la partecipazione di Pavignano, con la quale
Martone si sofferma su alcuni processi creativi nonché su aspetti privati.
Una scena del film
A
emergere dalle molteplici voci sono sfaccettature inedite dellinterprete,
accostabile sullo schermo a un Woody Allen o a un Charlie Chaplin per
la capacità di accordare drammatico e comico, rendendoli entrambi parte di un
unico registro comunicativo. Martone – che già in Qui rido io aveva
ragionato sui due registri – mette comunque in primo piano lanimo più intimo
dellautore napoletano, soprattutto quello politico (tra proletario e piccolo
borghese) che lo spinge a scrivere storie che riflettono e fanno riflettere su
determinati aspetti e istanze sociali. Se nella prima parte Martone insegue
ricordi, immagini e documenti rileggendo molteplici note e appunti, nella
seconda parte esplora lattività artistica e la capacità di cogliere – come Nanni
Moretti – i mutamenti sociali e culturali di fine anni Settanta, ragionando
sullo sberleffo degli stereotipi imperanti e sulla fragilità dei sentimenti.
Una scena del film
Quello
di Martone non è dunque un documentario omaggio su un artista quanto più un
lavoro mirato a coglierne le sfaccettature, le sfumature ignote ai più,
puntando inoltre a far luce sulle scelte che lo hanno portato a conservare la
propria poetica anche in produzioni altrui. Si pensi alle tre collaborazioni
con Ettore Scola: Splendor (1989), Che ora è dello stesso
anno (entrambi in coppia con Marcello Mastroianni, con il quale Troisi
si aggiudicò in ex-aequo la Coppa Volpi a Venezia per il secondo titolo)
e infine Il viaggio di Capitan Fracassa (1990). In questultima
produzione Troisi mette a punto una versione fedele ma allo stesso tempo
personale della maschera di Pulcinella, fondendo dunque tradizione e
innovazione. «Anche
quando cominciai a fare il teatro, a San Giorgio a Cremano, inventai una specie
di Pulcinella senza maschera e costume. Si chiamava Pasqualino e nacque perché
non mi andava di affrontare Pulcinella, questa maschera così difficile e
complicata. Invece la figura raccontata da Scola di Pulcinella uomo, mi
piaceva. Come me Pulcinella sfugge dalle regole sociali dalle istituzioni.
Scappa da tutto, anche dall'amore».
|
 |